GLIEROIDELCALCIO.COM (Marco Giani) – Pur essendo annoverato fra i campioni del mondo di Italia 1934, sono assai poche le informazioni che possono essere reperite sulla pagina di Wikipedia dedicata al mediano milanese Armando Castellazzi (1904-1968), che indossò ininterrottamente la maglia nerazzurra dal 1924 al 1936, divenendone poi immediatamente allenatore per un biennio (1936/1938). Di certo, Castellazzi non fece nulla per farsi notare, impersonando benissimo quella figura non solo calcistica ma anche spirituale di mediano fuori dalle luci della ribalta che sarebbe stata impersonata anni dopo a San Siro da Lele Oriali, e cantata dal tifoso nerazzurro Luciano Ligabue: eppure la sua biografia offre qualche spunto d’interesse, se non altro perché ci dimostra il supporto che il calcio professionistico maschile diede, nel 1933, al nascente calcio femminile italiano.
Una cartolina di Armando Castellazzi, affrancata. Fa parte di una serie di cartoline che nel marzo del 1933 gli amici e le amiche di Giuseppe Barcellona, allora al confino alle Tremiti, mandarono una per una all’amico, conoscendo la sua fede nerazzurra, il quale così poté avere fra le mani l’11 dell’Ambrosiana-Inter che amava andare a vedere sugli spalti dell’Arena Civica. Fonte: Archivio privato Giovanna Boccalini Barcellona (col permesso di Luigi Ferrari).
Frutto del vivaio, Castellazzi esordì con la maglia nerazzurra il 24 febbraio 1924, entrando però stabilmente in squadra solo l’anno dopo, nella stagione 1925/1925, quando ancora i nerazzurri giocavano nel campo di via Goldoni. Finito coi compagni nerazzurri nella famigerata fusione con l’US Milanese della stagione 1928/1929 che diede vita all’Ambrosiana, Castellazzi vinse il suo primo (ed unico) scudetto come giocatore nel 1929/1930, collezionando ben 32 presenze, superato in questo solo dal collega di centrocampo Enrico Rivolta e soprattutto dall’assoluta star del team milanese, Giuseppe Meazza, che mandava in visibilio il pubblico dell’Arena Civica.
Come noto, il due volte campione del mondo Meazza ebbe però la sfortuna di vincere ben poco in Italia, visto che all’inizio degli anni Trenta la sua Ambrosiana-Inter trovò sulla propria strada la corazzata bianconera della Juventus cinque volte campione d’Italia (1930/1935). Guardiamo ad esempio alla stagione 1933/1934: i nerazzurri di Meazza, Serantoni e Levratto, che avevano esordito asfaltando il malcapitato Casale con ben 9 reti nella partita d’esordio, raggiunsero la vetta già alla quarta giornata, e mantennero il primato per la maggior parte del campionato. Complici anche due evitabili sconfitte, a marzo l’Ambrosiana-Inter venne quindi superata da quella Juventus che pure aveva sconfitto nel primo scontro diretto: alla fine i bianconeri, trascinati dalle 31 reti del diciannovenne Felice Borel II, scucirono dal petto dei nerazzurri l’agognato scudetto.
Fra le tante tifose nerazzurre che assistettero, sugli spalti dell’Arena Civica di Milano, a tale mirabile psicodramma da «pazza Inter» ante-litteram, c’era anche la maestra Giovanna Boccalini (1901-1991), moglie del ragioniere Giuseppe Barcellona e madre di Giacomo e di Grazia Barcellona (futura campionessa italiana di pattinaggio artistico su ghiaccio). Andare allo stadio a veder giocare Meazza e compagni era anche un modo per sentirsi vicina al marito, che in quei mesi scontava una condanna al confino alle isole Tremiti: la coppia era infatti unita non solo dalla comune fede politica antifascista, ma pure da quella nerazzurra, e in generale dalla passione per lo sport. Nella primavera del 1933 Giovanna aveva attivamente aiutato le proprie tre sorelle minori Luisa, Marta e Rosetta a fondare la prima squadra di calcio femminile d’Italia, il Gruppo Calcistico Femminile (GFC), supportandole come «commissaria» (quella che oggi chiameremmo team manager); qualche anno più tardi Giuseppe, tornato dal confino, avrebbe accettato l’incarico di accompagnatore della squadra di pallacanestro femminile dell’Ambrosiana in cui militò e vinse 3 scudetti la cognata Rosetta, diventata nel frattempo cestista. Alla fine dell’estate del 1933 – quando cioè il regime fascista che fino a quel momento aveva tollerato il calcio femminile italiano stava per cambiare idea, preparando il boicottaggio che sarebbe stato messo in pratica in autunno – Giovanna ricevette un’inaspettata visita, come scrisse ella stessa in una lettera al marito alle Tremiti, il 26 agosto 1933: «Ho dovuto fare una lunga interruzione [nella scrittura epistolare] perché ho ricevuta una visita. Immagina da chi: da Castellazzi Armando. Si è fermato oltre due ore perché ha voluto essere minutamente informato di tutta la piangente nostra odissea. Mi ha pregata di essergli interprete verso di te dei suoi sentimenti di affettuosa amicizia e di salutarti cordialmente ed affettuosamente anche a nome di suo fratello e di tutti i suoi. Tornerà verso il 22 settembre per avere altre notizie. Ti scriverà poi lui stesso». Non sappiamo bene come si fossero conosciuti, Armando Castellazzi e l’abbonato alla tribuna nerazzurra all’Arena Civica Giuseppe Barcellona: forse per canali legati alla squadra, o forse in occasione della seconda ed ultima partita pubblica del GFC. La mattina del 9 luglio 1933, infatti, molti calciatori dell’Ambrosiana-Inter (le fonti ci assicurano solo sui nomi di Castellazzi, Levratto e Allemandi) andarono a vedere giocare le ragazze assieme agli ospiti dello Sparta Praga, che nel pomeriggio avrebbero affrontato (e sconfitto) all’Arena Civica, in occasione della semifinale di andata della Coppa dell’Europa Centrale. Non solo Castelazzi tornerà a visitare Giovanna, informandosi della sorte del marito al confino: i coniugi torneranno a parlare del suo stile di gioco nelle dolenti lettere fra Milano e le Tremiti. Dopo essere andata a vedere giocare i nerazzurri contro il Bologna l’8 aprile 1934, Giovanna scriverà al marito: «È stata una partita interessante: tirata fino all’ultimo. Per me il migliore in campo è stato: Castellazzi. Se tu lo vedessi giocare ora! È semplicemente meraviglioso e sempre signorile nel suo gioco». Dieci giorni dopo Giuseppe le risponderà: «Salutami Castellazzi, del quale seguo sempre il gioco bello [,] elegante e redditizio, attraverso i resoconti dei giornali». L’impressione di Giovanna è confermata dalle fonti giornalistiche, visto che La Gazzetta dello Sport, nel coccodrillo per la sua morte (1968), ricorderà di Castellazzi non solo «l’elegante, corretto, signorile gioco dell’atleta milanese», ma anche «l’uomo esemplare dentro e fuori dal campo di gioco». Le visite alla sofferente Giovanna Boccalini non fanno che confermare quest’ultimo aspetto, e ci dicono forse qualcosa sulla vita privata di giocatori che poi certamente in pubblico erano chiamati a supportare, in primis eseguendo il saluto romano a inizio match, quello stesso regime che colpiva la famiglia Barcellona-Boccalini.
Il saluto romano dei giocatori dell’Ambrosiana-Inter all’inizio di un match della stagione 1934/1935. Fonte: La Domenica Sportiva, 30 settembre 1934, pp. 6-7.
L’estate del 1934 segnerà, in maniera abbastanza casuale, l’apice calcistico della carriera di Castellazzi, chiamato da Vittorio Pozzo come riserva della Nazionale italiana ai Mondiali giocati in casa. Il mediano venne scelto in extremis per una rappresentativa con la cui maglia aveva giocato solamente due amichevoli molto tempo prima, nel 1929 (contro il Portogallo) e nel 1930 (contro la Svizzera). Ancora nel marzo 1934, giocando l’Italia contro la Grecia a Milano, il CT l’aveva sì convocato, lasciandolo però in panca, in compagnia di Arcari, Borel II e Ferrari. Il 31 maggio 1934, a Firenze, in occasione del celebre quarto di finale contro la temibile Spagna di Zamora, Vittorio Pozzo decise di offrire una chance al mediano milanese: fu quella la prima ed unica presenza in partite ufficiali di Castellazzi con la maglia azzurra, in virtù della quale si laureò però Campione del Mondo.
Borel II, Castellazzi, Meazza e Ferraris assistono, a bordo campo, alla partita fra Fiorentina e Manchester, durante i giorni del ritiro pre-Mondiale a Roveta. Fonte: La Domenica Sportiva, 20 maggio 1934, p. 3.
Appese le scarpette al chiodo, come già detto, Castellazzi divenne allenatore dei propri ex-compagni: alla seconda stagione (1937/1938), riuscì addirittura a far vincere a Giuseppe Meazza e soci un insperato scudetto. Quando, nei primi giorni del 1968, morì, fu proprio il vecchio compagno d’avventure calcistiche, assieme all’avvocato Prisco e ad Annibale Frossi (altra gloria nerazzurra degli anni Trenta) a firmare il necrologio a nome dell’Inter, che così recita: «calciatore ed allenatore dell’Inter, campione d’Italia e del mondo, seppe imporsi su ogni campo di gioco per lo stile inconfondibile e la correttezza esemplare».
Fonti
La Gazzetta dello Sport, 5 gennaio 1968, pp. 5 e 8.
Marco Giani, «Storia di Storia di un pregiudizio, e di una lotta», in Federica Seneghini, «Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce». Milano, Solferino, pp. 219-330.
Nato a Gallarate (VA) nel 1984, è docente di Storia e Geografia in una scuola milanese. Addottorato in Ca’ Foscari in Storia della Lingua Italiana, da anni si è dedicato alla storia dello sport femminile durante il Ventennio fascista, provando ad indagare sia le questioni di genere sia il tema della rappresentazione linguistica ed iconografica della donna sportiva in tale contesto fortemente maschilista: il suo lavoro principale è stata la ricostruzione della vicenda storica del Gruppo Femminile Calcistico di Milano (1933), prima squadra di calcio femminile del nostro paese, alla base poi del romanzo di Federica Seneghini “Giovinette” (Solferino, 2020). Studiando il passato del calcio femminile, è approdato al suo presente, cui ha dedicato “Capitane coraggiose. Sara Gama e Megan Rapinoe, due leader a confronto” (Ultra Sport, 2023). È membro della Società Italiana di Storia dello Sport (SISS). Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.