Il variegato mondo del calcio è pieno di figure che hanno vissuto, o vivono, il loro ruolo da comprimari o da protagonisti.
Essendo un gioco di squadra, come in tutte le organizzazioni umane è prevista una via gerarchica, con la base di faticatori fino a salire alla cima della piramide dove arrivano le eccellenze, tutti sempre con il massimo della dignità.
È il campo, giudice supremo, a esprimere sempre i verdetti, è la natura, o il dio Eupalla, a fornire di talento taluni prescelti che poi si mettono in evidenza.
Proprio quel talento fa sì che essi vengano additati, riconosciuti, diventino personaggi pubblici, amati qualche volta anche in maniera eccessiva.
Non è raro, infatti, trovare amori che diventano ossessioni fino alla follia, come il caso dell’assassinio di John Lennon, star della canzone, ucciso nel 1980 proprio per follia o troppo amore, o per ottenere il famoso quarto d’ora di celebrità compiendo un gesto eclatante.
Oggi i calciatori sono considerati divi planetari, conosciuti in ogni angolo del globo grazie anche all’influenza dei social, si potrebbe pensare che questo è un fenomeno solo attuale, ma non è così.
Ogni epoca calcistica ha avuto i suoi grandi campioni di riferimento, negli anni Cinquanta divo assoluto della pedata era Alfredo Di Stefano, che visse il suo periodo d’oro poco prima della consacrazione di Pelé con cui divide, insieme a Franz Beckenbauer, Johan Cruijff e Diego Armando Maradona, la palma di campione assoluto.
Quando nacque, nel 1926, nel quartiere di Barracas di Buenos Aires, il suo sangue era un miscuglio di geni francesi e irlandesi da parte di madre, ma soprattutto italiani da parte del padre, nato a Capri ma a sua volta prodotto di un misto lombardo siculo, e fu proprio il padre, a sua volta ex calciatore, ad avvicinarlo al calcio.
L’inizio della sua carriera lo vide subito giramondo, giovanissimo in Argentina, partendo e tornando al River Plate con tappa Huracan; poi in Colombia, al Millonarios, dopo aver mancato l’approdo al Torino che si stava ricostruendo dopo Superga; infine, a quella che sarebbe diventata la sua casa definitiva, il Real Madrid.
Non così semplice, però: notato da Santiago Bernabeu a un torneo disputato in Spagna con i colombiani, fu acquistato contemporaneamente anche dal Barcellona, creando un casus belli non da poco tra i due maggiori club spagnoli.
La Spagna all’epoca era franchista, e il Generalissimo Francisco Franco forse non tifava per il Real, ma di certo non appoggiava il Barcellona, per cui a soluzione della disputa si raggiunse la “salomonica” soluzione di far giocare Di Stefano due stagioni in blanco e due in blaugrana, cosa che vide chiaramente il malumore dei catalani e la loro conseguente rinuncia ai diritti sul giocatore.
Il definitivo approdo di Di Stefano alla corte di Bernabeu segnò l’inizio di una storia vincente che ha portato il club della capitale a diventare il più importante del mondo.
Per caratteristiche tecniche, la Saeta Rubia, come era soprannominato, sapeva fare tutto in campo, dai ruoli di attacco a quelli di regia , a quelli di difesa, caratteristica più unica che rara dove si cerca la specializzazione assoluta.
Due campionati argentini, tre colombiani, otto spagnoli ma, soprattutto, le prime cinque edizioni consecutive della Coppa dei Campioni rappresentano una bacheca considerevole che lascia almeno un dato statistico della grandezza di questo giocatore, con un unico neo: la scarsa carriera con la nazionale, con la non invidiabile caratteristica di non aver mai partecipato a una fase finale di un mondiale, pur indossando le casacche di due nazionali, Argentina e Spagna.
È un Di Stefano ormai onusto di gloria quello che nel 1963 vola con il suo Real Madrid in Venezuela per partecipare al Trofeo Ciudad de Caracas.
Questo era un torneo a inviti organizzato dalla federazione venezuelana che riprendeva quella che era stata la Pequeña Copa del Mundo, una sorta di Coppa Intercontinentale ante litteram che si era disputata dal 1952 al 1957.
Il Real Madrid ne aveva vinto due edizioni (1952, 1956), lo stesso Di Stefano aveva alzato il trofeo nel 1953 con i Millonarios, ora si apprestava a inaugurare questa nuova ripartenza, ma qui avvenne il fattaccio.
Il Real Madrid alloggiava al Potomac Hotel di Caracas quando la notte del 24 agosto del 1963 due uomini, travestiti da militari, riuscirono a prelevare il campione spagnolo dalla sua camera, costringendolo a seguirli e allontanandosi indisturbati.
I due rapitori appartenevano a un gruppo abbastanza raccogliticcio, denominato Forze Armate di Liberazione Nazionale del Venezuela (FALN), che intendeva ribellarsi contro il governo, ritenuto altamente repressivo, di Romulo Bentancourt, al suo secondo mandato alla guida del Venezuela.
Il movimento guerrigliero era favorito dal governo cubano di Fidel Castro, e di origine cubana era il suo capo, conosciuto con lo pseudonimo di Maximo Canales dietro cui si identificava Paolo del Rio, che poi diventò un importante pittore e scultore venezuelano.
In verità è abbastanza controversa la motivazione di questo rapimento, perché l’operazione fu denominata “Julian Grimau”, che era stato un attivista comunista spagnolo giustiziato dal governo franchista proprio nel 1963, il 20 aprile.
Poiché tutti gli attori partecipanti a questo melodramma avevano origini più o meno dirette con la Spagna, e Alfredo Di Stefano era il massimo rappresentante di quel Real Madrid fatto risalire direttamente alle simpatie del Generalissimo, niente di più facile che, miscelato il tutto, si giunse a partorire il piano di rapire il campione spagnolo.
Il fatto fu, infatti, un gesto puramente dimostrativo, la Saeta Rubia sarebbe rimasto più sconcertato che spaventato, non gli fu fatto alcun male e fu rilasciato due giorni dopo, guarda caso davanti all’ambasciata cubana.
Quella fu la prima volta di quella che sembrava essere, e per fortuna poi non lo fu, una triste abitudine spagnola, che avrebbe colpito campioni del calcio in altre due occasioni: la prima, con il tentativo fallito nel 1977 di rapire Johan Cruijff; la seconda, con il tentativo, stavolta riuscito, del rapimento del centravanti, anch’egli del Barcellona, come il campione olandese, Enrique Castro Quini, rimasto nelle mani dei rapitori per venticinque, lunghi e difficili, giorni.
Azioni, per quanto maldestre e messe in atto da figuri sostanzialmente ammalati di protagonismo, che danno il senso della popolarità che già andavano assumendo i grandi campioni del calcio.
Per la cronaca, il trofeo Ciudad de Caracas del 1963 fu un triangolare vinto dal San Paolo del Brasile, con il Real Madrid che arrivò secondo davanti al Porto, Di Stefano andò regolarmente in campo nello zero a zero con i brasiliani, il 28 agosto 1963.
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.