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Antognoni: il 10 che conquistò il cuore di Firenze

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CORRIEREDELLOSPORT.IT – Un ragazzo cresciuto con il mito di Gianni Rivera grazie alla fede calcistica del padre, che a Marsciano  gestisce un bar, sede di un Milan Club. Giancarlo Antognoni nasce nel paese umbro il 1° aprile 1954. Le doti tecniche del fanciullo attirano le attenzioni del Torino, che lo acquista nel 1969. Pochissimo tempo in granata e ha già le valigie in mano: la destinazione è vicina, si trasferisce per giocare in Serie D con i Galletti dell’Asti. Esperienza fatta, è tempo di crescere veramente: il calciomercato 1972 rappresenta la svolta, non solo per lui ma per un’intera città: Firenze avvia la sua storia, un amore viscerale, un qualcosa di unico che nessuno sarà più in grado di raggiungere.

L’ESORDIO – Determinato, educato, umile, Antognoni ha il compito per nulla semplice di colmare il tassello lasciato scoperto dalla cessione di Chiarugi. Debutta in A 18enne il 15 ottobre 1972, la Viola vince a Verona e Sandro Ciotti, che di quella gara è radiocronista, esclama:  «Oggi ho visto esordire un campione».L’indomani sui giornali si comincia a parlare di lui. Per uno scherzo del destino, o forse solo perché quando ci si mette, questo giuoco regala storie magiche, il Corriere dello Sport non solo lo elogia, ma lo paragona a qualcuno. Quel qualcuno è un profilo a lui molto noto, è il suo idolo, è il Golden Boy Gianni Rivera. Liedholm conferma di avere pochi eguali sotto la voce “giovani talenti”: non ha avuto paura a far esordire un altro ragazzino. Giancarlo in campo non è solo elegante, geometrico, visionario ma anche essenziale, concreto, pratico. All’inizio veste la numero 8 (Merlo e “Picchio” De Sisti si palleggiano la 10), quello dell’infinito. Il suo primo numero forse è un segno, anche se ben presto erediterà quello che lo distinguerà per il resto della carriera: diventerà “il Signore di Firenze”e i signori del calcio hanno solo un numero, il 10. Si fa spazio e, partita dopo partita, diventa indispensabile, non importa chi sieda in panchina (la Fiorentina ne cambia tanti), lui è li in mezzo al campo, a disegnare gioco, creare, stupire, lasciando tutti a bocca aperta. Ancora giovanissimo eredita la fascia di capitano da Brizi. Nel 1975 arriva il primo successo della sua carriera: la Fiorentina vince la Coppa Italia e, ancora una volta, ironia della sorte, c’è l’Abatino nel suo destino, in finale a farne le spese è il Milan di Rivera.

LA NAZIONALE –L’Italia è reduce da un fallimento nei Mondiali ’74, Bernardini sostituisce Valcareggi e rivoluziona la squadra. Giancarlo debutta contro l’Olanda di Cruijff il 20 novembre 1974. Gioca una partita sensazionale effettuando il lancio giusto per il vantaggio firmato Boninsegna, poi il fenomeno olandese con il numero 14 la ribalta e gli Azzurri perdono. Non importa, l’Italia ha trovato una stella. Nel frattempo continua a strabiliare Firenze, ma nel 1977-78 i viola cadono nel baratro. Anche il numero 10 entra tra le critiche rivolte alla squadra. Antognoni si prende le responsabilità che gli competono. Il 23 aprile ’78 una bomba su punizione apre il 2-0 al Toro. Nell’ultimo turno al Comunale arriva il Genoa, le due squadre sono a pari punti in terzultima posizione, la Fiorentina ha due risultati su tre, finisce 0-0. I viola sono salvi, i rossoblù no. Giancarlo comincia a riscontrare i primi problemi fisici che lo tormenteranno per il resto della carriera, prende parte ai positivi Mondiali ’78 ma non è in perfette condizioni, e nel torneo non si esalta.

DALL’INFERNO AL PARADISO –Negli anni che seguono i problemi fisici sembrano risolti, Antognoni raggiunge il suo livello più alto e nel 1981 il presidente Pontello investe sul mercato. Il suo ex compagno De Sisti è diventato l’allenatore viola e può finalmente contare su un gruppo di grande livello. La Fiorentina mantiene il passo di Juventus, Inter e Roma ma tutto finisce il 22 novembre. Il Comunale si ferma al 55′, tre minuti prima esultava per un suo gol mentre ora prega per la sua vita: il portiere del Grifone Silvano Martina frana sul numero 10, Antognoni ha la lingua rovesciata in gola e la bava alla bocca. Il polso non c’è, serve la respirazione bocca a bocca e qualcuno che rimetta la lingua del simbolo viola a posto. Grazie alla prontezza del dottor Gatto e del massaggiatore Raveggi il cuore, dopo trenta secondi di pausa, riprende a battere. La corsa in ospedale e nessuna notizia per venti minuti. Poi, la voce dell’altoparlante: «Antognoni è fuori pericolo». Un applauso liberatorio riecheggia per tutta Firenze. La paura è passata. Giancarlo non gioca per 14 partite, la Fiorentina arriverà a un punto dalla Juve a fine campionato. Senza quell’incidente, probabilmente, l’albo d’oro della Serie A sarebbe da aggiornare. Il destino, sempre con un pizzico di amarezza per il simbolo viola, lo ripaga. In estate ci sono i Mondiali di Spagna e Antognoni è titolare fisso nell’11 di Bearzot. Gioca un gran Mondiale ma in semifinale contro la Polonia deve abbandonare il terreno di gioco. Si laurea campione del mondo, ma sempre con il rammarico di non aver giocato la partita decisiva.

SIMBOLO DI UNA CITTÀ –Dopo 15 anni in viola, diventato ormai una leggenda del club, lascia Firenze nel 1987. Non veste altri colori in Serie A, e chiude la carriera in Svizzera. Con 429 partite giocate in tutte le competizioni, condite da 72 reti, è primatista assoluto di presenze nella storia della Fiorentina, che reagisce orgogliosa quando la FIGC nel 2018 lo inserisce nella Hall of FameVeterano italiano”. Rimane una delle ultime bandiere del nostro calcio.

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