9 febbraio 1941: diecimila tifosi del Genoa assistono alla vittoria della propria squadra del cuore. Due a zero ai danni della Juventus, a poche ore da un pesante bombardamento aeronavale della città di Genova
Il 9 febbraio 1941, in pieno conflitto mondiale, Genova fu devastata da un’incursione navale. E, anche in una situazione così drammatica, quel giorno al Grifone non mancò il sostegno dei propri tifosi
Nella ricorrenza di quella tragica giornata, propongo dunque il ricordo dell’incontro tra Genoa e Juventus giocato in un momento della Seconda Guerra Mondiale, quando la città di Genova subì una serie di tragici bombardamenti.
Il secondo conflitto mondiale era iniziato poco più di un anno prima, nel settembre del ’39, con l’invasione della Polonia, era continuato nell’aprile del 1940 con la conquista nazista di Danimarca e Norvegia, e poi, in rapida successione, con gli attacchi a Paesi Bassi e Belgio. Tra maggio e giugno oltre 200.000 soldati inglesi che avevano combattuto in Belgio e nel nord-est francese, furono costretti alla famosa ed eroica ritirata di Dunkerque. A giugno i tedeschi erano entrati a Parigi e, più o meno nello stesso periodo, l’Italia di Mussolini era entrata in guerra a fianco della Germania nazista.
Al momento del Genoa-Juventus in questione, si era in prossimità della primavera del 1941, e quasi tutta l’Europa, a parte la tenace Inghilterra, era dunque sotto il giogo nazista. Ma, alla fine di quell’anno, sarebbero entrati in guerra anche gli Stati Uniti. Fattore, quest’ultimo, che insieme alla ostinata resistenza dei russi, sarebbe risultato decisivo nel determinare l’esito del conflitto mondiale.
Genova aveva iniziato a subire bombardamenti sin dai primi giorni dell’entrata italiana in guerra. I primi a bombardare la capitale della Liguria erano stati i francesi, il 14 giugno del 1940, quando con la propria flotta avevano lanciato bombe su Vado Ligure, su Savona, sul porto di Genova e su una vasta zona a ponente della Lanterna.
Nei mesi successivi, si era registrato una serie di numerosi bombardamenti aerei da parte britannica, su Genova e su altre zone del nord Italia.
Ma un bombardamento, ben più pesante, fu proprio quello del 9 febbraio (concomitante appunto alla partita Genoa-Juventus). Un bombardamento ad opera di corazzate, incrociatori e cacciatorpediniere inglesi, salpate da Gibilterra, con il supporto di una flotta aerea.
Il campionato italiano, nonostante il nord del paese fosse stato sottoposto ad attacchi aeronavali nemici, continuava comunque e quello fu l’anno del sesto scudetto dei rossoblù bolognesi. Era il Bologna di Ettore Puricelli e di Giovanni Ferrari.
Pur non avendone la certezza, apro una parentesi per dire che Giovanni Ferrari è forse il calciatore italiano ad avere vinto il maggior numero di titoli mondiali e nazionali. Questo giocatore è stato due volte Campione del Mondo (presente alle finali del ’34 e del ’38). E già questo aspetto alza idealmente l’asticella in misura notevole, perché non credo ci siano molti giocatori italiani che possano vantare un simile primato (anche se, ovviamente, qualcuno c’è: Giuseppe Meazza, per esempio, è uno di quelli). Ma se a questo si aggiunge che Ferrari ha vinto otto scudetti e due Coppe Italia (con Juventus, Inter e Bologna), allora credo che sia difficile trovare un altro giocatore italiano con un simile palmarès di titoli mondiali e nazionali.
Comunque, il Genoa quell’anno arrivò nono a pari merito con la Triestina. Quella rossoblù era una squadra fatta di buoni elementi, come Sergio Marchi e Vittorio “Tojo” Sardelli, ma anche di giocatori eccellenti, come Sergio Bertoni, fortissimo attaccante e altro Campione del Mondo del 1938 (passato al Genoa subito la vittoria del mondiale). E poi, in quella squadra, c’erano ancora alcuni grandi calciatori che, quattro anni prima, avevano vinto la Coppa Italia col Genoa. Penso a Mario Genta, a Luigi Scarabello e a Mario Perazzolo. Come dicevo, alla fine, i rossoblù ottennero un dignitoso nono posto ad ex-aequo, ma l’anno dopo, per esempio, arrivarono quarti.
Nella Juventus, quell’anno arrivata quinta in classifica, spiccavano i nomi di altri campioni del mondo del 1938: quelli di Alfredo Foni e di Luigi Colausig (nome, a quei tempi, italianizzato in Colaussi). Con loro, nella formazione bianconera di quella stagione, c’erano anche Carlo Parola e Felice Borel.
Nel corso di quel campionato, come dicevo, la partita di ritorno contro la Juventus ebbe luogo nel giorno in cui la città di Genova fu sottoposta ad un pesante bombardamento aeronavale, con oltre un centinaio di vittime e migliaia di senza tetto (la stessa Cattedrale della città fu colpita da una bomba, miracolosamente rimasta inesplosa). Ad essere precisi, le squadriglie aeree inglesi ebbero più funzioni di pattugliamento e ricognizione. Il bombardamento fu invece opera della flotta navale.
Comunque, anche in una situazione così drammatica, quel giorno alla squadra del Genoa non mancò il sostegno di migliaia dei propri sostenitori.
A questo proposito, voglio proporre la testimonianza di un tifoso allora bambino: Mario Salvarezza. Testimonianza pubblicata sotto forma di breve racconto nella raccolta “Sotto il Segno del Grifone”, progetto editoriale della Fratelli Frilli Editori, del 2004, al quale anche io ho avuto l’onore e il piacere di partecipare.
Nella testimonianza in questione ci sono alcune incongruenze rispetto all’anno e al risultato. Ma si tratta di ricordi infantili, più che la precisione storica, di questa testimonianza contano il carattere evocativo ed il valore emotivo e sentimentale:
“Oggi quasi settantenne ricordo, come fosse ieri, quando iniziò la mia passione per il Genoa. La mia passione inizia nel 1942. L’Italia era in guerra e Genova era quasi quotidianamente bombardata. Era una domenica mattina quando l’allarme cominciò a suonare e la mia famiglia, già in preallarme (alcune notti dormivamo vestiti) prese le sue misere cose e si diresse verso il rifugio di Via Bobbio.
Il rifugio altro non era che una galleria mal illuminata, sporca e umida, piena di persone che piangevano, pregavano o cantavano. Solo i ragazzi, grazie ad una buona dose di incoscienza, riuscivano a giocare in quei momenti e a fare progetti. E quella mattina, sentii un gruppo di ragazzini più grandi di me (dieci, dodici anni) che parlavano del Genoa, di questa squadra leggendaria, gloriosa, storica, vincente (strano, vero?). Rimasi affascinato da tanto entusiasmo e amore. E fu in quel momento che decisi che nel pomeriggio sarei andato allo stadio. Da solo, avevo poco più di sei anni.
Nessuno si deve meravigliare. Allora si cresceva in fretta, si passava gran parte del tempo in strada che era un po’ la nostra casa, e a dodici anni molti ragazzi già lavoravano. Così quella domenica pomeriggio mi avvicinai ad un signore e gli chiesi se mi poteva aiutare ad entrare (si doveva essere accompagnati da un adulto).
Appena entrai nello stadio mi mancò l’aria, vidi quel meraviglioso tappeto verde, le gradinate e la leggendaria Nord, piena all’inverosimile, nonostante il bombardamento della mattinata. All’epoca non c’erano le uscite di sicurezza e non si accedeva facilmente. C’era un’unica entrata dal basso e per arrivare in cima si doveva salire, trascinati da una vera e propria muraglia umana.
Quando i giocatori uscirono dal sottopassaggio che era situato sotto la Gradinata Nord si sentì un boato e io, bambino di sei anni, capii di avere trovato il vero amore. Ricordo che la maglia del Genoa non aveva il colletto ma era aperta con lacci intrecciati. Quel giorno la squadra avversaria era la Juventus e noi vincemmo due a uno. Ricordo ancora che ad ogni gol vacillavo, si sentiva la gradinata tremare e tutti si abbracciavano felici dimenticando le bombe, la fame e la paura.
Solo le forti passioni riescono a fare dimenticare tutto o quasi. E il Genoa, per me, da quella domenica pomeriggio è diventato una passione irrinunciabile che mi spinge ancora adesso allo stadio ogni domenica, con la pioggia, con la neve, con il vento e il freddo.
E ancora adesso, nonostante le guerre che insanguinano il mondo, quando vedo una partita del Genoa riesco a dimenticare tutto per novanta minuti e a ritrovare la spensieratezza di quando ero bambino”.
Genoa – Juventus 9 febbraio 1941, una fase di gioco
Ma, dopo avere dato il giusto spazio ai ricordi infantili di Salvarezza, possiamo passare dalla memorialistica alla cronaca vera, basandoci sul servizio in prima pagina de “La Gazzetta dello Sport”. Si tratta di un servizio di Nino Cavazzi: un articolo dal titolo: “Genova-Juventus 2-0. Netto successo genoano”.
All’inizio, l’autore dell’articolo precisa che la squadra della Juventus era arrivata a Genova con grande ritardo. La causa di questo ritardo, però, non viene spiegata ai lettori. Ma è presumibile che essa fosse dovuta proprio ai bombardamenti che avevano preceduto l’incontro quel giorno.
Lecito supporre quindi che il mancato riferimento ai bombardamenti sia legato ai meccanismi della censura, tipici di quel tempo di guerra. A questo proposito, indicativo il fatto che nella prima pagina della Gazzetta si parli di vittoriose azioni militari italiane in Grecia, nell’Africa Settentrionale e in quella Orientale, ma si taccia sul fatto che Genova, il giorno della partita, aveva subito un grande bombardamento, costato più di un centinaio di morti, centinaia di feriti e la distruzione di migliaia di case.
Comunque, dopo il riferimento all’arrivo a Genova con grande ritardo della Juventus, tanto che i bianconeri non avevano potuto consumare il loro pasto con il dovuto anticipo, ed erano “scesi in campo quasi con il boccone in gola”, Nino Cavazzi ricostruisce l’andamento del match.
Dopo un promettente ma effimero inizio, “la Juventus ha iniziato ad annaspare e non ha saputo più trovare i contatti in prima linea e nella mediana. Il Genova, invece, con l’andar del tempo, irrobustiva la sua azione, giocava con sempre maggiore regolarità, fino ad ottenere e mantenere una chiara prevalenza di azioni […]
[…] Comunque alla chiusura il Genoa riusciva a segnare e ad acquistare, con questa rete, un diritto essenziale alla vittoria […]
[…] Nella ripresa, il Genova segnò ancora, sbagliò parecchie occasioni favorevoli, poi si chiuse in difesa negli ultimi dieci minuti e portò tranquillamente a casa il risultato e lo scarto di reti. Vittoria quindi indiscutibile, ottenuta dalla squadra più organica, più ardente ed anche più ricca di idee. Il Genova nuova edizione non strabilia, ma è registrato, saldo e forte in ogni sua linea”.
Ad ogni modo, dopo la nuda e cruda cronaca sportiva, e ripensando invece all’emozionante testimonianza di Salvarezza, credo sia giusto concludere la mia narrazione con un ringraziamento a questo nostro tifoso. Un ringraziamento per avere saputo ricostruire, e restituire, questa memorabile pagina di storia del popolo genoano. La storia di una tifoseria capace di andare a vedere una partita del Grifo anche in una giornata di guerra. Una giornata segnata dai recentissimi bombardamenti nella propria città.
IL TABELLINO DELLA PARTITA
GENOVA, 9 FEBBRAIO 1941. STADIO LUIGI FERRARIS. GENOA-JUVENTUS 2-0.
Marcatori: Lazzaretti (Genoa) al 40′ del primo tempo. Bertoni (Genoa) al 35′ della ripresa.
JUVENTUS: Bodoira, Foni, Rava, Varglien I, Capocasale, Varglien II, Bo, Borel, Gabetto, Lushta, Colaussi.
ARBITRO: Generoso Dattilo.
Spettatori: 9.000 circa.
La partita è iniziata alla 15.45. Tempo magnifico.
Al 20′ della ripresa Dattilo ha espulso Lazzaretti, reo di un fallo su Varglien II.
La foto della Gradinata Nord si riferisce invece ad un’altra partita, ma più o meno dello stesso periodo (Genoa-Bologna del 1940) l’autore ha scelto di pubblicarla per dare un’idea della “muraglia umana”, di cui parla Mario Salvarezza nel suo resoconto. In realtà stando al numero di spettatori ufficiali (circa 10.000) la Nord quel giorno non doveva essere esaurita in ogni ordine di posto. Ma, probabilmente, agli occhi di Mario Salvarezza -allora bambino- la gradinata dei tifosi del Genoa doveva comunque apparire come un impressionante muro di uomini (entrambe le foto sono tratte da “Il Genoa di Papà”, di Edilio Pesce, Tolozzi Editore, Genova, 1976 e fanno parte dell’archivio della Nuova Editrice Genovese, di Enzo D’Amore).