Studiando il calcio e la sua storia si ha la possibilità di imbattersi nelle più varie tipologie dell’essere umano, perché esso racchiude tutto dell’uomo, dalla gioia al dolore, dalla passione al raziocinio, fino ad estremizzare e ad arrivare all’amore e all’odio, probabilmente l’alfa e l’omega dei sentimenti umani. Calciatori estrosi al limite della follia, alcuni passati direttamente dalla cronaca alla storia senza quasi passare per il campo, che dovrebbe essere la sola tavolozza da cui estrarre quei ghirigori che sono stati il loro passaporto, poi dimenticato, per la fama. Uno dei più grandi è stato George Best, ma l’ultima parte della sua vita e del suo passaggio terreno sono ricordati quasi esclusivamente per le sue ubriacature, dimentichi delle grandi gesta calcistiche che lo avevano fatto ascendere all’empireo.
E che dire di Paul Gascoigne?
Non meno estrosi gli allenatori, noti per le loro fissazioni anche scaramantiche, o per gli atteggiamenti da “mago”, Helenio Herrera su tutti.
Queste, però, sono le due categorie che rappresentano i protagonisti diretti del calcio, gli attori principali, ma ce n’è una che naviga ai confini del campo di calcio, composta da personaggi ancora più strani, che il più delle volte sono mossi da tornaconti personali o da manie di protagonismo, faticando a stare dietro le quinte, spesso ridotte, loro malgrado, a macchiette comiche, quasi burlesche: i presidenti delle squadre, quelli che Giulio Onesti, capo del Coni, definì, con salace e arguta frase, “ricchi scemi”.
Come in tutte le cose del calcio e della vita, anche per personaggi simili c’è stato un capostipite, che non è il Silvio Berlusconi di turno, abile nello strumentalizzare il calcio per i propri fini, ma uno da cui lo stesso Berlusconi può aver tratto ispirazione: Achille Lauro, presidente del Napoli in un calcio che ancora era a misura d’uomo. Era nato alla fine dell’Ottocento, Lauro, da una famiglia benestante, con il padre che possedeva una flottiglia di navi di piccolo cabotaggio, che lui seppe migliorare fino a farla diventare una vera flotta di navi commerciali.
Da subito Lauro ambì al potere più che alla ricchezza, non esitando a schierarsi con chi il potere, in quel periodo, lo deteneva.
Si era nel pieno del ventennio fascista quando mise a disposizione del regime le sue navi per il trasporto delle truppe nella guerra d’Etiopia.
Il suo ingresso nel calcio fu voluto dal federale di Napoli, Nicola Sassanelli, ma fu più che altro un atto di mecenatismo, salvando la società dai debiti, assumendone poi la presidenza nel 1936, il 15 marzo. Era un Napoli che navigava a vista, raggiungendo salvezze risicate o vivendo tornei anonimi, per cui una delle prime operazioni di Lauro presidente fu quella di svecchiare l’organico della squadra. Arrivarono giocatori come Nereo Rocco, Bruno Gramaglia, Italo Romagnoli, tra gli altri, alternando gli allenatori, da Angelo Mattea a Eugenio Payer, Paolo Iodice e Adolfo Baloncieri, ma le soddisfazioni furono poche, relegate più che altro a qualche sporadica vittoria contro gli squadroni del nord.
In quel primo quadriennio il miglior piazzamento degli azzurri fu il settimo posto nella stagione 1938/1939, al termine della successiva Lauro cedette la presidenza.
I motivi addotti furono lavorativi, ma ormai la Nazione, come tutto il mondo, era in guerra, egli stesso ne pagò le conseguenze, internato dagli alleati a Padula dal 1943 al termine del conflitto mondiale. Ormai le ambizioni di Lauro erano quelle di esercitare quel potere di cui sempre aveva subito il fascino, per mettere “le mani sulla città”, e la citazione del film di Francesco Rosi del 1963 non è casuale, essendo a quelle vicende ispirato, doveva farsi la giusta propaganda, e per questo non c’era miglior cassa di risonanza del calcio.
Questo Lauro lo sapeva, sapeva che doveva dare ad una città da ricostruire le distrazioni giuste, e allo stesso tempo crearsi la base elettorale per raggiungere il potere. Guarda caso, entrambe le cose accaddero nel 1952, quando Achille Lauro ridiventò presidente del Napoli e fu eletto sindaco della città. Il nuovo mandato alla guida della squadra nominalmente durò due stagioni, ma in realtà la sua presenza, con presidenti solo di facciata o comunque di suo gradimento, durò fino al 1969, quando Corrado Ferlaino ne rilevò tutte le quote societarie. Il cammino della squadra era sempre altalenante, ancora una volta Lauro provò a scuotere l’ambiente con acquisti onerosi per il tempo, come quello di Hasse Jepsson. “’O Banco ‘e Napule”, già raccontato qui (Eroi del Calcio, 10/03/2023).
Nel corso degli anni, pur non figurando lui direttamente, era sempre Lauro il patron della squadra, ancora arrivarono campioni come Luis Vinicio, Cané, o ne sbocciarono dal vivaio, come Antonio Juliano o Vincenzo Montefusco, ma in quel periodo Napoli dovette subire anche l’onta di due retrocessioni in Serie B, nel 1960/1961 e nel 1962/1963, la prima parzialmente mitigata dalla vittoria in Coppa Italia nel 1962, primo alloro in bacheca e unica squadra ad esserci riuscita militando in Serie B.
Con il passare degli anni la presa del potere di Lauro sulla città venne fatalmente esaurendosi, i passaggi di presidenza in seno alla società continuarono finché egli, con un colpo di mano impose Ferlaino, più che altro per impedire l’ascesa di Roberto Fiore, consegnando la squadra nelle mani di colui che, finalmente, riuscì a condurre il Napoli ai primi trionfi della sua storia.
Con la fine di Achille Lauro possiamo dire che terminò un certo tipo di gestione autocratica quanto artigianale del calcio, che caratterizzò un po’ tutto il periodo dal dopoguerra agli inizi degli anni Settanta. Nel contempo, possiamo tranquillamente affermare che Lauro è stato anche il primo a capire dell’importanza del calcio per la propria affermazione personale anche fuori dall’ambito sportivo.
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.