Dopo la deludente esperienza alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912, il tecnico-giornalista del Torino, Vittorio Pozzo – che rimane a tutt’oggi il tecnico italiano più vincente di sempre con la Nazionale azzurra –, intuisce che per migliorare il gioco e l’organizzazione dell’Italia occorrerebbe misurarsi con avversari d’oltreoceano. Tradizioni e culture differenti avrebbero di certo arricchito il nostro bagaglio tecnico-tattico.
E così i granata partono alla volta del Sudamerica a bordo del transatlantico Duca di Genova, proprio come fanno i quattro volte campioni d’Italia della Pro Vercelli, invitati direttamente dalla Federazione brasiliana.
Dopo una traversata oceanica lunga ed estenuante, la squadra di Pozzo sconfigge tutte le squadre brasiliane che gli si presenteranno di fronte. Gli italiani vengono elogiati soprattutto per la loro abilità nel gioco aereo e la grande organizzazione in campo che Vittorio Pozzo ha “rubato” a Stoccolma al profeta del calcio danubiano, Hugo Meisl.
Il gioco degli italiani entusiasma talmente tanto le folle di tifosi in Brasile, che ne influenzerà alcuni nella volontà di fondare una nuova squadra nel quartiere Brás. Loro sono emigrati italiani e rispondono ai nomi di Cervo, Marzo, Ragognetti e Simone. Il 19 agosto 1914 sul giornale «Fanfulla» fanno comparire il seguente comunicato: “Tutti coloro i quali desiderino partecipare alla creazione di un club italiano di calcio (futebol) devono presentarsi alle ore 20 al n. 2 della via Maresciallo Deodoro per la riunione istitutiva della Palestra Itália”.
Il fatto che un gruppo di italiani si sia rivolto a un giornale per pubblicizzare la propria idea calcistica non è un caso. Di futebol in Brasile si parla e si scrive sempre più spesso. La stampa sportiva cresce allo stesso ritmo con cui si fondano nuove squadre. Le prime partite di Corinthians e Santos sono annotate su giornali come «O Brasil esportivo», «São Paulo esportivo» e la «Gazeta esportiva».
Friedenreich, la speranza dei neri in Brasile
Sono le prime notizie sportive che cercano di spostare l’attenzione dei suoi lettori dalla Guerra del Contestado. Da circa due anni, infatti, più di settemila soldati federali hanno le armi puntate contro i contadini degli Stati di Paranà e Santa Catarina rei di essersi rivoltati contro la decisione di donare i loro territori agli americani della Southern Brazil Lumber & Colonization Company. L’incauto dono costerà quattro anni di conflitto e diecimila morti.
Il pesante clima bellicoso in Brasile è lo stesso che si sta respirando in Europa. Nel 1914, da Vienna, il grande scrittore satirico Karl Kraus denuncia in uno straordinario dramma-inchiesta l’inizio de Gli ultimi giorni dell’umanità. A Londra il ministro degli Esteri della Gran Bretagna, osservando le luci di Whitehall, con le lacrime agli occhi fa notare che «i lampioni si stanno spegnendo su tutta l’Europa». A luglio comincerà la Prima Guerra mondiale.
La Marinha do Brasil e l’Exército Brasileiro, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania nel 1917, daranno il proprio contributo sul fronte occidentale. Il casus belli che ha trascinato i brasiliani nella Grande Guerra è stato l’affondamento di alcune navi brasiliane colpite dai siluri teutonici. I sentimenti anti tedeschi fanno esplodere focolai di rabbiose rivalse nei confronti degli immigrati di lingua germanica. I brasiliani appiccano il fuoco a case, fabbriche e scuole di proprietà nemica. Si salva solo la sede della Germânia, la squadra fondata da alcuni esuli alemanni nel 1899.
A segnare i primi gol nel club che poi avrebbe cambiato nome in Esporte Clube Pinheiros c’è Arthur Friedenreich. Il campione che presto trascinerà il Brasile alla vittoria della sua prima Copa América è figlio di un ricco commerciante di Amburgo e di una lavandaia brasiliana dalla pelle color ebano. È smilzo, rapido e, rispetto alla media dei suoi compagni di squadra, anche piuttosto alto. Ciò nonostante, colpisce la palla di testa molto raramente, perché non vuole rovinare la pettinatura levigata con abbondanti dosi di brillantina a coprire i capelli crespi. Sì, perché il giovane Arthur è un mulatto cui è concesso giocare in una squadra di soli bianchi soltanto perché segna gol a caterve. In tutta la carriera pare che ne abbia messi in porta 1329, più di Pelé, ma alla sua epoca era difficile certificare con precisione i dati. Lo avrebbe fatto anni più tardi la Federcalcio brasiliana fissando la cifra ufficiale a 554 reti in 591 partite. La Fifa gli riconoscerà comunque il titolo del più prolifico goleador di tutti i tempi.
Secondo alcuni, è stato proprio il mulatto dagli occhi chiari l’inventore del modo di giocare alla brasiliana. Quello che Pier Paolo Pasolini definirà “poesia”, a differenza del modo europeo, che gli ricordava più la prosa. Di sicuro Friedenreich è stato il primo vero fuoriclasse del Brasile, uno che quando aveva dieci anni palleggiava in strada con un’arancia scansando camion, biciclette e carrozze.
Diventerà anche il simbolo e la speranza del riscatto dei neri e dei mulatti brasiliani, quelli che il presidente Pessoa voleva tenere lontani dal pallone. Per questi emarginati i gol del “Tigre” valevano più della Lei Áurea. E Arthur è amato da tutti, perché in campo dà spettacolo. Nel corso della carriera diventerà talmente famoso che su molti giornali comparirà una sua foto con in bocca un grosso sigaro Torpedo. È forse la prima pubblicità che vede protagonista un calciatore, testimonianza della vasta popolarità raggiunta ormai dal calcio in Brasile.
Friedenreich e la prima Copa del Brasile
Nel maggio del 1919 in Brasile tutto è pronto per la terza edizione della Copa. Alla guida del Paese c’è ora il giurista Epitácio Pessoa, che in giugno siederà insieme agli altri grandi delle potenze vincitrici al tavolo della pace di Versailles.
La Federazione calcistica del Brasile punta tutto sul torneo casalingo per imporsi finalmente su un campo da calcio, mettere in pratica la lezione impartita dagli uomini di Vittorio Pozzo e distrarre l’opinione pubblica dalla strage provocata dall’influenza spagnola. La più terribile epidemia della storia contemporanea, che in Brasile ha ucciso quasi trecentomila persone (la metà dei soldati italiani morti in battaglia in tre anni di guerra), ha mietuto pure vittime illustri. Su tutti l’ex presidente Francisco de Paula Rodrigues Alves. Anche il calcio si è dovuto fermare. È questo il motivo per cui la terza edizione della Copa América ha saltato un anno ed è stata rinviata al 1919.
Friedenreich è la stella del Brasile e comincia a segnare sin dalla prima partita della Copa giocata allo stadio Das Laranjeiras a Rio de Janeiro. La vittima sacrificale è il Cile, cui l’asso brasiliano rifila una poderosa tripletta che consente ai verde-oro di fissare il roboante risultato sul 6 a 0. I cileni di Héctor Parra, avrebbero però dovuto affrontare la sfida più grande sulla strada del ritorno a casa, quando una bufera di neve scatenatasi sulle Ande li bloccherà sul confine argentino. Torneranno a casa quaranta giorni dopo in sella a dei muli.
I tifosi della Seleção, dopo un’altra bella vittoria sull’Argentina, credono nella vittoria e si compattano attorno alla squadra, che da qualche tempo è guidata da una Commissione tecnica formata da due giocatori: il capitano Arnaldo da Silveira e Amílcar Barbuy, il quale una decina di anni dopo avrebbe coperto il ruolo di allenatore-giocatore anche nella Lazio.
Uruguay e Brasile, dopo un rocambolesco pareggio per 2-2, trovandosi entrambe le squadre a cinque punti in classifica, si giocano la Copa in un inedito spareggio. Il 29 maggio, dopo due ore di aspra bellezza, il risultato è inchiodato ancora sullo 0 a 0. E poiché i rigori non sono ancora stati inventati, l’arbitro argentino Juan Pedro Barbera fa giocare altri due tempi supplementari da quindici minuti ciascuno.
Il caldo insopportabile e la stanchezza vincono per prima gli uruguagi. Ne approfitta “El Tigre” Friedenreich, segnando con una zampata l’1-0 che pone fine alla partita più lunga della storia della Copa América. Dopo 150 minuti di gioco i calciatori hanno a malapena la forza di portarsi a casa la Copa, mentre i tifosi brasiliani riempiono le strade di Rio facendo mostra della scarpetta di Friedenreich, che verrà esposta per diversi anni in una gioielleria di calle Ouvidor.
Nato a Cosenza, classe 1985, è storico, regista cinematografico e scrittore. Autore di diversi saggi e documentari sulla storia dello sport, è anche membro della Siss e dell'Anac. Da qualche anno lavora come supplente a Torino e ha da poco fondato la propria casa di produzione.