LAROMA24.IT (Federico Baranello) – La storia dell’Associazione Sportiva Roma regala sempre pagine emozionanti, spesso eroiche. È così anche per questa vicenda che ha come protagonista Luciano Panetti, estremo difensore giallorosso per sei stagioni a partire da metà degli anni ’50.
Originario di Porto Recanati, ove nasce il 13 luglio del 1929, approda al Modena in serie B nel 1952. Tra i cadetti avviene la sua consacrazione e la Roma lo chiama nel ’55.
Portiere grintoso, senza paura, che non disdegna la classica uscita “a valanga” pur di far suo il pallone. Il primo “Puma” della storia giallorossa, così soprannominato per le doti funamboliche tra i pali. Le sue urla ai compagni di difesa sono epiche.
Nella sua prima stagione nella capitale entra subito nel Cuore dei tifosi per la grinta che dimostra in campo. E proprio verso il finire della prima stagione, il 29 aprile 1956 contro la Fiorentina all’Olimpico, si rende protagonista, suo malgrado, di un episodio leggendario. Un episodio che oggi definiamo d’altri tempi. Mentre il risultato è di 1-0 in favore della compagine giallorossa, gol di Da Costa, Panetti si scontra con l’attaccante viola Virgili. Il numero uno giallorosso riporta una frattura al malleolo. Lui decide di rimanere in campo, vista l’impossibilità di poter fare sostituzioni. Il regolamento lo consentirà a partire solo dal 1965. Il medico gli fa un’iniezione per il dolore. Inoltre dietro la porta, vicino al palo, viene sistemato un secchio con del ghiaccio nel quale infila la caviglia di tanto in tanto. “Per tutto il secondo tempo la Fiorentina ha giocato contro un portiere azzoppato”(Cit. L’Unità, 30 aprile 1956”) e, nonostante ciò, disputa una buonissima partita pur dovendosi arrendere alla conclusione del pareggio proprio di Virgili.
Durante la gara attira più volte l’attenzione del massaggiatore per dirgli: “ – Non gliela faccio più, non ne posso più, devo andarmene, devo andarmene– ma poi immergeva il piede nel secchio rimasto vicino al palo e tornava a raccogliere, chissà come, i palloni…Ora Panetti era disteso sulla barella degli spogliatoi in attesa della lettiga per raggiungere la clinica, con quella sua caviglia grossa come il polpaccio” (Cit. L’Unità, 30 aprile 1956). In clinica sarà ingessato.
Era certo un calcio diverso, per uomini veri. In undici si entrava e in undici si rimaneva sino alla fine, in qualsiasi condizione fisica.