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8 luglio 1982, semifinale dei Mondiali: Italia – Polonia

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8 luglio 1982, semifinale dei Mondiali: Italia – Polonia

Come semifinalista ai mondiali ci sarebbe toccata la Polonia, già incontrata nel primo turno. Adesso era l’Italia a essere favorita; ma per la vittoria finale. Il quotidiano spagnolo “Sport” ci considerava come i possibili vincitori, valutando la tabella dei bioritmi della 4 semifinaliste, in rapporto alla condizione fisica, emotiva e psicologica delle squadre in oggetto. L’Italia era obbligata a vincere: se prima si criticavano gli azzurri perché non li si riteneva all’altezza delle più forti, con la Polonia ci sarebbe stato il rischio di dover rendere conto e ragione per non essere eventualmente stati capaci di battere una squadra media, in caso avessero vinto i nostri avversari.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto, per inciso, quale orientamento avrebbe seguito una certa opinione, transitata dall’anti-bearzottismo, dall’anti-rossismo e dall’anti-zoffismo alle lodi immaginifiche nei confronti dei tre soggetti or ora richiamati ancora più velocemente di come il 26 luglio ’43 si era passati dal fascismo all’antifascismo, qualora avesse prevalso la Polonia e l’Italia avesse giocato male. E Zoff non nascondeva di avere paura della squadra dell’Est. Secondo il nostro portiere, mentre l’Argentina ci temeva e con il Brasile non avevamo avuto paura ad affrontarla, con la Polonia l’ottimismo poteva creare brutti scherzi: paradossalmente era più facile concentrarsi con i colossi sudamericani.

Bearzot faceva da pompiere: non bisognava sottovalutare la Polonia, che riteneva compatta e abile nel contropiede, capace di stoccate al momento giusto e per niente facile ai cedimenti. E che oltretutto aveva avuto il vantaggio di giocare le partite del secondo turno in notturna, al contrario dell’Italia che aveva affrontato due partite a oltre 35 gradi (i giornali spagnoli notiziavano come durante la partita con il Brasile si fossero toccate le punte più calde del secolo a Barcellona – Vecchiet parlava addirittura di quasi 10 gradi in più rispetto alla precedente sfida con gli argentini).

A tal riguardo, è da dire come gli italiani in qualche modo attutissero gli effetti della calura con un’alimentazione adeguata. Il caldo era un nemico non meno subdolo degli infortuni: per esempio, si era calcolato che ogni giocatore avesse perso almeno tre chili durante la partita con il Brasile. Vecchiet per sopperire a tutto questo aveva impostato una dieta con molta frutta (per far fronte a eventuali carenze di potassio e cloruri), dolci e carboidrati come pasta e riso. Questi ultimi venivano considerati fondamentali e gli italiani, che tradizionalmente ne sono grandi consumatori, erano avvantaggiati.

Peraltro, è da dire che nell’aria a Barcellona erano stati misurati qualcosa come 300 milligrammi di anidride solforosa per metro cubo: ai limiti della tossicità. Ma contro Argentina e Brasile erano state due battaglie in cui si era dovuto spendere tanto anche da un punto di vista nervoso, oltre che atletico (del resto, Bearzot ammetteva che i suoi giocatori avevano dovuto sempre lottare fino all’ultimo minuto). Inoltre, non era da considerare da poco conto la circostanza che la Polonia avesse una difesa quasi inviolata (un solo gol subito, al momento), molto protetta dai centrocampisti.

La Polonia aveva un giorno di riposo in più e il vantaggio mentale di non aver nulla da perdere. L’Italia doveva sobbarcarsi e sopportare il peso psicologico di dover fare la partita (per contro, con le squadre sudamericane importante era stato il gioco di rimessa) e in difesa non poteva schierare Gentile, colui che aveva fermato Maradona e Zico.

In più, qualche giorno prima Bearzot aveva lanciato l’allarme, dolendosi di avere la squadra a pezzi. In effetti, dopo la partita con il Brasile si era davanti a un bollettino di guerra: con Tardelli che aveva riportato una contrattura al muscolo gemello della gamba sinistra e che era dato come non recuperabile per la sfida contro i polacchi (possibilità di impiegarlo al 50- 60%, a seguito di cure anti-infiammatorie e mio-rilassanti, anche se lo juventino non si sarebbe arreso neanche all’evidenza), con Collovati con una distorsione tibiotarsica alla caviglia sinistra, ma con dolore in riduzione (possibilità di impiego all’80%, ma non era escluso di portarlo in panchina), con Zoff con dolori agli adduttori della gamba destra (ma in miglioramento), con Scirea con gli adduttori induriti (ma sarebbe stato sufficiente un po’ di riposo) e con Antognoni con i crampi. Questo, a parte Gentile squalificato (sarebbe stato sostituito degnamente da Bergomi).

Peraltro, bisognava riflettere se impiegare Collovati e Tardelli, tenendo anche presente la necessità di non arrischiarli per un’eventuale finalissima (Tardelli era stato anche ammonito). In caso di assenza di Tardelli avrebbero giocato sia Oriali che Marini, con Dossena e forse Massaro in panchina.

Il sostituto “naturale” di Collovati sarebbe stato Vierchowod: ma anche questi era infortunato (distorsione procuratasi qualche giorno prima in allenamento). Ma alla Polonia mancava Boniek (in lizza per sostituirlo vi erano Ciolek (che l’avrebbe spuntata), Kusto e Szarmach (Bearzot sperava che il giocatore prescelto fosse proprio il primo, che non era un centravanti di ruolo). Il che non era poco. Ma comunque rimanevano Smolarek, che aveva un sinistro capace di tiri di notevole precisione e potenza, Buncol, un centrocampista rapido, capace di improvvisi inserimenti in avanti, e, soprattutto, Lato.

La Polonia avrebbe agito con due punte ai fianchi, sperando di trovare spazio al centro (nei fatti poi Collovati avrebbe negato loro questa possibilità, e Cabrini e Bergomi avrebbero ridotto di molto la pericolosità di Lato). Non era escluso, se Collovati e Tardelli fossero stati assenti, di vedere Bergomi, Cabrini e Oriali difensori e Antognoni, Marini e Dossena al centrocampo. I polacchi, fra l’altro, cercarono di innervosire gli italiani con frasi che si ritenevano a effetto e che si pensava potessero influenzare gli azzurri.

Così, Zmuda cercava di impressionare Rossi affermando che non avrebbe trovato i difensori del Brasile e l’allenatore Piechniczek gongolava nell’affermare che avrebbe affrontato “solo” mezza squadra italiana (temeva solo il morale alle stelle degli azzurri). In ogni caso poteva schierare un 4-4-2 con Kupcewicz, con Lato in avanti e Smolarek seconda punta. La Polonia puntava la finale, sicura di poterla conseguire, ritenendo di essere molto migliorata rispetto alla partita di primo turno a Vigo. Ma l’Italia aveva ancor più maturato coscienza dei propri mezzi e sentiva che poteva essere l’occasione buona per un’impresa storica e non si spaventava più di nulla.

Gli azzurri avevano la certezza di poter battere tutti e di non volersi più fermare. La circostanza di aver sconfitto Argentina e Brasile certamente non appagava gli azzurri. Come aveva detto Bearzot dopo la vittoria sul Brasile, “ancora non abbiamo vinto niente”. E per il CT il timore della soddisfazione, oltre al caldo, rappresentava la preoccupazione maggiore. Così suggeriva ai suoi di segnare al più presto, per poi gestire e risparmiare energie. Inoltre, con la Polonia vi erano conti recenti e datati da regolare. Quelli recenti risalivano alla partita inaugurale del 14 giugno, quando l’Italia, non ancora al meglio della condizione sia fisica che psichica, non era riuscita a vincere. Quelli lontani risalivano al Mondiale del ’74 in Germania Occidentale, durante il quale la nazionale d’oltre cortina ci aveva sconfitto per 2-1. Andando all’incontro, l’Italia schierava sia Collovati che Tardelli.

Bergomi controllava Buncol, Cabrini se la vedeva con Lato. I due avrebbero invertito le marcature quando d’uopo. Collovati avrebbe vigilato su Smolarek. A centrocampo, zona mista. La partita iniziava con l’Italia tambureggiante; gli attacchi azzurri dimostravano da subito che l’Italia non aveva remore psicologiche a condurre la partita come, invece, speravano i polacchi. E già al primo minuto Oriali dava a Graziani, che suggeriva per Rossi: pallone di poco fuori. Dopo un quarto d’ora Tardelli impegnava il portiere polacco. Al 19’ Oriali serviva con un lancio per Rossi. Lo stesso si disimpegnava per Graziani che calciava dalla zona del limite mandando alto di poco. Al 22’ l’Italia segnava: dopo un fallo di Majewski su Cabrini, l’Italia usufruiva di una punizione.

Che tirava Antognoni. Cabrini toccava di testa, il che favoriva Rossi, scattato con molto opportunismo. Lo stesso Pablito all’interno dell’area piccola con relativa facilità la metteva dentro. Verso il 25’ si faceva vedere la Polonia con un tiro di Ciolek che Zoff bloccava. Al 26’ Antognoni tentava un tiro al volo, ma impattava con un giocatore polacco e si procurava un taglio al piede. Lo avrebbe sostituito Marini. Al 35’ la Polonia colpiva il palo destro con Kupcewicz. Al 40’ bella azione italiana con Marini che dava a Cabrini, il quale si esibiva in una pregevole triangolazione con Conti, che tirava: il pallone andava oltre la traversa. Verso il 60’, a seguito di cross da destra di Lato, Buncol colpiva di testa dal centro dell’area di rigore.

E Zoff, ben piazzato, si segnalava per un’ottima parata. Al 69’ Bearzot mandava in campo Altobelli per Graziani, ormai esausto dopo aver corso di qua e di là per oltre un’ora e piuttosto acciaccato dopo essersi scontrato con Zmuda. Al 73’ il secondo gol italiano: Altobelli innescava Conti, che si spingeva in area e crossava con precisione quasi millimetrica (quasi volesse dire “vai e segna”) per un liberissimo Rossi, che di testa faceva centro, evitando Janas.

Dopo pochi minuti, Marini provava a sorprendere il portiere polacco, ma il tiro era centrale. A 5 minuti dalla fine Marini compiva un fallo su Buncol: la forte punizione da lontano di Kupcewicz veniva bloccata da Zoff. I migliori in campo fra gli azzurri sono apparsi Rossi, Tardelli, Bergomi e Scirea, oltre a Zoff. Un’altra impresa sotto un caldo da forno. Bearzot, tra l’altro, aveva visto giusto quando aveva cambiato marcatore su Lato, assegnandogli prima Cabrini e poi Bergomi.

Il secondo cancellava l’anziana ala polacca, che, senza Boniek, era il maggior elemento in quanto a fantasia della propria squadra, permettendo allo juventino maggior libertà di movimenti sulla fascia di sinistra. Una scelta di ragione; e con la ragione l’Italia aveva condotto magistralmente una partita che, a dispetto delle apparenze, non era facile. Ma che, in fondo, non aveva presentato eccessivi problemi, con Zoff raramente impegnato, (comunque, sempre pronto).

Addirittura, l’Italia avrebbe fatto melina in area polacca. La Polonia si segnalava per un gioco falloso che l’arbitro Cardellino non puniva in maniera eccessivamente severa. E nel dopo partita il CT azzurro poteva dire che, preso atto delle difficoltà iniziali della Polonia e della robusta tenuta della propria difesa, dopo il primo gol già sentiva la finale. L’impressione era più forte nel secondo tempo, corroborata dalla facilità con cui gli azzurri tenevano la palla (invero, il continuo possesso palla italiano non sarebbe piaciuto a Boniek, perché, a suo dire, era il viatico per non giocare).

Ma lo stesso avrebbe dovuto dare atto al nostro tecnico, un Annibale del pallone, e riconoscerne la sagacia; a quel punto interessava non affaticare più di tanto gli uomini, in vista della battaglia decisiva della finale. Peraltro, Bearzot analizzava come i polacchi avessero cambiato tattica rispetto alla partita di Vigo (dove si erano proposti in maniera speculare a quella italiana), schierandosi con 2 punte centrali e 4 centrocampisti. Ma l’eclettismo dei difensori azzurri aveva azzerato ogni velleità avversaria.

Per Bearzot la differenza tra le due squadre era da ravvisarsi nella maggiore velocità del nostro contropiede. Comunque, respingeva ogni accusa di difensivismo, che ancora, con le solite stanche litanie di sempre, gli veniva mossa. L’Italia, ragionava il CT, non era stata catenacciara neanche nel primo turno; solo che adesso riuscivano i gol e prima no. Semmai Bearzot era preoccupato per le botte prese e perché in finale non avrebbe potuto impiegare Antognoni.

Zoff riteneva cosa eccezionale essere arrivato in finale a 40 anni; adesso bisognava avere la convinzione di poter tornare a casa con il trofeo. Il 9 i giornali erano entusiasti. “La Gazzetta dello Sport”, tra l’altro, pubblicava un articolo dal titolo “Ormai è diventato il mondiale di Rossi”: “Siamo in finale! Siamo a un passo dal titolo di campioni del mondo, siamo in vista di un traguardo cui appena un mese fa sarebbe stato folle pensare. Ci siamo arrivati compiendo un’altra autentica impresa. Battere la Polonia non era facile, come taluno avrebbe potuto supporre dopo i sensazionali successi ottenuti contro Argentina e Brasile.

Il nuovo e inatteso ruolo di “favorita” appesantiva di colpo le responsabilità dell’Italia. (…) Mancava Gentile, un perno della retroguardia, e Tardelli e Collovati erano reduci da freschi infortuni. I polacchi vantavano una difesa di ferro. (…) Come se non bastasse, le vicende della partita hanno aggravato le difficoltà della prova: il gioco spietatamente scorretto della Polonia tollerato da un arbitro troppo indulgente, gli infortuni di Antognoni e Graziani. Ma l’Italia di ieri – ecco l’impresa!- ha resistito a tutto: agli infortuni, alle provocazioni, all’ostruzionismo. Dopo aver dato esempio contro i colossi sudamericani di esaltazione agonistica, gli azzurri hanno dato ieri una superba prova di maturità, di serietà, di saldezza nervosa. (…) E sulla base di questa maturità, di questa serietà, di questa saldezza nervosa, l’Italia ha costruito il successo affidandosi all’estro inesorabile del risorto Pablito. (…) Tre gol al Brasile, due alla Polonia: è Rossi che ha portato l’Italia a un passo dal titolo.

Ed è Paolo Rossi il vero protagonista di un mondiale che doveva essere di Maradona, di Rummenigge, di Zico è di chissà chi! Siamo in finale! Come dodici anni fa in Messico, quando diventammo improvvisamente le stelle di un altro mondiale cominciato tra delusioni e polemiche. Ma stavolta l’impresa è sicuramente più prodigiosa”. A questo punto l’articolo contestualizza e spiega come nel ’70 la nazionale era ai vertici dei valori europei, con il campionato europeo vinto nel ’68 e con le coppe dei campioni vinte negli anni sessanta da Inter e Milan, mentre nel ’82 la nazionale veniva accompagnata da un periodo di magra nelle competizione europee per squadra e dal non esaltante quarto posto agli Europei dell’’80.

E così continuava: “Tutto ciò esalta il valore della trionfale marcia che la nazionale di Bearzot sta conducendo nel mondiale spagnolo. Essa non è il frutto o il prodotto di un Paese calcisticamente avanzato. È soprattutto il prodigio di coesione morale, di fedeltà e coerenza, di costruzione ragionata e paziente. Enzo Bearzot non aveva mai allenato una squadra: fece mezza stagione nel Prato, prima di passare alle dipendenze del settore tecnico come osservatore e poi come “commissario” della nazionale. Affrontò il mondiale argentino vestendo d’azzurro la Juve e tutti credevamo che non fosse capace di costruire una “sua” squadra.

Oggi sappiamo che non è vero. Oggi sappiamo che Enzo Bearzot sa fare di undici uomini una “squadra” nel senso più completo della parola”. Più chiaro, completo ed esplicativo di così! “Il Corriere dello Sport” così si esprimeva in articolo dal titolo “Pablito è il re dei mondiali”: “Anche la difesa di ferro è crollata. L’ha colpita al cuore uno schermidore agile e gentile, un gioioso folletto in mezzo a truci giganti. Ha volto e fisico da ragazzo ma la sua spada è un fulmine; sembra spezzarsi a ogni scontro con quei polacchi imbufaliti e selvaggi ma è fatto d’acciaio; sembra timido, ma ha un cuore di leone; la zampata crudele e beffarda di una fiera. Nel cielo di Spagna ora brilla una sola stella: le altre impallidiscono, oscurate dalla sua luce.

Paolo Rossi, in arte Pablito, re dei Mondiali. La sua vita è un romanzo: all’inferno e ritorno. In pochi giorni ne ha scritto un finale di struggente grandezza. Nulla di quanto potrà accadergli sarà più eroico, più commovente, più bello. (…) Mentre alza le braccia al cielo, si avvia agli spogliatoi abbracciato a Cabrini, ride finalmente felice, mentre Barcellona (cara, splendida Barcellona delle tre indimenticabili vittorie) ne decreta il trionfo, ricordiamo il suo volto disfatto nelle aule dei tribunali, le sue disperate proteste di innocenza, una condanna decisa su labili indizi, senza prove certe, senza pietà. Non bastava un talento sicuro per risollevarsi, ci voleva ben altro: tempra di uomo, orgoglio, durezza. (…)

Nel momento in cui oltre trenta milioni di italiani … ne urlano e ne benedicono il nome … mentre tutti ci sentiamo suoi amici e andiamo fieri di lui, ricordiamoci della condanna che quasi tutti, in cuor nostro, decretammo due anni fa, trattandolo come un mascalzone, mettendolo al bando. (…) Si temeva la solidità di una difesa che in cinque partite aveva subito soltanto una rete. Ma avevamo il grimaldello per aprirla, Paolo Rossi. (…) A lui avevamo affidato alla vigilia le nostre speranze; lui era l’uomo che ci era mancato a Vigo contro i polacchi; il suo estro poteva costruire la differenza tra noi e loro.

Pablito non è mancato all’impegno. Rispetto al primo incontro noi avevamo un Rossi in più, loro un Boniek in meno. (…) Ora ci aspetta Madrid. Chi poteva crederci il 14 giugno, quando timorosi, pessimisti, impauriti debuttammo contro la Polonia con i fischi di Braga ancora nelle orecchie?”. E Brera su “La Repubblica” scriveva: “ Mi diceva Giuseppone Farina a Vigo che il suo figlioccio era tormentato dall’incertezza: quando gli arrivava palla, non pensava a giocarla, bensì a quello che avrebbero detto di lui se avesse sbagliato. Era una specie di cul de sac psicologico nel quale sarebbe stato facile annichilirsi qualora Bearzot avesse ascoltato le turbe ringhiose dei critici: a me personalmente ha dichiarato che Rossi era ancora temuto in tutto il mondo e quindi non vedeva perché proprio lui avrebbe dovuto escluderlo. Per chi, poi? Il recupero di Rossi è merito quasi esclusivo di Bearzot e noi dobbiamo rendergliene atto”. Ineccepibile.

Altri articoli andavano ancora oltre nelle lodi nei confronti degli azzurri e di Rossi e Bearzot in particolare. Adesso la nazionale suscitava l’entusiasmo degli italiani che reclamavano la vittoria finale; la stampa correggeva il tiro rispetto a una decina di giorni prima: si pregustava la coppa del mondo, al di là delle caute frasi di rito. I vertici federali erano in estasi: Sordillo, commosso, confidava che Tardelli gli aveva detto in mattinata di voler giocare anche se non era in condizione di farlo. Per nessuna ragione al mondo voleva perdersi questa partita: allora, diceva Sordillo “con giocatori così non mi meraviglio del fatto che siamo arrivati in finale e non mi meraviglierei neppure se conquistassimo il titolo”. Aggiungeva anche di non aver sofferto come in altre partite, data la facilità con cui l’Italia aveva controllato la partita.

Franchi diceva di aver temuto la Polonia, ma che la vittoria era stata chiarissima. Nebiolo esaltava la volontà dei giocatori italiani, confessando di aver avuto paura solo con l’Argentina. Carraro metteva in risalto la difficoltà di aver giocato e vinto con quel caldo, evidenziando il carattere dei nostri giocatori. I polacchi, dal canto loro, polemizzarono, ma senza alzare la voce, sul presunto non gioco degli italiani e sui falli tattici degli stessi, più o meno alla stessa stregua di come aveva fatto qualche giorno prima Menotti (ma con minore livore e senza eccessivi rancori). Per Zmuda l’Italia di fatto aveva vinto la competizione mondiale, ritenendo la propria nazionale come la più difficile da affrontare.

E ci reputava furbi per aver fatto credere loro che non Tardelli non sarebbe sceso in campo! L’allenatore polacco bacchettava la propria squadra per aver dormito nel primo tempo, dicendo che se questo fosse finito 0-0, avrebbero potuto vincere, mettendo in evidenza come i contropiedi della propria squadra non fossero stati veloci come quelli degli azzurri. Aggiungeva che non c’era fallo durante l’episodio della punizione che aveva generato il primo gol azzurro, ma ci faceva i complimenti. Bearzot, comunque, predicava prudenza, notando di non essere ancora campioni e di evitare ogni presunzione.

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