GLIEROIDELCALCIO.COM (Roberto Morassut) – Francesco Rocca compie 65 anni. Non li dimostra.
È un uomo con un fisico atletico, proporzione altezza e peso perfettamente allineata, ore di allenamento quotidiano in palestra e su cyclette, dieta controllata e senza eccessi in alto o in basso.
Se non fosse per il grave infortunio del 1976 che ha lasciato il segno sulla gamba sinistra avrebbe un fisico integro come un’atleta ancora attivo.
L’ultima volta che ci ho parlato è stato diversi mesi fa, presso il bar Palombini all’Eur e mi ha raccontato molto della sua storia.
È stato un privilegio perché della sua integrità fa parte anche la riservatezza con cui egli si è difeso negli anni che hanno seguito la fine forzata della carriera agonistica.
Per me Francesco Rocca è un atleta in bianco e nero.
In primo luogo ed ovviamente perché la sua carriera si è sovrapposta solo per pochi anni all’arrivo del colore nella Tv e quindi tutto ciò che ricordo delle sue splendide discese e dei suoi cross e spioventi a liberare gli attaccanti della Roma degli anni ‘70 ha i colori e le gradazioni del grigio delle telecronache, delle sintesi e dei servizi di Novantesimo minuto o della Domenica Sportiva.
Era il tempo delle maximoto attraverso cui il Giappone invase i mercati occidentali con i suoi marchi e quei motori brucianti.
Tra questi la Kawasaki e per la Curva romanista, emanazione del popolino romano e plebeo che ribattezza con suoi codici persone e luoghi (quasi come una renitente forma di paganesimo che resiste all’avvento cristiano) fu facile vedere nella potenza muscolare e fisica di Rocca la trasfigurazione umana di una di quelle nuove macchine che cancellarono di colpo nel gusto degli appassionati lo stile delle Guzzi e delle Benelli.
Era il 26 gennaio del 1975, 9’ minuto del primo tempo: ho impressa nella mente e non l’ho più cancellata una delle azioni di Rocca e della Roma.
Si gioca Roma Inter all’Olimpico sotto una pioggia battente.
Rocca vola via sulla sinistra, sotto la Tevere, con un movimento che ripeteva sempre e che sempre ingannava il marcatore di turno, si porta la palla sul destro con una secca frenata; crossa verso il centro dell’area interista dove in tuffo sbuca Pierino Prati che si infila tra Bini e Bordon e segna il gol della vittoria.
Una vittoria che proietta la Roma al 4 posto (arriverà terza alla fine della stagione) dopo una striscia di sei vittorie consecutive ed un pareggio ingiusto a Terni la domenica precedente.
Quell’azione la vidi allo stadio da una fessura tra gli ombrelli aperti e sgocciolanti, in piedi sugli spalti e le panchine di legno verde dei vecchi “distinti Nord”.
È un ricordo a colori ma si è fissato nella mia mente in bianco e nero, forse per la giornata piovosa che sbiadiva i colori delle maglie ma forse perché quegli anni erano anni in bianco e nero televisivo e anche morale, per le contrapposizioni radicali ed un certo grigiore della vita pubblica che li segnò, erano gli anni del terrorismo.
Ma Francesco Rocca è per me un campione in bianco e nero perché nella sua vita non ha mai accettato compromessi, sfumature, la qual cosa in tempi di false identità e costanti opportunismi come oggi, è un fatto raro.
“Il Signore mi ha aiutato a uscire dalla difficile situazione nella quale mi sono trovato a 22 anni, in fondo sono fortunato”. Questa frase, che egli mi disse quella mattina di alcuni mesi fa all’Eur, mi ha colpito.
Quale è stata la sua fortuna?
Ha lottato per rientrare nel giro senza piegarsi mai alle opportunità del caso.
Ha voluto restare un uomo integro ed ha avuto la forza, nonostante tutto, di non lasciar andare il suo corpo, di non abbandonarlo.
Preparatore atletico di eccellenza, allenatore diplomato a Coverciano, dirigente sportivo; ha svolto ruoli e ricoperto incarichi nella Federazione Gioco Calcio ed in altre realtà sportive, approcciando ai giovani con una mentalità per molti rigida ma in realtà essenzialmente rigorosa.
Un atleta per durare deve sapere che il suo corpo è la sua risorsa ed è il capitale della sua società.
Allenamento e alimentazione, mentalità e costanza sono fondamentali e soprattutto attenzione all’uso dei farmaci e delle innumerevoli opportunità cliniche che oggi offre la medicina dello sport.
Rocca avrebbe potuto proseguire la sua carriera se il suo recupero dopo il crack del ginocchio sinistro al Tre Fontane fosse andato diversamente?
Forse sì e forse lo avremmo visto in Argentina nel 78 e in Spagna nell’82.
Ma ricordiamo oggi quella discese poderose e il numero 3 bianco sulla maglia granata di un ragazzo di San Vito Romano che fece innamorare la grande Roma e che ancora oggi per la sua storia ed il suo esempio resta una bandiera.
Una di quelle bandiere che meriterebbero, a buon diritto, di avere un posto non solo nella Hall of fame ma anche di dire la loro sulla ricostruzione della nuova Roma.