GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Giovannone) – Al momento della stesura di questo “pezzo”, neanche a farlo apposta, leggo da qualche parte una notizia flash: “Brescia, al Rigamonti arriva il Crotone di Benali”, non esattamente il Barcellona di Messi e Suarez, insomma. Eppure una quindicina di anni fa (parliamo dei primi anni duemila) nella cittadina lombarda, in verità più famosa per la produzione del Franciacorta che per i successi calcistici, approdano due signori che, invece, del calcio sono veri profeti. Parliamo di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi del pallone nostrano, che risponde al nome di Roberto “Divin Codino” Baggio e di un altro timeless dei campioni, il metronomo per antonomasia, lo spagnolo plurititolato Josep “Pep” Guardiola.
Ancora oggi molti non conoscono il motivo per cui due icone del football mondiale decidono di spendere una parte della loro luminosa carriera (seppur quella finale), militando in una squadra della provincia del calcio italiano, che nella sua storia ultracentenaria non ha mai annoverato grandi campioni tra le sue fila (fatta eccezione per “Spillo” Altobelli, bomber Luca Toni e per “Il maestro” Andrea Pirlo). Quell’anno, nella stagione 2001-2002, ne schiera invece addirittura due, e di calibro mondiale.
Per Roberto e Pep la scelta è quindi comune, quella di accasarsi a Brescia, ma le motivazioni che spingono i due campioni a vestire la maglia delle “rondinelle” ne rivelano, in entrambi i casi, la grande statura morale. Sia l’uno che l’altro hanno la possibilità di cogliere opportunità diverse, magari più remunerative e meno impegnative, invece scelgono di mettersi di nuovo in gioco, di barattare una comparsa dorata con un ruolo da protagonista in provincia, di sporcarsi i calzoncini, tradotto, di far cantare ancora la pancia.
Gli ultimi due anni che vive Roberto Baggio prima dell’approdo alla “leonessa” sono calcisticamente travagliati, la sua esperienza all’Inter è deludente, come lo è l’esperienza di Marcello Lippi alla guida della squadra milanese in quel tempo e il loro rapporto non decolla mai. In questo contesto l’intervento decisivo è quello di mister Carlo Mazzone che, a valle della pessima stagione in casacca neroazzurra, chiede semplicemente al Divin Codino: “Verresti a Brescia?”. Dall’altra parte la risposta è immediatamente e sorprendentemente affermativa.
Il ragazzo arriva quindi a Brescia nella stagione 2000-2001 e ci rimane fino alla stagione 2003-2004, regalando in quegli anni perle di calcio assolute, che ancora oggi fanno mordere le mani a qualcuno dalle parti della Pinetina. Tra le numerose segnature rimane memorabile un goal fatto alla Juventus che, indirettamente, spiana la strada alla marcia della Roma verso lo storico scudetto del 2001: lancio dalla metà campo di Pirlo, aggancio al volo e dribbling nello stesso gesto tecnico, e palla alle spalle del mal capitato Van Der Sar. Detta così sembrerebbe facile, in realtà è fantascienza.
Nel marzo 2004, contro il Parma, Baggio raggiunge la duecentesima segnatura in serie A. La sua ultima partita la gioca a San Siro, alla scala del calcio (e dove altro sennò?), il 16 maggio 2004. Alla fine della gara lo attende una standing ovation, senza bandiera e al di fuori del tempo: i presenti al Meazza, all’unisono, riconoscono tributo ad un campione che rimane amato, nonostante abbia vestito maglie di squadre storicamente rivali, o abbia sbagliato un rigore decisivo ad una finale della Coppa del Mondo. Sugello alla splendida carriera di Roberto, il Brescia decide di ritirare la maglia numero 10; nessuno è più degno di vestirla, almeno da quelle parti.
La storia che conduce, invece, Josep Guardiola alla corte di Mazzone è diversa ma altrettanto bella.
Il campione spagnolo, quasi al culmine di una carriera meravigliosa, trascorsa quasi totalmente nelle fila del Barcellona, ha vinto praticamente tutto (sarebbe troppo oneroso citare tutti i trofei alzati) e si trova ad un bivio, passare la mano o rilanciare. Siamo nella stagione 2001-2002 e, come detto, anche lui, anziché smettere di giocare o cedere a offerte faraoniche di club esotici, decide di trasferirsi in una piazza anni luce lontana da quella catalana, proprio Brescia, secondo capoluogo della Lombardia per popolosità dietro Milano. Il motivo che lo spinge a scegliere l’operosa provincia lombarda è materiale per innamorati del pallone. Carlo Mazzone un giorno chiede proprio al fuoriclasse spagnolo, sciorinando un forbito dialetto romano: “Peppe perché sei venuto qui a Brescia, dopo una vita al Barcellona, potevi annà dappertutto, che ce fai qua veramente?” E lui: “Mister, volevo giocare con Roberto Baggio, sono cresciuto con il mito di Baggio, mi hanno presentato questa occasione e non ci ho pensato nemmeno un secondo…”.
Insomma il super campionissimo Guardiola, pur di sedere alla corte di Re Roberto, baratta il Camp Nou da centomila posti o le avances di un ricco club che lo chiama a svernare, col piccolo Mario Rigamonti. Se non è questa una scelta di pancia, quale altra potrebbe mai essere?
Chiaro è che Pep non è una persona banale, parliamo infatti di un uomo sensibile ed estremamente intelligente prima che giocatore, lo si vede dagli occhi. Siamo di fronte ad un ragazzo che sin dalla giovane età non gioca soltanto ma, allo stesso tempo, allena in campo (non a caso oggi è considerato il più forte trainer al mondo). Ai tempi del Barcellona si distingue dai compagni per la sua dedizione al calcio, la sua curiosità e abnegazione che lo portano, anche dopo le vittorie, non a festeggiare con i compagni ma ad approfondire, insieme allo staff tecnico gli aspetti della partita vinta, nell’ottica di migliorarsi ancora e ancora. Divertente un episodio che si svolge nel periodo bresciano quando, dopo un incontro vinto, durante uno dei tanti colloqui con l’allenatore Mazzone e il secondo Menichini, il Sor Carletto sbotta e dice a Guardiola: “A Peppe te vojo bene, avemo vinto lassame stà…”. Bep non se la prende a male, in fondo il suo sogno, quello di giocare al fianco del suoi idolo di sempre, si sta realizzando.
Le meravigliose storie dei due campioni, che giocano dunque insieme dal 2001 al 2003, si intrecciano in modo indissolubile il 21 aprile del 2002. Al Rigamonti si disputa Brescia-Fiorentina e Baggio torna a disposizione di mister Mazzone dopo ben settantasette giorni di assenza, dovuti ad uno dei tanti infortuni che ne hanno, purtroppo, costellato la carriera. Il Brescia necessita di punti pesanti per consolidare la sua salvezza, e l’allenatore trasteverino decide di far subentrare il ragazzo di Caldogno per rovesciare le sorti dell’incontro, messosi non proprio bene. Siamo al minuto venticinque del secondo tempo, in quel momento Guardiola è il capitano della squadra e, al momento dell’ingresso di Roberto, si avvicina al bordo del campo e cede la sua fascia al compagno. Tecnicamente non sarebbe una cosa possibile (soltanto in caso di espulsione o sostituzione del capitano può essere ceduta la fascia) ma quella è un’investitura morale, un riconoscimento da campione a campione, un incoraggiamento verso chi ha sofferto, ancora una volta per tanto tempo, a causa della sfortuna. Il capitano rimane (per il regolamento) Guardiola ma quella fascia intrisa d’amore che Baggio indossa, infonde in lui una forza aggiuntiva, che lo porta a segnare ben due reti nel giro di una ventina di minuti, e a rovesciare quindi le sorti della partita.
Sono davvero toccanti le parole tra Pep a Roberto al momento del loro abbraccio e della cessione della fascia di capitano, se non fosse per il piccato e, al solito, genuino intervento del Sor Carletto. Roberto, infatti, continua a ripetere al compagno: “Pep tienila tu, non ti preoccupare, lascia stare…”. Guardiola, invece, anche lui più volte: “Roby la fascia è tua amico mio, arrivi da un lungo infortunio, ora entri e fai…”. A quel punto si alza inviperito Mazzone dalla panchina e tuona: “Ahò ve movete che la vojo vince ‘stà partita e daje su…”. Quanto incanto e disincanto nel giro di tre battute.
Una volta terminato l’incontro, all’interno dello spogliatoio, lo steso Mazzone che qualche minuto prima sgrida Guardiola per le eccessive cerimonie nei confronti del compagno, lo prende da parte e gli regala una frase che suona di profezia: “Peppe oggi abbiamo vinto soprattutto grazie al tuo gesto, diventerai l’allenatore più bravo del mondo”.
Oltre al realismo trasteverino di mister Mazzone mi mancano tremendamente due personalità come quella di Baggio e Guardiola. Oggi, inevitabilmente, vedendo i tatuaggi che campeggiano invadenti sui corpi dei calciatori, ed il loro modo di pensare ed agire, non posso non avere nostalgia per quel tempo, per questi campioni, per questi uomini.
Mi risalgono quindi fortissime le note, con retrogusto amaro, della canzone di Cremonini, che si porta via, oltre alle magie di Roberto, una bella fetta della mia gioventù: “Ahhhh, da quando Baggio non gioca più … non è più domenica …”.