Il 15 aprile del 1989 la strage di Hillsborough. Nella semifinale di FA CUP tra Liverpool e Nottingham Forest 96 ragazzi persero la vita per motivi di ordine pubblico.
Andrea Maggiolo, in today.it racconta quella tragica giornata e gli sviluppi successivi e le sentenze dopo quel bruttissimo episodio.
Ecco alcuni estratti dell’articolo:
“[…]15 aprile 1989. A Hillsborough è in programma la semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest. Quasi 100 persone perdono la vita e il nome di Sheffield si lega indissolubilmente alla ferita più atroce in un secolo e mezzo di storia del calcio inglese. Fuori dallo stadio oggi c’è un piccolo e grigio memoriale “in memoria dei 96 uomini, donne e bambini che hanno perso la vita e delle innumerevoli vite che quel giorno sono cambiate per sempre”
C’è qualche mazzo di fiori, qualcuno che si ferma per una preghiera o semplicemente per stare un minuto in silenzio davanti al simbolo dell’abisso. La semifinale di FA Cup si gioca sempre in campo neutro, e le tifoserie convergono sin dalla tarda mattinata da Nottingham e da Liverpool sull’impianto a S6 (così in casa Wednesday fanno riferimento allo stadio di Hillsborough, per via del codice postale). Una serie di errori imperdonabili porterà al disastro. C’è qualcosa che non va sin dall’inizio. I settori dello stadio sono stati assegnati in maniera sbagliata.
Ai cancelli la calca inizia a premere e si parte con gli errori fatali. I posti non sono assegnati, qualcuno inizia a cercare la via più breve per la gradinata. La polizia nel tentativo di velocizzare l’ingresso dei tifosi apre alle 14.52 un grande cancello d’acciaio, il Gate C, che conduce a un tunnel che porta al settore centrale e basso della curva. È l’inizio della fine, e tutto viene trasmesso in diretta televisiva: in centinaia puntano a quel tunnel, qualsiasi controllo dei biglietti è ormai saltato.
Gli spettatori vengono schiacciati contro le recinzioni di acciaio, così resistenti perché concepite per resistere a eventuali cariche degli hooligans. Gabbie mortali. La calca, corpi che si schiacciano l’uno sull’altro e contro le sbarre di metallo. Qualcuno riesce a salvarsi arrampicandosi al livello superiore della gradinata, ma così una lunga ringhiera cede e una valanga umana è ormai tutto quel che si vede nella curva.
Sulla Leppings Lane intanto è il caos, non si respira, il cuore di qualcuno ha già smesso di battere. Dopo lunghi, interminabili minuti la polizia apre finalmente la recinzione e lascia che i tifosi del Liverpool entrino in campo. La curva si svuota, e appare chiara l’immensità della tragedia. Quel pomeriggio muoiono schiacciate e soffocate 95 persone, un’altra spirerà nel 1993 dopo anni di coma, un’altra ancora anni dopo per le conseguenze a lungo termine delle ferite; più di 200 persone restano ferite. 79 vittime avevano meno di 30 anni, la più giovane solo 10 anni.
Ci vorranno più di vent’anni (con tanto di strumentalizzazioni selvagge) per arrivare alla verita e a una commissione d’inchiesta che faccia davvero luce su quanto successo il 15 aprile 1989 a Sheffield: a causare la strage sono state la disorganizzazione, l’incauta apertura del Gate C da parte della polizia, la totale inesperienza del sovrintendente capo e responsabile della sicurezza.
Solo 23 anni dopo, nel 2012, il governo riconoscerà ufficialmente le colpe della polizia del South Yorkshire, chiedendo pubblicamente scusa ai parenti delle vittime per la “doppia ingiustizia: l’incapacità di proteggere le vite dei loro cari e l’imperdonabile attesa per arrivare alla verità”.
A Sheffield quel 15 aprile 1989 però finisce qualcosa: non certo il calcio, ma un’idea di calcio inglese che per decenni è apparsa immutabile. L’immagine dei corpi stesi su barelle di fortuna, ricavate dai cartelloni pubblicitari, in attesa di ambulanze che non arrivano mai, è ancora negli occhi di chi quel giorno era allo stadio o davanti alla tv. Hillsborough, Hillsborough, Hillsborough: pronunciare questa parola ancora oggi fa venire in mente ai più il disastro e le vite spezzate, prima che il glorioso e storico stadio del Wednesday.[…]”
Andrea Maggiolo – today.it
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