La Storia ci ha insegnato l’importanza dello sport
Un’affermazione, questa, che potrebbe far storcere il naso a più di un “purista”, che ha relegato da sempre la pratica sportiva tra le cose effimere dell’umanità, ma che non può essere smentita, soprattutto se andiamo a considerare l’uso che ne hanno fatto tanti uomini di potere. Un’altra cosa è indubbia: lo sport si alimenta della passione degli uomini, in quanto tale attrae le attenzioni di masse sterminate, e già solo questo può far capire l’importanza che assume agli occhi del Potere, con la possibilità di poter manipolare, nel vero senso della parola, le opinioni di migliaia se non milioni di uomini. Ai suoi albori, lo Sport era visto come foriero di momenti di pace tra una guerra e l’altra, non a caso per lo svolgimento dei Giochi Olimpici Antichi tutte le attività belliche si fermavano. Nei tempi moderni, però, per restare ancora ai Giochi, gli stessi sono stati strumentalizzati per trasmettere messaggi politici, emblematici i Giochi di Berlino del 1936 con il tentativo di esaltazione della razza ariana, così come i boicottaggi africani del 1976, quelli dei paesi occidentali ai Giochi di Mosca o quelli dei paesi dell’Est a quelli di Los Angeles di quattro anni dopo. Scaramucce, in fondo, considerando quanto fecero i fedayyin palestinesi ai Giochi di Monaco 1972, quando uccisero undici atleti israeliani e un poliziotto prima di essere a loro volta uccisi. Da tutto questo non è stato esente il calcio, anzi, con il suo sempre maggior ecumenismo è stato forse il mezzo principale del panem et circenses dei dittatori, facendolo diventare vero “oppio dei popoli”.
Anche qui la storia parte da lontano, iniziando dalla più grande manifestazione calcistica planetaria, i mondiali, già nel 1934 possiamo vedere come il regime fascista si appropriò dell’evento. Alla sua seconda edizione, la prima in terra europea dopo l’esordio in Uruguay, fu subito chiaro il formidabile mezzo di propaganda che poteva offrire quell’evento, ed ecco allora mettersi in moto la macchina propagandistica del fascismo che, costruendo stadi e fornendo la miglior immagine possibile in termini di organizzazione, riuscì nel suo intento. Non senza far godere qualche favore speciale agli azzurri di Vittorio Pozzo, in verità già forti di loro, ma sicuramente “supportati” in qualche situazione, specie nel quarto con la Spagna, quando alla ripetizione mancò, per cause invero mai accertate, l’apporto di Ricardo Zamora, il miglior portiere dell’epoca. E non bisogna dimenticare che ancora nel 1943, ormai al tramonto del regime fascista, pur nel periodo drammatico della piena belligeranza, il regime stesso volle la continuazione del campionato, proprio per distrarre il popolo dagli orrori della guerra. Dopo gli eventi bellici si entra in una fase fortunatamente meno cruenta, ma non per questo meno effervescente dal punto di vista delle influenze politiche. Si era dovuto aspettare appunto la fine dei conflitti affinché in Europa si potesse avere una competizione continentale per nazionali, ma l’esordio nel 1960 non poté essere slegato da quella che era diventata guerra fredda. Vinse l’Unione Sovietica, avvantaggiandosi anche del fatto di aver superato a tavolino la Spagna ai quarti, con i seguaci del caudillo Francisco Franco, fascisti, che mai avrebbero incrociato i tacchetti con i comunisti. Problema che in verità non si posero i sovietici, e nemmeno gli stessi spagnoli, quando quattro anni dopo andarono a disputare la fase finale in Spagna, perdendo contro i padroni di casa.
Nel frattempo, non esente da influenze politiche fu il mondiale di Cile del 1962, voluto nello sperduto, e all’epoca misconosciuto, paese delle Ande grazie alla grande opera politica di Carlos Dittborn Pinto, che poi morì proprio all’esordio della sua “creatura”, un mondiale in cui agli azzurri ne capitarono di tutti i colori, botte comprese. Queste manipolazioni a livello organizzativo sono poi diventate tristemente famose fino ai giorni nostri, con gli scandali e gli arresti di pochi anni fa in seno alla Fifa, che non sappiamo quale trasparenza abbiano portato, perché resta un mistero non l’assegnazione dei mondiali al Qatar, quanto la sua conferma, ma qui entriamo nel campo del “pecunia non olet” che apre qualsiasi possibilità. Ritornando ad influenze più politiche, negli ultimi cinquant’anni due sono state le grandi manifestazioni calcistiche fortemente condizionate da regimi o governi a matrice totalitaria, o dagli eventi esterni che hanno finito per condizionarle. Dopo i mondiali blindati in Germania Ovest del 1974, conseguenza di quanto già abbiamo accennato a proposito dei Giochi del 1972, nel 1978 la kermesse del pallone mondiale si sposta in Argentina. Come in molti paesi sudamericani in quel periodo, anche in Argentina dal 1976 era subentrata una dittatura militare, la Junta Militar, guidata dal generale Jorge Videla e dall’ammiraglio Emilio Massera, e per la seconda volta nella storia, come già capitato a Italia 1934, il regime lavorò di propaganda affinché i mondiali fossero cassa di risonanza per la dittatura, e al tempo stesso celasse gli orrori delle torture agli oppositori.
Famigerata è diventata l’Esma, la Escuela de Mecanica de la Armada che, a pochi passi dallo stadio Monumental, sede della finale di quel mondiale, perpetrava le sue torture, con tanti desaparecidos mai più tornati dai voli della morte. “In Argentina, i Mondiali dovevano immortalare l’immagine di un popolo felice e ordinato e di un’organizzazione efficiente. Insomma, erano uno spot per la dittatura militare di Jorge Rafael Videla. […] Noi vivevamo in una bolla, in una gabbia dorata ben separata dalla realtà”[1], ha scritto anni dopo Marco Tardelli di quell’avventura, una gabbia, non dorata però, in cui ha vissuto un intero popolo, fino alla liberazione conseguente alla sconfitta nella guerra delle Falkland – Malvinas contro gli inglesi, evento a sua volta che rischiò di compromettere pesantemente il mondiale di Spagna del 1982. Drammatica, infine, fu l’esclusione della Jugoslavia dagli Europei svedesi del 1992, anche se qui ci possiamo vedere il lieto fine, almeno dal punto di vista calcistico, con la fiabesca vittoria della Danimarca. Furono gli orrori della guerra dei Balcani, però, a portare a quella conseguenza, a sua volta nata dalla caduta del Muro di Berlino e dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, forse ultimo grande evento politico – bellico ad avere influenzato una manifestazione sportiva. Tutto quanto brevemente riassunto finora ci porta, alla fine, a smentire quanti pensano che lo sport non abbia importanza nella Storia: esso ne è parte, verrebbe da scrivere purtroppo, nel momento in cui è strumentalizzato o influenzato da eventi come quelli narrati, che sappiamo, perché non siamo ingenui, che potrebbero ripetersi in qualsiasi momento.
[1] S. Tardelli/M. Tardelli, Tutto o niente – La mia storia, Mondadori, Milano 2016, p. 10
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.