Aldo Serena si racconta: "Non è facile cambiare ogni anno"
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Aldo Serena si racconta: “Non è facile cambiare ogni anno”

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Tra le pagine de Il Foglio Quotidiano, di sabato 4 febbraio, potete trovare un interessante intervista ad Aldo Serena. L’ex attaccante di Inter, Juventus, Milan e Torino ha parlato della sua carriera e di alcuni momenti indimenticabili nel bene e nel male. Eccone un estratto.

[…]Inter, Como, Bari, Inter, Milan, ancora Inter, Torino, Juventus, ancora Inter e ancora Milan. Eppure a vederla e sentirla da vicino, non sembra avere le physique du role del giramondo di professione…

“Allora vigeva il regime di vincolo. Sino al 1991 non ho mai potuto scegliere. Ero di proprietà dell’Inter, che di anno in anno decideva il mio destino prestandomi a destra e a manca. Fosse stato per me avrei girato molto di meno. Ovunque sono andato, mi sono trovato bene, ma non è facile cambiare ogni anno maglia, allenatore, compagni e tifosi. Ogni volta ricominciare. E riconquistare. Ho dovuto modificare il mio carattere e vincere la mia innata pigrizia. Ripensandoci ora, sono felice che sia andata così, anche perché ho potuto conoscere, dentro e fuori del calcio, un’infinità di persone di grande spessore, che mi hanno aiutato a crescere”

Ha giocato insieme e contro i calciatori più forti del mondo. Chi sceglie fra Maradona e Platini?

“Maradona era e resta inarrivabile, ma Platini, almeno quello che ho conosciuto io, era un seduttore. Era cresciuto negli anni caldi, a cavallo fra il ‘68 e il ’77. Era ironico, loquace, dissacrante e all’occorrenza, capace di liberarti al tiro con un lancio da quaranta metri. Nessun altro mi ha affascinato, come persona, prima ancora che come calciatore, più di lui”

E quale è il giocatore a cui è rimasto più affezionato?

“Uno, che da 32 anni non c’è più. Capitano. Mio capitano. Amico mio. Gaetano Scirea era un uomo incredibile, oltre che un calciatore di straordinario valore. Quando sono arrivato alla Juventus, ha voluto che fossi il suo compagno di stanza e mi ha detto tutto quello che serviva, abitudini, meccanismi, intrecci, di cui tener conto, se volevo ambientami in fretta. Era un leader carismatico e una persona gentile, umile e premurosa, come nessuno delle centinaia di calciatori che ho conosciuto. Era una mosca bianca nella giungla del pallone. Unico e inimitabile”

Quale è stato il suo momento più bello?

“Sono tanti, tantissimi, forse nessuno. Perché tutta la mia carriera è stata una favola, che ho continuato a leggere con gli occhi di un bambino incredulo e stupito per tanta meraviglia.  Io ho vissuto una vita che non mi sarei aspettato di vivere. Quando la felicità è arrivata, ho continuato a respirarla senza un attimo di tregua, attimo dopo attimo. Non c’è stato il momento più bello, ma solo una felicità costante, come accade solo nelle favole”

Ma ci sarà un gol indimenticabile?

“In questo caso la  risposta non è vaga, ma concreta. Posso indicarle la data e l’attimo fuggente. Era il 25 giugno del 1990. Roma. Ottavi di finale dei mondiali. Italia-Uruguay 2-0. Quel giorno compivo 30 anni. Ho ricevuto due bellissimi regali.  Il primo me l’ha fatto Azeglio Vicini, facendomi entrare a partita in corso. Il secondo me lo sono fatto da solo, segnando di testa al minuto 83 il il gol della sicurezza, dopo che eravamo passati in vantaggio, grazie a un mio assist sfruttato alla perfezione da Totò Schillaci. Fu il gol dell’estasi, mio, della squadra e dell’intero stadio Olimpico”

Otto giorni dopo ci sarebbe stata l’amarissima eliminazione ai calci di rigore nella semifinale contro l’Argentina di Maradona a Napoli, dove lei passò di botto dall’estasi all’incubo…

“Io sbagliai uno dei due  penalty che decretarono la nostra eliminazione. Non ero nella cinquina di quelli che avrebbero dovuto tirarli. Mi sentivo ormai fuori dalla partita e dai giochi, ma a un cero punto mi si avvicinò Vicini e mi disse: Solo tre mi hanno dato la loro disponibilità. Tu te la senti?”. Non ebbi il coraggio di dirgli di no, anche perché non ero un calciatore di primo pelo. Quando, però, mi preparai per la rincorsa, non ero più io. Mi tremavano le gambe. Facevo fatica a respirare. Tirai, sbagliai e di quello che accadde da quel momento sino alla finalina per il terzo posto, che quattro giorno vincemmo a Bari contro l’Inghilterra, non ricordo nulla. Gli abbracci consolatori dei compagni li ho visti in televisione qualche tempo dopo. Fu una crisi di punico in piena regola, la prima  e l’ultima della mia carriera. Evidentemente anche la favola più bella ha il suo orco cattivo”[…]

Fonte: Il Foglio Quotidiano

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