La Penna degli Altri

Astutillo Malgioglio: “Ero un professionista esemplare eppure spesso non bastava”

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La Gazzetta dello Sport intervista Astutillo Malgioglio a pochi giorni dall’annuncio della onorificenza che riceverà da Mattarella. Ecco un estratto.

[…] Ogni uomo ha la sua personale Partita della Vita. Per molti è spesso una gara secca, il superamento di un ostacolo, il raggiungimento di un obiettivo. Astutillo Malgioglio, 63 anni ed ex portiere di Brescia, Roma, Lazio, Inter e Atalanta gioca la sua ogni giorno da quasi 45 anni. E ogni giorno la vince. Ma il calcio non c’entra o semmai evidenzia ancora di più l’importanza di ciò che decise di fare quando era un giovane calciatore di Serie A e come tanti suoi colleghi avrebbe potuto dedicarsi a divertimenti, bella vita, serate e lussi e invece scelse di spendere tutto il suo tempo libero e tutti i suoi guadagni per aiutare bambini disabili. La sua è una storia commovente. La ripercorre con la delicatezza, la sensibilità, la dignità e l’umiltà di un uomo che nel racconto tende a farsi piccolo pur essendo un gigante e che non ama puntare il dito per accusare, preferendo usare le mani sul corpo di chi ha bisogno di cure.

[…] Condivisione, Malgioglio ripete spesso questa parola. Dal vocabolario significa: “dividere, spartire insieme ad altri, avere in comune”. È quanto Astutillo ha fatto sin da giovane:

“Avevo 19 anni ed ero titolare del Brescia in Serie B quando, grazie a un amico, visitai per la prima volta un centro per disabili. Mi impressionò la loro emarginazione, l’abbandono. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale, mi avevano già ‘insegnato’ il rispetto e la solidarietà verso gli altri, ma quel giorno tutto mi apparve chiaro. La vita non poteva essere solo una palla di cuoio che rotola. Mi sono messo a studiare e mi sono specializzato nei problemi motori dei bambini. Poi col primo ingaggio ho aperto una palestra ERA 77 dalle iniziali del nome di mia figlia Elena nata nel 1977, mia moglie Raffaella e del mio. Lì offrivamo terapie gratuite ai bambini disabili. Li aiutavamo a camminare, a muoversi da soli”.

[…] “Ero titolare del Brescia in Serie B quando, grazie a un amico, visitai per la prima volta un centro per disabili. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco”.

[…] “Ero uno di quelli che si definiscono ‘professionisti esemplari’. Eppure, spesso, non bastava”

[…] Nel 1983 Liedholm lo chiamò alla Roma come vice Tancredi, l’anno dopo la vittoria dello scudetto. “Furono due stagioni splendide. La società mi è sempre venuta incontro: portavo i bambini disabili a Trigoria per la rieducazione, usavo la palestra della squadra dopo l’allenamento. Il calciatore Malgioglio aveva il piacere di giocare con Falcao e Cerezo, l’uomo Astutillo aveva l’onore di aiutare i bambini”.

[…] Roma però portò con sé anche l’amarezza più grande. Dopo due anni in giallorosso passò alla Lazio, in Serie B. Fu una stagione tormentata. La squadra stentava, la società era assente, i tifosi non lo lasciavano in pace criticando il suo impegno fuori dal campo. “Mi sono sempre chiesto il perché di tanta ostilità; non ho mai preteso applausi, solo un po’ di rispetto”. In una partita persa in casa, fischi a ogni suo intervento, fino a quando comparve uno striscione in curva: “Tornatene dai tuoi mostri”. Anche un uomo mite ha un punto di rottura: alla fine della partita si sfilò la maglia, la calpestò, ci sputò sopra e la tirò ai tifosi. “Mi fa male tornare su questo episodio. Non rifarei quel gesto. Solo io e la mia famiglia sappiamo la sofferenza provata. Quello che mi ferì di più, non furono le cattiverie nei miei confronti ma la mancanza di rispetto, di solidarietà, di umanità per quei bambini sfortunati che non c’entravano niente. Il giorno dopo a Piacenza rividi i genitori di quei bimbi. Incrociando i loro occhi, non sapevo cosa dire. Molti di quei bambini non sono riusciti a diventare adulti”.

[…] Aveva deciso di smettere quando arrivò la telefonata di Trapattoni che scelse l’uomo prima del calciatore:

“Firmai in bianco e restai all’Inter cinque anni, vincendo uno scudetto in nerazzurro. Con gli ingaggi rinnovai la palestra con attrezzature all’avanguardia. Venivano da tutta Italia per fare rieducazione nel mio centro. Quando andò via il Trap dall’Inter, si chiuse anche il mio percorso”.

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(LAGAZZETTADELLOSPORT.IT di Andrea Di Caro)

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