GLIEROIDELCALCIO.COM (Alessandro Mastroluca) –
“… il fischio dell’arbitro tedesco Peco Bauwens sigilla l’unico oro olimpico azzurro nel calcio”
Il 20 luglio 1936 inizia da Olimpia una staffetta che cambierà per sempre il panorama delle Olimpiadi moderne. Per la prima volta il sacro fuoco dei Giochi attraversa le nazioni dalla culla storica. La prima staffetta della fiaccola olimpica inaugura la grande parata del Terzo Reich, uno degli eventi sportivi più politicizzati di sempre. Nella Berlino vestita a festa per i Giochi, documentati da Leni Riefenstahl nel monumentale e propagandistico film “Olympia”, anche l’Italia insegue un riscatto politico attraverso il successo sportivo. Benito Mussolini si aspetta un’affermazione dell’uomo nuovo fascista, un successo che dimostri la forza del regime dopo le sanzioni della Società delle Nazioni per l’invasione dell’Etiopia. “Se venimmo a Berlino” scrive Bruno Roghi, prima firma della Gazzetta dello Sport dell’epoca, “fu anche, e soprattutto per dimostrare [che] il nemico più turpe, le Sanzioni, […] noi l’avevamo affrontato, smascherato, battuto nello Stadio dell’Onore per la gloria dell’Italia”.
E l’Italia si riempie di gloria grazie a Ondina Valla, prima donna a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi (negli 80 metri a ostacoli) e con la nazionale di calcio. Il ct Vittorio Pozzo, per rispettare formalmente il dilettantismo richiesto dal regolamento dei Giochi, può scegliere solo calciatori ufficialmente iscritti a Università o Istituti Superiori. Anche se poi giocano da professionisti in Serie A. Il ct li visiona e li chiama uno per uno. Arrivano Achille Piccini della Fiorentina, Giuseppe Baldo della Lazio, Carlo Biagi e Sergio Bertoni del Pisa, Libero Marchini della Lucchese, Giulio Cappelli del Viareggio, Luigi Scarabello dello Spezia. Convocati anche Alfredo Foni e Pietro Rava della
Juventus, Ugo Locatelli e Annibale Frossi, in procinto di passare all’Ambrosiana, il nome che aveva dovuto assumere l’Internazionale per volontà del regime.
La nazionale va in ritiro a Merano, ma la rosa, piena di giocatori con poca esperienza in azzurro, non convince. Nella prima partita contro gli Stati Uniti, battuti due anni prima 7-1 al primo turno della Coppa Rimet, l’Italia stenta per quasi un’ora. Poi, nonostante l’espulsione di Rava, Frossi segna il gol della vittoria. Gioca da ala destra, sarà il grande protagonista del torneo.
Pozzo non è soddisfatto, perché la squadra non ha ascoltato né applicato le sue indicazioni. Tiene un discorso durissimo ai giocatori. Li chiama, racconta La Stampa durante il ritiro di Merano, la sua “squadra allievi ufficiali”. L’allegria, prosegue l’articolo, “è il lievito che li unisce. Sono fra essi elementi che paiono autentici bambini: come Baldo e Marchini, vispi, irrequieti, sempre pronti alla barzelletta e allo scherzo”.
Ma c’è poco da scherzare con il ct Pozzo. Il rimprovero paga. Al secondo turno, l’Italia batte il Giappone 8-0 con tripletta di Frossi. È lo stesso allenatore a raccontare la partita il giorno dopo sulla Stampa. La descrive come una prestazione da porre “allo stesso livello delle migliori sostenute dalla nostra squadra nazionale vera e propria”. La squadra, prosegue, “migliora giorno per giorno, si forgia nella lotta un carattere suo e l’intelligenza dei suoi componenti la sorregge e la guida”. Contro il Giappone, rivela, l’Italia “ha giuocato di sua spontanea scelta e volontà la partita in maglia nera, lasciando agli avversari il colore azzurro. La maglia fu una bandiera: una bandiera che fu dovutamente onorata”.
A sorpresa, non c’è in semifinale lo scontro atteso con la Germania, battuta 2-0 dalla Norvegia che schiera di fatto la nazionale maggiore. Pozzo perde il capitano Giulio Cappelli, infortunato contro il Giappone. Lo dovrebbe sostituire Bertoni del Pisa, che all’epoca paragonano a Meazza per stile e visione di gioco. È un attaccante moderno, che riesce a dare fluidità e profondità al gioco offensivo. Ma è partito da Merano con uno stiramento inguinale, che ha tenuto nascosto a Pozzo. E il problema si è aggravato contro i giapponesi. A quel punto confessa il problema all’allenatore che si rivolge al dottor Zezi, a Berlino per seguire la nazionale di canottaggio. Si è specializzato nell’utilizzo dei raggi Röntgen, i raggi X, e nel trattamento di quel tipo di lesioni muscolari. Bertoni contro la Norvegia, all’Olympiastadion di Berlino, gioca. L’Italia passa in vantaggio con Alfonso Negro, statunitense naturalizzato che diventerà un apprezzato ginecologo a Ercolano. Al 57′ pareggia Brustad, attaccante bandiera del Lynn Oslo che segnerà all’Italia anche ai Mondiali del 1938. Si va ai supplementari. Al 96′ Bertoni fa partire una conclusione che il portiere respinge e che Frossi, generoso nel continuare a giocare dopo aver subìto un colpo alla testa a metà del primo tempo, corregge e trasforma nel gol vittoria che vale la finale contro l’Austria, arrivata a giocarsi l’oro nonostante la sconfitta sul campo nei quarti contro il Perù per 4-2.
Durante la partita, infatti, un gruppo di tifosi peruviani invade il campo. Pistole alla mano, aggrediscono arbitro e avversari, ricorda Nicola Sbetti nel suo libro “Giochi di potere”. La FIFA, su ricorso dell’Austria, ordina la ripetizione della partita. Il Perù, ritenendo la mossa una prevaricazione, preferisce ritirarsi. A Lima, i lavoratori del porto si rifiutano di scaricare le navi tedesche. Cittadini arrabbiati strappano la bandiera olimpica da un’agenzia di viaggi e assaltano il consolato tedesco. Il presidente Benavides, cavalcando l’onda dell’indignazione, vincerà le elezioni.
Passano cinque giorni tra la semifinale e la finale contro i dilettanti austriaci, che partono con i favori del pronostico.
Si gioca ancora all’Olympiastadion. I tifosi parteggiano per l’Austria che nel giro di due anni sarà annessa al Terzo Reich. “Viene fatto di essere lieti che tanta gente abbia desiderato il successo dei nostri rudi e meno abili avversari” scrive Emilio Colombo sulla Gazzetta dello Sport. Gli azzurri, aggiunge, “sono sbandati a più riprese come i puledri estrosi”. A venti minuti dalla fine il solito Frossi risolve una mischia e rompe l’equilibrio. Dieci minuti dopo, però, l’Austria pareggia, con gol attribuito a Karl Kainberger. L’Italia è di nuovo costretta ai supplementari.
Dopo soli due minuti Gabriotti centra dalla fascia, Bertoni finta di testa e la palla arriva a Frossi sul sinistro, il suo piede più debole. Stavolta, però, la conclusione è secca, precisa: gol! Ventotto ulteriori minuti di lotta non cambiano il punteggio e il fischio dell’arbitro tedesco Peco Bauwens sigilla l’unico oro olimpico azzurro nel calcio. Il Corriere della Sera celebra “l’alloro olimpico dei goliardi fascisti”.
Gli undici ragazzi dalle maglie azzurre, scrive ancora Colombo sulla Gazzetta, “si sono allineati su un’unica fila, hanno alzato la destra nel saluto fascista ed hanno gridato il nome del Capo al quale offrivano in purezza di fede e di passione la sudata conquista”.
Fonti
D.C.Large, Le Olimpiadi dei nazisti. Berlino 1936, Milano, Corbaccio, 2009
A.Teia, “Italian sport and international relations under fascism”, in P. Arnaud e J. Riordan (a cura di), Sport and International Politics: The Impact of Fascism and Communism on Sport, Londra, E & FN Spoon, 1998
N.Sbetti, Giochi di potere, Milano, Le Monnier 2012
P.Dietschy, S.Pivato, Storia dello sport in Italia, Bologna, Il Mulino 2019
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