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Il calcio da pagare (a caro prezzo), trent’anni e più di gol e pay-tv

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Il calcio da pagare (a caro prezzo), trent’anni e più di gol e pay-tv: il 29 agosto 1993 il primo posticipo di Serie A “per soli abbonati”

C’è stato un tempo – neppure così remoto, per la verità – in cui lo stadio non aveva alcun concorrente che potesse comprometterne la centralità nella vita dei tifosi italiani. Certo: la forza d’attrazione di Tutto il calcio minuto per minuto – seppure amputato delle cronache dei primi tempi – e le imboscate delle prime televisioni private, che provarono ad aggirare l’embargo informativo imposto dalla Lega nazionale calcio alla RAI, annunciarono una prima, significativa rivoluzione nelle abitudini del pubblico.

Telecalcio: l’Arcadia vagheggiata dai presidenti delle squadre di Serie A per aumentare i ricavi, il sogno a occhi aperti di chi non era abituato a frequentare le curve e – forse proprio per questo – non era più disposto a pazientare fino al tardo pomeriggio della domenica per una manciata di gol e di azioni. La nuova era iniziò il 1° giugno 1991, quando furono inaugurate le prime trasmissioni a pagamento della storia della televisione italiana.

Il marchio era decisamente accattivante: fin dai suoi esordi, Telepiù si proponeva di accontentare gli abbonati (rigorosamente muniti di decodificatore) con i film di prima visione – in onda a pochi mesi di distanza dal passaggio in sala – e il meglio dello sport internazionale, in perfetta continuità con la linea editoriale di Telecapodistria, di fatto l’embrione di Tele+ 2. Per la verità, l’impresa faticò non poco a decollare: gli investimenti dei soci di Telepiù (Silvio Berlusconi, Vittorio Cecchi Gori e il tedesco Leo Kirsch) non diedero i risultati sperati.

Una voragine di debiti stava inghiottendo l’ultima arrivata sul mercato, saldamente dominato dal duopolio RAI-Fininvest. E la stessa linea editoriale di Tele+ 2 – imperniata sul tennis e sul pugilato, le due ragioni di lavoro e di vita del direttore Rino Tommasi – non aveva minimamente schiodato il pubblico generalista dai primi 7 tasti del telecomando.

Serviva un prodotto di grande richiamo, dunque, per rilanciare Telepiù. E così, nel luglio del 1993, la Lega calcio accettò l’offerta triennale del gruppo televisivo guidato de facto da Berlusconi, nonostante la sua partecipazione nel capitale sociale dell’azienda non superasse il 10%: un anticipo di Serie B il sabato sera e una partita di Serie A alle 20.30 della domenica per la cifra di 45 miliardi di lire a stagione.

La risposta del pubblico fu tutto sommato tiepida, anche perché il calendario dei posticipi era stato blindato a monte: qualche sfida di cartello (Juventus-Torino, Milan-Juventus e Inter-Juventus nel girone d’andata, Lazio-Roma e Milan-Inter nella seconda metà del campionato) in mezzo a partite di modesto richiamo come Piacenza-Lecce (5ª giornata d’andata) e Udinese-Reggiana, in coda all’ottava di ritorno.

E dire che il primo atto del nuovo corso calcistico-televisivo prometteva moltissimo: la sera del 29 agosto 1993, Tele+2 propose ai suoi 300mila abbonati il match tra Lazio e Foggia. Due filosofie di gioco e di vita a confronto: da una parte, il pragmatismo tutto friulano di Dino Zoff, che poteva schierare in attacco due dei più forti cannonieri di fine secolo, Pierluigi Casiraghi e Giuseppe Signori (quest’ultimo fuori per infortunio), senza dimenticare il diamante pazzo Paul Gascoigne; dall’altra il calcio-spettacolo di Zdenek Zeman, che ambiva a un’altra stagione da guastafeste con i gol d’importazione di Bryan Roy e Igor Kolyvanov. Malgrado le premesse, ne venne fuori un insipido 0-0.

A dirla tutta, però, il verdetto del campo finì quasi ai margini, tale era l’interesse per l’inedito banchetto da servire sotto i riflettori: non solo la cronaca dell’incontro – affidata a Massimo Marianella, uno dei tanti giovani cresciuti a Telecapodistria – ma anche un ampio prepartita a cura di Aldo Biscardi, salito in sella alla redazione sportiva di Telepiù nonostante l’aperta contrarietà dei giornalisti, che arrivarono persino a scioperare contro la sua nomina.

E, soprattutto, il commento a briglia sciolta della Gialappa’s Band sul secondo canale audio disponibile sui decoder. Un’operazione poderosa per il calcio italiano – peraltro in un momento irripetibile della sua storia – ma ancora poco appetibile per lo spettatore medio che, fino a metà anni Novanta, non era ancora disponibile a sottoscrivere un abbonamento per un numero limitato di partite all’anno.

Tuttavia, la forza d’attrazione del calcio a pagamento erose pian piano la consolidata liturgia della domenica. E così, nell’estate del 1996, la proposta televisiva di Telepiù – che aveva nel frattempo inaugurato la sua piattaforma satellitare – divenne ancora più ambiziosa: tutte le partite di A e B, anticipi e posticipi inclusi, in diretta su +Calcio.

Un bell’affare per i tifosi che abitavano in provincia o in un’altra regione d’Italia – ai quali era concessa l’opportunità di seguire le gare della propria squadra del cuore senza alcuna limitazione – un po’ meno per chi risiedeva nelle metropoli o nelle città che avevano una squadra in massima serie: abbonamento circoscritto soltanto alle gare esterne, anche per non scontentare il botteghino e svuotare gli stadi.

Nel frattempo, Telepiù – passata nelle mani del gruppo Vivendi – sceglie di rinnovare lo studio di presentazione del match serale, curato da Giorgio Porrà: l’evento agonistico è il pretesto per raccontare storie di campioni del passato e del presente e intervistare tifosi d’eccezione.

Al commento, poi, due voci di culto: Fabio Caressa – per tanti anni prima voce della Bundesliga – e José Altafini, un bomber implacabile del microfono. Non solo il proverbiale «Incredibile, amisci», ma anche l’immancabile citazione del «manuale del calcio» per commentare una bella azione di gioco, fino all’apoteosi del «golazo» o del «supergolazo».

Alla fine degli anni Novanta, però, l’ingresso di un nuovo operatore a pagamento cambia tutto: dopo aver tentato (con scarso successo) di occupare la foresta vergine della tv via cavo, Stream – capeggiata dal magnate australiano Rupert Murdoch, che ne acquisì il pacchetto di maggioranza da Telecom Italia – si candida a diventare la nuova casa del calcio italiano.

L’occasione si presenta nell’estate del 1999: il nuovo polo satellitare si aggiudica l’esclusiva per le gare interne di Roma, Lazio, Parma, Fiorentina, Lecce, Venezia, Udinese e Sampdoria, quest’ultima appena retrocessa in B, oltre che i diritti più pregiati della Champions League.

Dal canto suo, Telepiù si tiene stretta i club più seguiti e quasi tutte le squadre di provincia, inaugurando un nuovo programma domenicale che, fin dall’esordio, si presenta come la risposta televisiva a Tutto il calcio minuto per minuto: Diretta gol – in onda su Tele+ Grigio, la terza rete dell’offerta a pagamento della pay-tv italo-francese – diventerà un’istituzione della domenica pomeriggio, ancora oggi presente nei palinsesti di Sky Sport per seguire le gare in contemporanea delle coppe europee e delle Nazionali con la formula del rimbalzo di linea.

Risultato: due piattaforme e – per i teleutenti – una spesa di circa 3 milioni di lire all’anno per seguire tutto il campionato. Che, poco a poco, comincia a sperimentare la formula dello spezzatino: oltre alla notturna della domenica, infatti, il programma prevede due anticipi al sabato con fischio d’inizio alle 15 e alle 20.30.

La stagione 1999/2000 propone anche un unicum che, nello spazio di un decennio, diventerà una consuetudine (in verità piuttosto contestata): Parma-Juventus, penultima giornata del girone d’andata, è la prima gara della storia della Serie A giocata all’ora di pranzo. Tra campionato e competizioni europee, il calcio presidia l’intera settimana.

Eppure, nonostante le spese sempre più ingenti per i diritti televisivi, il sistema comincia a scricchiolare: i fallimenti ravvicinati della Fiorentina e del Napoli e le gravissime difficoltà contabili della Lazio, dovute alla situazione del gruppo Cirio, rivelarono l’inadeguatezza di un modello sportivo e gestionale che non poteva reggersi solo e soltanto sui contratti delle pay-tv. Stadi di proprietà, aperti 7 giorni su 7, merchandising, investimenti sui mercati esteri: alcune delle possibili soluzioni alla febbre dei bilanci perennemente in rosso, rimaste perlopiù inevase.

E così, le pay-tv diventeranno nei fatti la principale fonte di guadagno per le società italiane: il via libera alla fusione tra Stream e Tele+ – autorizzata dalla Commissione europea nella primavera del 2003 – prepara l’avvento di Sky sul mercato italiano. La tormentata vicenda del ripescaggio in B del Catania, preludio all’ampliamento degli organici della massima serie e del torneo cadetto, fa il paio con l’altrettanto complicata partita dei diritti pay: il gruppo Murdoch si assicura l’esclusiva di 12 delle 18 squadre di Serie A, superando così il limite del 60% imposto dall’Antitrust.

Su iniziativa del presidente della Lega Calcio, Antonio Matarrese, le squadre rimaste allo scoperto (Ancona, Brescia, Chievo Verona, Empoli, Modena e Perugia, più alcuni club di B) daranno vita a una seconda piattaforma, Gioco Calcio, ospitata dai “nemici” di Sky. La campagna di lancio spinge sull’enfasi: «Lo scudetto si vince in provincia».

Sarà un bagno di sangue: appena 7 mesi di vita prima di arrendersi al monopolista del calcio italiano. I primi passi del digitale terrestre – avvenuto a metà degli anni Duemila – spingeranno anche altri operatori a investire sul calcio a pagamento: Mediaset Premium – seguita a ruota da La7 Cartapiù e Dahlia, senza dimenticare l’avventura di Rosso Alice, il marchio di Telecom Italia che per primo trasmise la Serie A sul web – sarà per un decennio abbondante la risposta più autorevole (ed economica) a Sky.

Tuttavia, la spesa da capogiro per acquistare i diritti della Champions League per il triennio 2015-2018 affosserà anche la piattaforma berlusconiana, lasciando ancora una volta a Sky – cui bisogna riconoscere di aver cambiato, nel bene e nel male, il modo di raccontare il football – il predominio assoluto del video.

Lo scenario cambia ancora nell’inverno del 2018: la Lega di A punta su un misconosciuto operatore spagnolo, Mediapro, per provare a macinare quel miliardo di € a stagione con il quale dare ossigeno al calcio italiano in un periodo storico di evidente regressione dal punto di vista sportivo ed economico.

Qualche mese dopo, però, i presidenti decidono di fare retromarcia, accordandosi in estate con DAZN, multinazionale dello streaming che si è garantita l’esclusiva per la trasmissione di 3 partite a giornata, in primis l’anticipo del sabato sera. Il debutto agostano con Lazio-Napoli suscita imbarazzi e sarcasmo: le continue interruzioni del segnale – imputabili anche alle inefficienze della rete Internet – suscitano sarcasmo e imbarazzo.

Al termine di una stagione oltremodo tormentata, DAZN si “accende” anche sul satellite e sul digitale terrestre, inaugurando un canale supplementare (Zona DAZN, oggi DAZN 1) che, tuttavia, gli abbonati a Sky devono pagare a parte. E la promessa di offrire il calcio a costi abbordabili si trasforma ben presto in miraggio: per seguire tutte le partite – ormai distribuite a cavallo tra la fine della settimana e l’inizio di quella successiva – occorre un budget sempre più elevato.

La pandemia non fa che accentuare il rapporto di dipendenza dei club dalle tv, benché il pubblico abbia dimostrato di non gradire un’offerta sempre più scadente dal punto di vista tecnico e spettacolare.

La politica miope dei presidenti di Serie A raggiunge il suo apice nella primavera del 2021: nonostante i ripetuti disservizi (e le cause promosse dalle associazioni dei consumatori), la Lega consegna a DAZN – spalleggiata nell’impresa da TIM – il pacchetto più sostanzioso (7 partite su 10 in esclusiva) per il triennio 2021-2024, nonostante i conti a dir poco febbricitanti della società di matrice britannica.

Il vistoso calo degli abbonati – ormai scesi al di sotto dei 2 milioni – non ha persuaso i padroni del calcio italiano a corteggiare nuovi operatori (come Prime, che pure trasmette da anni la migliore partita delle italiane in Champions) per strappare un contratto più sostanzioso e offrire un servizio non meno adeguato: avanti tutta con DAZN – che ha nel frattempo aumentato ancora i prezzi degli abbonamenti, senza curarsi troppo della qualità del prodotto – fino al 2029.

Un accordo del tutto insensato, se non altro perché non tiene conto dei nuovi scenari tecnologici e, al tempo stesso, delle trasformazioni del mercato. L’ultimo peccato di un sistema-calcio che continua a puntare il dito contro la pirateria, ignorando completamente i suoi cronici mali.

GLIEROIDELCALCIO

          Carmine

Marino

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