GLIEROIDELCALCIO.COM (Massimo Prati) – Armando Picchi era cresciuto nel Livorno e, nel corso della sua carriera, aveva giocato pure per la Spal e per il Varese. Fu anche allenatore della Juventus. Ma, ovviamente, il suo grande successo in quanto sportivo è associato alla squadra dell’Inter, con la quale vinse tre scudetti (1962-1963, 1964-1965, 1965-1966), due coppe dei campioni e due coppe internazionali, nelle edizioni 1963-1964 e 1964-1965.
Nato come centrocampista (secondo altre fonte addirittura attaccante), ricollocato terzino, ma trasformatosi ulteriormente in libero nel corso degli anni, fino a divenire uno dei migliori interpreti in quel suo ruolo, Picchi era entrato anche nel giro della nazionale, prima, nel ’64, con Fabbri e poi con Valcareggi.
Si dice che Helenio Herrera non fosse un estimatore di Picchi. Per questo motivo, ogni anno, l’allenatore argentino metteva Picchi in cima alla lista dei giocatori da vendere. Ma il livornese era amato dai tifosi e, soprattutto, era amato dal presidente, che si rifiutava di mandare via il suo difensore. Andò avanti così alcuni anni, fino a quando la spuntò il “Mago” e Picchi fu ceduto al Varese.
La cessione, comunque, non fece perdere a Picchi il posto in nazionale. E fu proprio in una partita in azzurro contro la Bulgaria, sotto la gestione di Valcareggi, che nel ’68 Picchi subì un infortunio destinato a mettere fine alla carriera, perlomeno a livello di calcio giocato (la diagnosi fu di frattura pelvica). La convalescenza fu lunga e, una volta ristabilito, Picchi restò al Varese da “Mister”.
Da allenatore, dopo un’esperienza anche a Livorno, Picchi attirò l’attenzione della Juventus. In seguito, Giampiero Boniperti ebbe a dire che Picchi sarebbe stato un grande allenatore, perché era dotato di grande personalità, carisma, capacità di persuasione e di comando.
Dopo pochi mesi alla Juve, però, i problemi alla schiena si presentarono in forma ancora più grave. L’ultima presenza in panchina di Picchi fu nel febbraio del ’71, quando i bianconeri, in trasferta, persero contro il Bologna per uno a zero (nella Juventus, al posto di Picchi, subentrerà il ceco Čestmír Vycpálek).
A partire da quel momento, a parte un effimero e ingannevole periodo in cui Picchi sembrò migliorare, il drammatico sviluppo della malattia fu rapido e irreversibile. Inizialmente, i medici avevano pensato ad un problema di origine reumatica. Ma, in seguito, ci fu il responso agghiacciante della biopsia: si trattava di un tumore osseo incurabile e in fase avanzata.
Picchi si trasferì in una villa a Sanremo e tentò anche forme alternative di cura, perlomeno nel tentativo di lenire i dolori insopportabili che la malattia gli procurava. Ma fu tutto inutile. L’atleta morì il 26 maggio del ’71.
A meno di 36 anni ci lasciava tragicamente uno sportivo che aveva giocato 277 partite in serie A, nell’arco di dieci stagioni (la prima con la Spal, poi sette con l’Inter e, infine le ultime due con il Varese).
Da allenatore, dopo essere stato alla guida del Varese e del Livorno, e prima del tragico epilogo della sua malattia, Armando Picchi si stava apprestando ad iniziare una promettente carriera alla guida del club bianconero.
Per ironia della sorte, Picchi morì il giorno stesso della finale di andata della Coppa delle Fiere, fra Juventus e Leeds. La partita, a causa della fortissima pioggia, fu sospesa al 51′ per impraticabilità del campo e rigiocata due giorni dopo.
Purtroppo, in base alla regola dei gol in trasferta, introdotta proprio a partire da quella edizione, 1970/1971, i bianconeri non poterono conquistare il trofeo, in omaggio alla memoria del loro sfortunato allenatore. La Juventus aveva infatti pareggiato 2-2 a Torino e pareggiato 1-1 in Inghilterra.
Si dice anche che la famiglia non volle comunicare immediatamente il decesso di Picchi proprio per non volere turbare gli animi dei giocatori juventini che si apprestavano ad affrontare una sfida importante. Per questo motivo, la morte di Picchi fu ufficialmente comunicata nella giornata del 27 di maggio.