LAROMA24.IT (Federico Baranello) – Il 28 giugno 1943 nasce a Uliveto Terme, in provincia di Pisa, Giuliano Taccola: un nome che porta con se, purtroppo, un fardello colmo di tristezza per la tragica fine del ragazzo.
Il pallone fa parte della sua infanzia e della sua breve vita come poche altre cose. Gli osservatori del Genoa lo notano mentre si mette in mostra nel Campionato Provinciale Ragazzi di Pisa con la maglia della sua città natale, l’Uliveto, sul finire degli anni ’50. La società ligure ne intuisce il valore e se lo “accaparra” mandandolo a “farsi le ossa” in squadre come Alessandria, Varese, Entella e, soprattutto, Savona. In quest’ultima società nel ‘66 è tra i protagonisti della storica ascesa in B. Poi il ritorno con il Genoa e nella stagione 1967/68 l’approdo nella Roma.
Quel ragazzo toscano entra presto nei cuori giallorossi e proprio all’esordio, il 24 settembre 1967, va in rete dopo appena nove minuti contro l’Inter di Helenio Herrera pareggiando il gol di Facchetti arrivato un paio di minuti prima. Nella prima stagione all’ombra del “Cuppolone”, con Oronzo Pugliese in panchina, sigla 10 reti in campionato, 1 in Mitropa Cup e 4 nella Coppa delle Alpi. Insomma un bottino di tutto rispetto. Giuliano è un giocatore veloce e ha il tiro sempre pronto, ma ha nel proprio arco anche altri tipi di frecce. A Ferrara infatti contro la Spal nell’Ottobre 1967, dribbla tutta la difesa compreso il portiere e deposita la palla in rete a porta vuota, un gol alla Maradona o alla Messi diremmo oggi. Un grande calciatore, il centravanti che la Roma stava cercando da anni. Lui “butta” la palla in rete in tutti i modi: di testa, di sponda, al volo, di piatto o di potenza. Proprio al ritorno di quella trasferta a Ferrara, alla stazione Termini, viene portato in trionfo dai tifosi che praticamente lo sequestrano. Insomma Roma è ai suoi piedi.
L’anno successivo arriva Herrera e il centravanti toscano regala al Mago, e a tutti i giallorossi, ben 7 reti nelle prime dodici giornate. Il solo Gigi Riva, con dodici reti, riesce a fare meglio. E il repertorio è sempre vario, che si tratti di battere a rete di destro o di sinistro, di precisione o botta secca. Quando si dice “un attaccante completo”.
Il 22 dicembre 1968, nella partita Varese-Roma persa per 2-1, realizza il suo ultimo gol: “Taccola è apparso ancora una volta troppo solo all’attacco…Oggi si è anche mosso poco e male…” (Cit.Corriere dello Sport, 23 dicembre 1968). Nonostante ciò anche in questa occasione adempie al suo “dovere” di goleador.
Da questo momento una costante e sfiancante alternanza di attacchi febbrili si accanisce sul giovane calciatore. Non si allena più con continuità e non scende più in campo. Nel febbraio del ’69 il centravanti viene sottoposto a tonsillectomia con l’intento di porre un freno alle continue febbri. Il 2 marzo 1969 torna di nuovo in campo, forse troppo presto, prima di essere sostituito al ’61: “Taccola è apparso ancora giù di condizione fisica e non sempre a suo agio: gli manca lo scatto di un tempo…Pure in forma precaria, Taccola ha fatto comunque il suo dovere…” (Cit. Corriere dello Sport, 2 marzo 1969). E’ sempre così, lui fa sempre il suo dovere, anche quando non è in forma, anche quando il fisico è debilitato. La sera stessa la febbre si ripresenta. Ancora una volta. Di nuovo.
Due settimane dopo la compagine giallorossa è impegnata a Cagliari, trasferta assai difficile e il suo nominativo compare nella lista dei convocati. Giuliano partecipa all’allenamento del sabato ma poi accusa sempre il solito stato febbrile. Il giorno dopo va in tribuna, ma solo dopo essersi allenato sul lungomare di Cagliari. Sta così male che è evidente che non può essere della contesa. A fine gara scende negli spogliatoi per complimentarsi con i propri compagni per l’ottimo pareggio ottenuto in casa della dei secondi in classifica. Si sente male, ha la febbre alta e qualcuno gli cede il lettino.
“Sono andato a fare la doccia e poco dopo Giuliano era morto!” dirà un Ginulfi in lacrime.
Da questo momento una storia fatta di omissioni, accuse, confessioni e ritrattazione delle stesse. Manca la bombola d’ossigeno e anche l’ambulanza arriva tardi, troppo tardi. Resta la freddezza di Herrera con la “testa” rivolta alla successiva gara di Coppa Italia e la squadra incredula e stordita. Resta sempre il dubbio sulle vere cause che hanno privato una moglie del proprio marito e due bambini del proprio padre. Forse una polmonite, un’infezione, un vizio cardiaco o una allergia ad una puntura di penicillina.
Resta la tragedia di un campione che rimarrà per sempre disteso su quel lettino dello spogliatoio. Rimane la sofferenza, per sempre, della famiglia che chiede la verità. Rimane per sempre l’affetto che i tifosi hanno dimostrato nel giorno dei suoi funerali, presentandosi in cinquantamila per l’estremo saluto al grido di “Giuliano, Giuliano”. Rimane per sempre quel volto in quella coreografia del Derby dell’11 gennaio del 2015, “Figli di Roma, capitani e bandiere, questo è il mio vanto che non potrai mai avere”.
Rimane per sempre Giuliano Taccola. Per sempre nei nostri Cuori.