Anfield 1992: la prima volta
Il tempo è un fiume che scorre perennemente in avanti, senza conoscere ostacoli, dighe, impedimenti orografici, né deviazioni, a meno di non voler entrare, scienza permettendo, nel campo della fantasia. Esistono delle isole, però, i ricordi, scogli di memoria che fissano momenti indelebili, che rendono grande l’avventura umana.
Lo sport, metafora della vita, risponde perfettamente a tutto questo, scrivendo i libri di storia con le grandi imprese, che non sono per forza le vittorie di coppe o trofei, ma molto spesso degli episodi che vengono ingigantiti man mano che gli anni si allontanano dal nostro presente, in un rapporto inversamente proporzionale.
Il più delle volte sono quegli eventi che interrompono una leggenda, infrangono un tabù, rendono perciò più grande l’impresa e ancora più grande la leggenda stessa, portando il tutto al mito.
Per far sì che questo accada, non devono incontrarsi, o scontrarsi, per forza due giganti, anzi l’impresa diventa tale quando è il “piccolo”, lo sfavorito, a prevalere, nelle’eterna lotta di Davide contro Golia.
La storia che andiamo a raccontare racchiude tutto questo, parte da lontano nello spazio e nel tempo, originando in Inghilterra, là dove il calcio prese forma diventando poi come lo conosciamo, trasformandosi da gioco a sport, adottando quelle regole che i figli di Albione seppero imporre.
Da sempre il confronto con i “maestri” inglesi rappresentava una sorta di esame di maturità per tutte le altre nazionali, poche erano riuscite a superarlo, pochissime a violare il suolo inglese, confermando l’impossibilità di invadere l’isola britannica.
Fino alla metà degli anni Cinquanta il confronto tra noi e loro era circoscritto alle sole squadre nazionali, allargandosi poi anche alle squadre di club nelle coppe europee che in quel periodo iniziavano a scrivere la loro storia.
La prima vittoria in assoluto contro la nazionale dei Tre Leoni sarebbe arrivata in un’amichevole nel giugno del 1973 (14 giugno, due a zero), quello stesso, evidentemente magico, anno, il 14 novembre, gli azzurri poterono prendersi la soddisfazione di espugnare Londra, Wembley, con un gol di Fabio Capello nel finale di gara dopo le grandi parate di Dino Zoff.
Piccole soddisfazioni elargite da un’Albione grandemente perfida, le coppe sembrarono ampliare il divario, con le vittorie in casa loro che restavano una chimera.
Un tabù che sarebbe stato sfatato solo nella stagione 1982/1983, quando la Juventus di Giovanni Trapattoni e Michel Platini andò a vincere in casa dell’Aston Villa, tra l’altro campione in carica (due a uno), dando vita al sogno di vincere la prima Coppa dei Campioni, tramontato al cospetto dell’Amburgo, in quel di Atene.
C’era, e c’è, uno stadio in particolare che esercita un ulteriore fascino per l’atmosfera che si vive: quello di Anfield, casa del Liverpool.
Il club fu fondato nel 1892 e da quel momento ha sempre giocato nello stadio che sorge su Anfield Road, ma l’impianto inizialmente fu fatto costruire dai rivali dell’Everton, l’altra squadra di Liverpool, che era nata nel 1878.
Trasferitosi definitivamente a Goodison Park, l’attuale casa dei Toffees, rimasero solo i Reds proprietari dello stadio costruito dall’archistar Archibald Leitch, e lì hanno scritto pagine e pagine di storia, festeggiato trofei, adottata quella che è diventata la loro colonna sonora, You’ll never walk alone”, che accompagna la squadra fin dal 1963 e l’ascolto della quale, da solo, vale il prezzo del biglietto, un po’ come la haka degli All Blacks neozelandesi del rugby.
Atmosfera che travolse anche l’Inter di Helenio Herrera nella semifinale di andata della Coppa dei Campioni 1964/1965 (tre a uno), che pure si rifece al ritorno e avrebbe poi vinto la sua seconda Coppa contro il Benfica; e la Juventus negli ottavi di Coppa delle Coppe della stagione successiva, sconfitta ed eliminata (due a zero, dopo aver vinto l’andata uno a zero).
Non ci furono più per lunghi anni le occasioni di incrociare i bulloni inglesi e italiani a Anfield, ma quando capitò di nuovo, nella stagione 1991/1992, si scrisse veramente la storia, e a farlo non poteva che essere il club nostrano con la matrice più britannica: il Genoa.
La storia del Grifone è molto imparentata con quella dei Reds: fondato nel 1893, un anno dopo gli inglesi, è il nostro club più antico, vincitore del primo campionato nel 1898 e squadra maggiormente titolata tra questa data e l’ultimo titolo vinto nel 1923/1924, nove campionati.
Alti e bassi poi, conoscendo anche la Serie C, ma sempre risorgendo.
Dal 1990 allenatore dei rossoblu era Osvaldo Bagnoli, il Mago della Bovisa, che qualche stagione prima era stato tra gli artefici del miracolo Verona e ora guidava una buona squadra che, nella stagione precedente, aveva portato al quarto posto in Serie A, che valeva la qualificazione alla Coppa Uefa.
Assieme ai liguri, in quell’avventura internazionale per l’Italia figuravano anche Inter e Parma, che sarebbero state eliminate ai trentaduesimi, e il Torino, che invece sarebbe arrivato fino alla finale, poi persa contro l’Ajax di Amsterdam.
Il Genoa avrebbe superato lungo il suo cammino gli spagnoli del Real Oviedo, i rumeni della Dinamo Bucarest, e i loro connazionali della Steaua agli ottavi.
I quarti di finale sembravano sbarrati poiché l’avversario di turno era proprio il Liverpool.
La squadra di Bagnoli compì già un’impresa superando gli inglesi a “Marassi” grazie alle reti di Valeriano Fiorini e Branco, ma si sapeva che ad Anfield si sarebbe suonata un’altra musica, gli inglesi in casa loro diventano leoni pronti a sbranare gli avversari, più”gattini” in trasferta.
È il 18 marzo 1992 quando Anfield si illumina per ospitare la partita, la Kop, la mitica curva del Liverpool, ruggisce, così come gli undici in campo, ma i genoani resistono.
Simone Braglia para tutto, i rossoblu non si limitano a difendere ma rintuzzano gli attacchi inglesi e a metà primo tempo sono premiati: volata di Gennaro Ruotolo sulla destra, cross al centro e rasoiata vincente di Pato Aguilera.
Per gli inglesi la qualificazione a quel punto è quasi compromessa, ma non demordono, e a inizio ripresa trovano il pareggio con un colpo di testa di Ian Rush.
I tifosi continuano a incitare ancora speranzosi, ma alla fine devono chinare il capo di fronte alla seconda prodezza di Aguilera, che chiude definitivamente i conti.
Per la prima volta, proprio nel centenario degli inglesi, Anfield è conquistato da una squadra italiana, e per capire la portata dell’impresa basta pensare che in campo internazionale solo altre tre squadre prima di allora erano uscite vittoriose da quello stadio: gli ungheresi del Ferencvaros, i connazionali del Leeds, gli jugoslavi della Stella Rossa.
Una vittoria dal sapore speciale, da derby, perché i Reds erano allenati da quel Graeme Souness che aveva militato nella Sampdoria.
Un successo storico, arricchito da un trofeo: da allora, You’ll never walk alone è anche l’inno del Grifone.
18/03/1992 Ottavi rit. Coppa Uefa Liverpool – Genoa 1-2 Anfield Liverpool
LIVERPOOL: Hooper, Jones (64′ Venison), Burrows, Nicol, Mølby, Wright (16′ Tanner), Marsh, Saunders, Rush, Barnes, McManaman. All.: Graeme Souness
GENOA: Braglia, Torrente, Branco, Eranio, Collovati, Signorini, Ruotolo, Bortolazzi, Aguilera (85′ Caricola), Skuhravy, Onorati (77′ Fiorin). All.: Osvaldo Bagnoli
Marcatori: 28′ Aguilera (G), 49′ Rush (L), 72′ Aguilera (G)
Arbitro: Van Den Wijngaert (Belgio)
GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli)