GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli) –
Era figlio di un altro calcio, rappresentante di un ruolo che in lui ha incarnato un intero reparto
Questo era Tarcisio Burgnich, spentosi in queste ore, a ottantadue anni. Nella sua carriera, infatti, giocò terzino destro, stopper e libero, ruoli sempre interpretati con rigore, concentrazione, professionalità e correttezza, ma fu soprattutto nei primi due che si esaltò.
Grandi erano le sue doti di marcatore, che poteva esaltarsi in quei due ruoli che per anni hanno rappresentato l’espressione massima della marcatura sull’attaccante avversario, rimarcate da quel gioco all’italiana che è rimasto nostro marchio di fabbrica. Burgnich si occupava del centravanti della squadra avversaria, ed erano novanta minuti di esaltante battaglia, fatta di contrasti, anticipi, colpi di testa finché, il più delle volte, le velleità del centravanti si infrangevano contro la sua abilità di marcatore, come le onde sullo scoglio.
Roccia fu appunto il soprannome che gli fu affibbiato da Armando Picchi, penultimo quasi insuperabile baluardo prima di trovarsi di fronte al portiere. Iniziò la carriera nelle giovanili dell’Udinese, friulano nel suo Friuli come Dino Zoff, qui suo giovane compagno di squadra, passando presto alla Juventus, vincendo subito lo scudetto del 1961. La stagione successiva fu ceduto al Palermo, dove disputò un buon campionato dopo dei tentennamenti iniziali, lui ragazzo del profondo Nord proiettato nel profondo Sud. Il buon torneo gli valse la chiamata dell’Inter che stava costruendo Helenio Herrera, e iniziò la leggenda. Alla corte del Mago sarebbero arrivati quattro scudetti, ma soprattutto due Coppe dei Campioni contro Real Madrid e Benfica, seguite da due Coppe Intercontinentali, entrambe contro gli argentini dell’Independiente, quando andare a giocare dall’altra parte del mondo costituiva un’avventura e significava confrontarsi con un calcio molto duro, situazione che esaltava le doti di Burgnich.
Fu protagonista di momenti storici e leggendari anche con la maglia azzurra della nazionale. Presente già al mondiale inglese del 1966, non era in campo nella “partita della vergogna” contro la Corea del Nord, fu protagonista nella storica, finora unica, vittoria nel campionato europeo del 1968, la leggenda la scrisse nel mondiale messicano del 1970. Due le immagini che resteranno sempre impresse nella nostra memoria: la prima fu il gol del due a due che andò a siglare nella semifinale contro la Germania Ovest, poco dopo il gol di Gerd Müller che lo aveva beffato; l’altra, il poderoso ma inutile, stacco aereo contro O’ Rey Pelé, che segnava l’uno a zero nella finale di quel mondiale, un colpo da campione per battere un campione. Burgnich spese gli ultimi anni di carriera nel Napoli di Luis Vinicio, portando la sua esperienza di vincitore giocando da libero, contribuendo a un secondo posto in campionato, ma anche a una vittoria di una Coppa Italia e di una Coppa di Lega Italo-Inglese. Poi una carriera da allenatore onesta ma senza particolari sussulti e successi, l’ultima parte come osservatore dell’Inter.
Addio, Roccia.