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Bernardini, incompreso rivoluzionario in azzurro

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Alessandro Mastroluca) – L’uomo giusto nel momento sbagliato. Fulvio Bernardini viene scelto per la panchina della nazionale dopo il fallimento del Mondiale 1974. È uno dei grandi innovatori del calcio italiano, ha costruito il primo scudetto della Fiorentina, che con lui sarebbe diventata anche la prima squadra italiana in finale di Coppa dei Campioni, e l’ultimo del Bologna, la squadra che tremare il mondo faceva. Da direttore sportivo del Brescia, ha scoperto “Spillo” Altobelli.

È lui l’uomo giusto, secondo Artemio Franchi, allora presidente della FIGC e dell’UEFA, per schiarire dall’orizzonte della nazionale l’azzurro tenebra raccontato da Giovanni Arpino in uno dei più romanzi sul calcio mai scritti. Bernardini gestisce la fase di passaggio “con mano salda e assoluta noncuranza dell’impopolarità” ha scritto Giorgio Tosatti nella voce “Calcio” per il Libro dell’Anno 2002 (Treccani). Resta commissario tecnico unico di fatto per sei partite, poi gli verrà affiancato Enzo Bearzot che diventerà c.t. azzurro nel 1977.

“Ha settant’anni e un po’ li dimostra per l’aria stanca e perché parla lentamente, a scatti, con una voce roca, a volte quasi a fatica, anche se è sempre lucidissimo e spiritoso. Un personaggio con un carisma incredibile, elegante, con il suo inseparabile borsalino in testa” scrive Claudio Gentile nella sua autobiografia.

Bernardini esordisce come c.t. in amichevole a Zagabria contro la Jugoslavia, il 28 settembre 1974. È una nazionale giovane, senza Riva, Mazzola e Rivera, con Facchetti libero. Gualtiero Zanetti, in prima pagina sulla Gazzetta dello Sport, la dipinge come la squadra degli scontenti e dei delusi. Racconta anche delle “suggestive lezioni di calcio raffinato e idealizzato” del nuovo tecnico, bollandole come un “utopistico modello di fantacalcio”.

Sui giornali si parla di servizi segreti, per il dossier del SID alla base delle indagini sul golpe Borghese, del futuro della scuola, di politica sanitaria. Nello sport, mentre a Sorrento Enzo Majorca scende a 87 metri di profondità e firma il nuovo record mondiale in apnea, la nazionale di calcio sprofonda. La Jugoslavia domina, crea nove palle gol contro nessuna ma vince solo 1-0. Segna Ivica Šurjak che sarebbe venuto in Italia all’Udinese e nel 1983 avrebbe lasciato il posto a Zico.

“L’inedita compagine azzurra all’atto pratico, tradito tutti i suoi limiti, limiti di affiatamento e di peso tecnico complessivo (…), ha pagato insomma lo scotto dell’improvvisazione e della mancanza di uomini di classe autentica” scrive Bruno Panzera sull’unità. Prati e Boninsegna, ammette il c.t., hanno dialogato poco, a centrocampo Benetti e Re Cecconi non sono riusciti a proteggere la difesa. Dei giovani, si salva solo Facchetti

Alla sua prima partita ufficiale, l’Italia sfida a Rotterdam l’Olanda. “Noi e loro, o meglio noi e Cruijff” sintetizza Carlo Sassi nel servizio per la Domenica Sportiva del 21 novembre. L’Olanda è una delle squadre migliori d’Europa e non solo, ha perso l’ultima finale mondiale pochi mesi prima e avrebbe perso la successiva in Argentina. Il match è segnato, la differenza fra noi e loro è troppa. Boninsegna illude di testa, su assist di un impeccabile Antognoni, poi chiede invano un rigore nel primo tempo. Il rigore probabilmente c’era, commenta sportivamente il presidente della federazione olandese. “Con il 2-0 le cose si sarebbero potute mettere diversamente” commenta Bernardini, che ammira un’Italia all’altezza degli oranje per tutto il primo tempo. Nella ripresa, però, gli azzurri vengono travolti. Finisce 3-1 per l’Olanda, gol di Rensenbrink e doppietta di Cruijff.

Nella mente del c.t., l’indirizzo per il futuro della nazionale è chiaro. Oggi diremmo quasi profetico. “Dobbiamo arrivare a giocare con naturalezza, senza pensare troppo a quel che dobbiamo fare” spiega (dichiarazioni riportate sulla Gazzetta dello Sport il giorno dopo la partita). Quello che quasi mezzo secolo dopo chiameremmo “giocare a memoria”, quello che serve per far funzionare un gioco di passaggi votato all’attacco.

Fischiata a Genova per lo 0-0 in amichevole contro la Bulgaria il 29 dicembre del 1974, nelle qualificazioni per gli Europei l’Italia pareggia senza gol contro la Polonia all’Olimpico e vince 1-0 in Finlandia grazie al rigore di Chinaglia.

Bernardini, ha ricordato Corrado Sannucci sulle pagine di Repubblica, “si divertì a rompere ogni schema, con convocazioni sterminate, chiamando anche illustri carneadi. Fece esordire Rocca, Roggi, Caso, Zecchini, Damiani, Re Cecconi, Antognoni, Savoldi, Esposito, Orlandini, Martini, Guerini, Gentile, Cordova, Graziani, Morini”.

Ma i risultati non premiano. A giugno, in amichevole, perdiamo in trasferta contro l’URSS, nella partita che Facchetti ha definito la migliore della sua gestione. Il tempo di Bernardini è scaduto. Gli affiancano Enzo Bearzot, che allena per la prima volta gli azzurri il 27 settembre 1975, all’Olimpico contro la Finlandia. È una nazionale a due voci, con Bernardini come garante-supervisore. La partita, largamente dimenticabile, finisce 0-0. L’Italia è fuori dagli Europei 1976. Altro che cavalcar la tigre, scrive sulla Stampa Giovanni Arpino, “se nel calcio non stai in piedi, non puoi giocare. E in piedi, sull’erba romana, stavano in quattordici: gli undici finlandesi, Facchetti. Rocca e Benetti”.

È chiaro a tutti che il binomio è solo di facciata, che Bearzot è diventato il vero c.t. della nazionale. A Bernardini, che la stampa italiana non manca di criticare come farà poi con Bearzot ai Mondiali del 1982, arriva l’inatteso sostegno di Pier Paolo Pasolini che pochi giorni prima di morire concede un’intervista al Guerin Sportivo in cui spiega che all’Italia manca un nuovo Riva per poter giocare più in verticale. Pasolini difende le idee di Bernardini che, sostiene, “ha dato alla Nazionale una velocità doppia a quella della Nazionale precedente”. Questa velocità, aggiunge, ha creato un nuovo, grande giocatore: Fabio Capello.

Capello e Pasolini si sono conosciuti qualche anno prima, a Grado dove andava in vacanza. Hanno condiviso tante cene, e chissà se già allora il poeta e regista con la solitudine dell’ala destra raccontava quella sua visione del calcio che sarebbe contemporanea oggi. Sognava un calcio già allora stile Guardiola, con i giocatori capaci di correre alla massima velocità e di essere allo stesso tempo stilisti del pallone.

 

Fonti

AA.VV, “Libro dell’Anno 2002”, Treccani

C. Gentile, “E sono stato gentile”, Rizzoli, Milano, 2016

S. Boldrini, “Capello ricorda il suo vecchio amico Pasolini”, Gazzetta dello Sport, 28 ottobre 2005 

Guerin Sportivo
C. Sabattini, “Il pallone come terapia”, Guerin Sportivo, 5 novembre 1975, n.45

C. Sannucci, “Bernardini, geniale e ironico c.t. Fu lui a cambiare il nostro calcio”, Repubblica, 11 gennaio 2004

Archivi dei quotidiani: Gazzetta dello Sport, Unità

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