GLIEROIDELCALCIO.COM (Danilo Comino) – Com’è noto, il calcio, lo sport più amato dagli italiani, nacque nell’Inghilterra del secolo XIX; fu lì che, nel 1863, fu fondata la Football Association – il più antico organo direttivo del football del mondo – con l’obiettivo di dare un regolamento comune a tutti i club nati negli anni precedenti per giocare a football. In pochi decenni il calcio sarebbe diventato lo sport più seguito nel Regno Unito e, in seguito, nel mondo. Alle origini del calcio sono stati dedicati numerosi studi, soprattutto nel Regno Unito, dove la storia del football è diventata un tema d’indagine accademico. In quest’articolo, e nei due seguenti, vorrei trattare dei primi anni del football da una prospettiva particolare, quella storico-artistica; credo, infatti, che le opere d’arte possano raccontare una storia originale e indipendente, ma allo stesso tempo complementare a quella ricostruita dagli storici. Nello specifico, prenderò in esame tre dipinti di pittori inglesi che, a mio parere, illustrano nel modo migliore le tappe principali della storia del football nell’Inghilterra del secolo XIX. Nel presente articolo tratto di un quadro che ha un legame, seppur minimo, con l’Italia perché fu esposto alla mostra Football – I domini del calcio: memoria, cultura, comunicazione organizzata a Roma in occasione dei mondiali di calcio del 1990. S’intitola Football, fu dipinto da Thomas George Webster (Londra, 10 marzo 1800 – Cranbrook, 23 settembre 1886) e fa parte delle collezioni del National Football Museum di Manchester, il più importante museo sul calcio del mondo. Il quadro che stiamo per analizzare fu esposto tra gli elogi di pubblico e critica alla Royal Academy of Arts di Londra – la più prestigiosa sede espositiva britannica – nel 1839, ossia ben ventiquattro anni prima della nascita della Football Association inglese.
Thomas George Webster, FOOTBALL, 1839. Manchester, National Football Museum
Football di Webster raffigura dei ragazzini che giocano con un pallone ai margini di una città dell’Inghilterra, in quella zona in cui le case si diradano per cedere il posto alla campagna; al riguardo va ricordato che nella summenzionata mostra romana del 1990 il quadro figurava col titolo di Football a Londra (del resto, Webster era nato nella capitale britannica e qui viveva ancora nel 1839). La scena si svolge in un giorno di sospensione dell’attività lavorativa come suggeriscono gli adulti in fondo a destra, nello spiazzo di fronte alle case, che paiono piacevolmente rilassati nei loro abiti dalla modesta eleganza popolare. La tranquillità di quest’area del quadro contrasta vivamente con la scena tumultuosa in primo piano, dove un gruppo di ragazzi – se ne contano almeno ventidue – si abbandona a una lotta furibonda intorno a un pallone. I giocatori formano come una valanga umana che parte dalla metà del lato destro – dove vediamo un albero e un bambino caduto a terra – e si dirige verso l’estremità sinistra, dove si trova un ragazzino che ha tutta l’intenzione di opporsi coraggiosamente all’orda che si sta approssimando. Di fronte a lui sta succedendo di tutto: ragazzi che si spintonano a vicenda, si scalciano, si buttano a terra, si trattengono per i vestiti o per i capelli, alcuni stanno cercando di riprendersi dalle botte alla testa e alle braccia o dai calci negli stinchi. A sinistra, il ragazzo che sta calciando il pallone, sta ricevendo una gomitata in faccia da quello in giacca beige, mentre un altro sta sopraggiungendo alle sue spalle. Qua e là ci sono cappelli caduti a terra; abbassare il copricapo sugli occhi a un avversario doveva essere il modo più rapido per disorientarlo: si veda, ad esempio, il ragazzo in camicia bianca che inciampa su quello a gambe all’aria in primo piano. Va notato come gli adulti non siano per nulla turbati dalle botte che si stanno dando i ragazzi; anzi, sulla destra vediamo una mamma che passeggia tranquillamente con suo figlio. Venendo al gioco, possiamo dire con buona sicurezza che il football descritto da Webster in questo quadro ammette placcaggi e interventi piuttosto violenti sugli avversari, ma pare basarsi sul fare avanzare il pallone con i piedi piuttosto che con le mani. Come dicevo, il bambino sull’estremità sinistra pare intenzionato a opporsi all’avanzamento del pallone: si tratta di un portiere? Se così fosse, dove sarebbe allora la porta? Forse è eccessivo pretendere che il quadro possa rispondere a queste domande; Webster era un pittore, non uno storico del football, non era sua intenzione descrivere le regole del gioco nel dettaglio. Pertanto, lasciamo questi interrogativi senza risposta e passiamo a riassumere brevemente cosa sappiamo di questo football tradizionale inglese anteriore alla fondazione della Football Association nel 1863.
Il football era uno dei passatempi invernali preferiti dalla classe lavoratrice; i gentlemen invece, se ci giocavano in gioventù, lo abbandonavano in età adulta perché aveva una connotazione troppo plebea. La notizia più antica sul football è del 1173 e ci dice che a Londra i giovani, gli studenti e i lavoratori di ogni mestiere erano soliti giocare nei campi intorno alla città ogni Martedì Grasso. Nei secoli seguenti le autorità tentarono più volte di bandire questo gioco, ma senza successo. Esistevano due tipi di football. Il più appariscente era quello che si giocava in ricorrenze determinate come il Martedì Grasso; era una grossa festa popolare che coinvolgeva interi villaggi; le squadre erano formate da un numero imprecisato di persone – decine o anche centinaia – che lottavano attraverso le strade e le piazze del centro abitato – arrecando danni a case e negozi – con l’obiettivo di portare il pallone in meta.
Farley, Futeball 1311, fine sec. XX. Manchester, National Football Museum
Era permesso quasi tutto – calci, spintoni, trattenute e botte varie – in questo giorno di anarchia che terminava il carnevale. Questo tipo di football incontrò un’opposizione crescente dalla fine del Settecento a causa dei disordini e dei danni che provocava; una legge del 1835, che proibiva il gioco del football sulle strade pubbliche, portò alla sua scomparsa in varie località. L’altro tipo di football era invece molto più simile alla nostra idea di sport e fu descritto in questi termini nel 1801: «il football è chiamato così perché la palla è fatta muovere con i piedi invece che con le mani. Un tempo era molto in voga tra la gente comune d’Inghilterra, anche se negli ultimi anni sembra essere caduto in cattiva reputazione ed è poco praticato. Quando è organizzata una partita di football, due squadre, ciascuna contenente un numero uguale di contendenti, scendono in campo e si schierano tra due mete, posizionate alla distanza di ottanta o cento yard una dall’altra. Di solito la meta è composta da due bastoni conficcati nel terreno a due o tre piedi di distanza. La palla, che di solito è formata da una vescica gonfiata rivestita di pelle, è lanciata in mezzo al campo e l’obiettivo di ciascuna squadra è spingerla attraverso la meta dei loro antagonisti: vince la partita chi raggiunge tale obiettivo. Le abilità dei giocatori si mostrano al meglio nell’attaccare e nel difendere le mete. Quando questa attività diventa eccezionalmente violenta, i giocatori si prendono a calci negli stinchi a vicenda senza la minima cerimonia e gli arti di alcuni di loro sono messi in serio pericolo». Il così detto hacking – il calciare gli stinchi – era quindi un tratto distintivo del football tradizionale; non a caso nel quadro di Webster vediamo, a destra, un ragazzo che si regge uno stinco dolorante: riparleremo dell’hacking nel post successivo. Questa descrizione non deve farci pensare che il football fosse uguale in tutto il territorio britannico giacché sappiamo che era giocato secondo una miriade di varianti locali. Una cosa importante che ci fa conoscere la su citata fonte è che già nel 1801 il football tradizionale era in crisi; ciò era conseguenza del passaggio da un’economia prevalentemente agricola a una industriale basata sui grandi centri abitati, della rigida disciplina imposta dalle fabbriche e dei lunghi orari di lavoro, cose che resero sempre più difficile alla classe lavoratrice giocare a football. Ciononostante, questo gioco tradizionale continuò a essere presente in zone del paese dove la situazione lavorativa era meno dura che altrove, almeno per gli operai specializzati: negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento sono infatti documentate partite tra squadre di operai anche se il loro numero non è molto elevato. Purtroppo si sa ben poco delle regole seguite in questi incontri; è però noto che i giocatori non si disponevano in campo a caso, ma rispettavano dei ruoli. Un’altra cosa che conosciamo è che, nelle zone in cui continuava a essere praticato, il football era un gioco piuttosto famigliare ai ragazzi.
Proprio dei ragazzi sono i protagonisti di Football del 1839. Di solito i quadri di Webster rievocano con una vena piacevolmente nostalgica la vita nei villaggi di campagna con le sue tradizioni secolari e l’età dorata dell’infanzia. Probabilmente, alla Royal Academy of Arts di Londra nel 1839, il nostro dipinto fece rivivere a molti gli anni spensierati della gioventù. A ciò va aggiunto che Football mostrava un gioco tradizionale che stava gradualmente scomparendo dalla vita del popolo inglese sotto la spinta inarrestabile del progresso, dell’industrializzazione e dell’inurbamento: rappresentava, in sostanza, una sorta di paradiso perduto. Fu forse per questa ragione che il quadro di Webster ebbe grande fortuna nel Regno Unito, dove è considerato la più importante opera d’arte sul football dell’Ottocento; tale successo è confermato dalle copie che furono realizzate del dipinto solo pochi anni dopo la nascita della Football Association nel 1863.
Seguace di Thomas George Webster, Football, 1870 circa. Manchester, National Football Museum