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“Un colpo solo che ha preso Re Cecconi”
Un biondo regale, dal cognome altisonante. Era questo Luciano Re Cecconi. Calciatore simbolo di un decennio particolare, unico, spigoloso. Era partito dalla natia Lombardia per diventare icona nella capitale, con quel Re che gli consegnava un alone di classe, meritatamente attribuibile ad un giovane biondo e dal fisico nordico.
Aveva lasciato da giovane la cascina di Nerviano nella quale era cresciuto, forse la stessa da dove era passato Vittorio Emanuele II, il vero regnante che aveva omaggiato i Cecconi con quel sostantivo dinanzi al cognome. Gli piaceva, lo inorgogliva.
Poi l’incontro decisivo con l’uomo che lo accompagnerà durante i suoi migliori anni calcistici, quel Maestrelli maestro di vita e di calcio, umile pacere nella banda scanzonata e dai colori bianco celesti.
Una carriera di primissimo piano, impreziosita da uno Scudetto atteso più di tre decenni. Uno Scudetto cucito addosso ad un intero popolo che nella Lazio dei ’70 vedeva finalmente vincente l’orgoglio di metà del tifo capitolino.
Succederà tutto in un pomeriggio di Gennaio del ’77. Tutto avverrà in maniera veloce, repentina, inaspettata. Una revolverata partita all’improvviso, una ricostruzione difficile da fare anche a distanza di quasi mezzo secolo. Tesi contrastanti e giudizi in tribunale.
Tutto secondario di fronte alla morte di uno dei migliori calciatori italiani del decennio di piombo, un calciatore iconico, tenace, caparbio, efficace.
Da quell’infortunio terribile contro il Bologna non tornerà più, nonostante l’impegno del campione fosse stato profuso per un rientro al massimo.
Una delle tragedie più incredibili di tutto il calcio italiano, specchio di un periodo storico particolare, genuino, ma anche pericoloso.