GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)
“Baggio è un asso rococò: mette il dribbling anche nel caffellatte”
Gianni Brera definiva così il giocatore più tecnicamente dotato che il calcio italiano abbia mai conosciuto. Un fenomeno segnato dalla sfortuna e dalle battaglie, quasi tutte vinte.
Un cavallo di razza di un talento purissimo, cresciuto nella Vicenza di inizio anni ’80 e costretto a progettare l’eventualità di un futuro senza pallone a causa di un infortunio, ai tempi, quasi senza rimedio.
Roberto Baggio da Caldogno avremmo potuto rischiare di vederlo con due gambe, magari un pelino ancora più vicino a Diego, oppure di non vederlo proprio. Se i 220 punti li avessero messi altrove, magari la carriera del Divino sarebbe stata bloccata sul nascere.
E invece no. Ha giocato tutta la carriera con una gamba e mezza, con un dolore lancinante che ne pregiudicava i movimenti. Ha toccato la gioia di una finale mondiale, prima di svegliarsi nell’incubo dell’ennesimo infortunio. Ha goduto della spinta degli italiani durante le calde Notti Magiche del 1990. Ha provato la rincorsa al quarto campionato del mondo, forse l’unica battaglia che non è riuscito a vincere.
Una carriera iconica, nella quale il punto più alto è stato, senza dubbio, quel Pallone d’Oro conquistato in una giornata di fine Dicembre del 1993. Quella stagione il mondo si accorse di quel ragazzo timido, simpatico e sincero. La Coppa UEFA di quell’anno, la Juventus l’aveva vinta anche grazie alle sue prodezze (contro Paris Saint Germain e Borussia Dortmund).
Verrà beffato l’anno successivo, secondo dietro a Stoichcov, penalizzato da un calcio di rigore che cancellava gli infiniti meriti di un torneo vissuto da condottiero azzurro.
Ma il calcio, si sa, è maestro nell’esaltare e poi dimenticare. Il condottiero è unico soltanto al momento del bisogno.