La tradizione ci tramanda, e così ha tentato di insegnarci la storia, quello dei Giochi Olimpici come un periodo di pace, in cui all’odio viene sostituita la rivalità sportiva, alle armi la pura competizione, in un confronto che porta sì ad un vincitore e a un vinto, ma in maniera incruenta. Ancora, siamo abituati a Giochi che al massimo vengono disputati nell’arco di un mese, andando a volte anche a fatica ad incastrarsi in una congerie di date affollate da altri eventi sportivi. Ma non sempre è stato così. I Giochi Olimpici moderni, voluti da Charles Pierre de Fredy, barone di Coubertin, avevano visto la prima edizione nel 1896, la settima, disputata ad Anversa, in Belgio, nel 1920, era in realtà la sesta, perché quella in programma a Berlino nel 1916 non fu disputata a causa della Prima Guerra Mondiale.
I Giochi, portatori di pace nell’antichità, non erano riusciti a fermare la guerra, alla fine delle ostilità si andava, quindi, in Belgio, ma gli animi non erano sereni. Che non ci fosse, e non poteva esserci, serenità, è forse dimostrato anche dal fatto che proprio a partire da questa edizione si sentì la necessità di far leggere il giuramento dell’atleta, che a quei tempi, scritto dallo stesso de Coubertin, recitava: “Noi giuriamo che prenderemo parte ai Giochi Olimpici con uno spirito di cavalleria, per l’amore del nostro paese e la gloria dello sport”. Le gare erano in programma dal 14 agosto al 12 settembre del 1920, ma già nel mese di aprile si erano svolti i tornei di hockey e pattinaggio su ghiaccio, ampliando, quindi, la durata della manifestazione.
Il torneo di calcio era molto atteso, allora quella olimpica rappresentava la massima vetrina calcistica internazionale, favorita d’obbligo era la Gran Bretagna, come sempre presente ai Giochi in rappresentanza di tutte le nazioni di quell’area geografica, ma già nella sua genesi ci fu molto travaglio. Come scritto, si erano da pochissimo concluse le ostilità belliche, odio e senso di vendetta non erano stati ancora superati, perciò seppure sotto le apparenze di una diplomazia conciliante, si cercava di consumare vendette, soprattutto avverso coloro che la guerra l’avevano provocata. Alla fine, tra forfait e rientri degli stessi britannici, la competizione ebbe inizio e da subito si capì che la nazionale con cui fare i conti per l’assegnazione della medaglia d’oro era proprio quella padrona di casa.
Il Belgio era una buona squadra, composta da elementi di buon valore tecnico e dotati di un gioco di stampo scozzese, poiché tale era il selezionatore William Maxwell, e poteva contare, naturalmente, sull’incitamento del proprio pubblico, che in questo torneo vedeva anche l’occasione di riscatto dopo i dolori della guerra. Il cammino dei Diavoli Rossi fino alla finale fu netto, agevolato anche dal fatto di partire direttamente dai quarti di finale, esentati dal torneo di qualificazione, dove superarono la Spagna (3-1), vincendo poi in semifinale il derby contro i Paesi Bassi (3-0). Qui, a sorpresa, ad attenderli trovarono la Cecoslovacchia. I cechi erano una nazionale giovane, tecnicamente valida, anch’essa allenata da uno scozzese, John Madden, che però, sposando le loro inclinazioni mitteleuropee, praticavano un football più duro e “cattivo”. Un altro inciso da fare riguarda la capacità mediatica di quel tempo ormai remoto da noi.
L’unica fonte di informazione era quella dei giornali che, portatori di “insindacabili” verità, spesso fornivano un quadro “addomesticato” dei fatti stessi. Anni dopo proprio la nostra nazionale, ai mondiali cileni del 1962, si sarebbe ritrovata a subire questa campagna di controinformazione, qui toccò ai cecoslovacchi, additati, a torto, tra coloro che avevano dato inizio agli eventi che portarono alla Prima Guerra Mondiale. Bastò poco a fomentare gli animi, solo sei anni prima il neutrale Belgio era stato invaso dalle truppe tedesche e ne aveva subito la dura repressione, passata alla storia come “Stupro del Belgio”, vivo era l’atroce ricordo delle rappresaglie e dei crimini di guerra degli invasori, altrettanto forte era la voglia di vendicarsi, anche contro chi non c’entrava nulla, ma era additato come colpevole, quale appunto la Cecoslovacchia.
Questa era arrivata in finale superando nel turno di qualificazione la Jugoslavia (7-0), ai quarti la Norvegia (4-0) e in semifinale la favorita Francia (4-1), sempre con un gioco duro che aveva suscitato più di una protesta. Fu in questo clima che il 2 settembre del 1920, allo Stadio Olimpico di Anversa, l’arbitro inglese John Lewis dette inizio al confronto, ma anche questo personaggio merita una nota: un attempato signore ultrasessantenne, un’età che oggi immaginiamo impegnare in paciose incombenze da nonno, ma che allora vedeva il signor Lewis arbitrare addirittura una finale olimpica di calcio.
Tra le ostilità del pubblico verso i cechi, questi fischiò l’inizio della partita e subito si presentò il primo caso spinoso: erano trascorsi solo sei minuti quando il portiere Rudolf Klapka fu caricato nonostante il possesso del pallone. All’epoca, però, il regolamento lo permetteva, e l’arbitro non poté fare altro che concedere il rigore perché un difensore raccolse il pallone con le mani, rigore trasformato dall’attaccante Robert Coppée.
L’episodio, naturalmente, finì per far aumentare la temperatura in campo, alla mezz’ora il Belgio raddoppiò grazie all’altro attaccante Henri Larnoe, ma il fattaccio avvenne nove minuti dopo: ancora l’attaccante Coppée era lanciato verso la porta ceca, ma fu affrontato duramente dal difensore Karel Steiner. Anche qui l’espulsione fu logica, ma vibrate furono le proteste del capitano Karel Pešek (o Kad’a, uno dei maggiori sportivi del tempo, anche campione di hockey su ghiaccio), che infine decise di abbandonare il campo, insieme ai suoi compagni
2 settembre 1920 Anversa Stadio Olimpico Belgio-Cecoslovacchia 2-0
Belgio: De Bie; Swartenbroeks, Verbeeck, Musch, Hanse, Fierens, Van Hege, Coppée, Bragard, Larnoe, Bastin. CT: William Maxwell
Cecoslovacchia: Klapka; Hojer, Steiner , Kolenatý, Pešek, Seifert, Sedláček, Janda, Pilát, Vaník, Mazal. CT: John Madden
Arbitro: John Lewis (Inghilterra)
Espulsi: 39’ Steiner (Cec)
Marcatori: 6’ Coppée (Bel); 30’ Larnoe (Bel)
Note: Partita sospesa al 41’ per abbandono della Cecoslovacchia
Fu un gesto clamoroso e inaudito, improbabile al giorno d’oggi, ad un livello così alto come una finale olimpica, l’oro andò comunque al Belgio, ovviamente, alla Cecoslovacchia, squalificata, fu tolto anche l’argento, fatto sta che per la prima, e unica volta, ci fu un oro con… abbandono!
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.