STORIEDICALCIO.ALTERVISTA.ORG – Fu personaggio in qualche modo scomodo, Carlo Carcano, che pure merita una collocazione primaria nella storia degli allenatori, avendo apposto il proprio autografo sotto la più continua Juventus che si ricordi, quella del quinquennio. Cinque scudetti di fila non sono un affare da poco e infatti Carcano è stato l’unico allenatore in Italia capace di tanto. Passava per un piemontese di stampo antico, ma era lombardo, del varesotto, e aveva nel suo cassetto i ricordi di una buona carriera come centromediano. Aveva giocato nell’Alessandria, con la gemma di cinque presenze in Nazionale, poi l’abitudine a essere al centro del gioco l’aveva portato ad allenare.
L’anello di congiunzione tra le due carriere era stato a Napoli, quando il club si chiamava ancora Internaples e il presidente Giorgio Ascarelli gettava le basi per costruire una società e una squadra di valore. Carcano arrivò sul Golfo assieme a Giovanni Ferrari, fece l’allenatore e il giocatore, tra i compagni di squadra c’era il giovanissimo paraguaiano Attila Sallustro, che sarebbe diventato il primo divo del calcio napoletano. A fine stagione, quando Ascarelli fondava l’Associazione Calcio Napoli, Carcano tornava ad Alessandria, con il fido Giovanni Ferrari, tanto mancato nella stagione precedente ai “grigi” piemontesi.
E fu ad Alessandria, allora tra gli epicentri del calcio, che toccò a Carcano di vivere una stagione strana, in cui accoppiò ai compiti di allenatore di club quelli di allenatore della Nazionale. Una veste insolita. Le storie relative al periodo parlano di una fantomatica commissione tecnica ombra che tirava le fila. Pozzo, che aveva rifiutato di raccogliere l’eredità di Rangone dopo le Olimpiadi di Amsterdam e cui lo stesso Carcano avrebbe passato il testimone alla fine di quella stagione, la raccontò così: «Al nostro ritorno in Italia, il cambiamento avvenne comunque. Cadde Rangone, come Commissario Tecnico. L’ambiente era stufo di giuocare collo stesso giuocattolo. Ne voleva un altro. E per la stagione seguente, 1928-29, saltò fuori una trovata che l’aggettivo di buffa se lo merita per davvero. Per lo meno quello. Commissario Tecnico divenne un membro della Federazione, che, per la tema di fare una brutta fine anche lui come gli almi, non volle che si sapesse chi egli fosse in realtà. Rimase nascosto. Nominò, designandolo non come Commissario Tecnico, ma come “allenatore”, un prestanome. E questi fu Carlo Carcano, ex-giuocatore dell’Alessandria, ex-nazionale, al momento allenatore della Juventus (in realtà era all’Alessandria, la Juve era allenata da Aitken, n.d.r.). Il prestanome riceveva ogni volta la squadra bell’e fatta, prendeva gli ordini, preparava gli uomini e li portava sul campo. Quando venne il suo turno, dopo una stagione di sei incontri, terminata male, finì per pagarla lui. di persona. L’altro, il vero responsabile, il “federale”, se ne rimase al suo posto come se la questione non lo interessasse affatto».
La figura del prestanome fece sì che l’avventura azzurra sfiorasse soltanto Carcano. Che nel 1930 ebbe l’occasione della vita, chiamato alla Juventus da una coppia eccezionale: il presidente Edoardo Agnelli (padre di Gianni) e il vicepresidente Giovanni Mazzonis. Carcano arrivò ed entrò subito in sintonia con il rigore professionale dell’ambiente. Una simbiosi perfetta, che la qualità alta dei giocatori ingaggiati doveva mirabilmente completare in un disegno di grandezza. Proprio in questo aspetto, della disciplina e della serietà professionale, in epoca non ancora del tutto uscita dall’era goliardica dei pionieri, Carcano ebbe una parte importante. Aderiva al progetto di un club gestito con oculatezza manageriale e costituì una piccola rete di ragazzini che per due lire a prestazione vigilavano presso le abitazioni dei giocatori meno in odore di santità professionale, tanto per usare un eufemismo. Cesarini, gran viveur come più tardi Orsi, era il primo della lista. Ricevute le informazioni sulle violazioni perpetrate alle regole del buon professionista, ne riferiva a Mazzonis, suscitandone lo sdegno, poi lasciava che a occuparsi degli aspetti più direttamente disciplinari, cioè delle multe, fosse la società.
Ma era anche un ottimo preparatore, forgiato da anni di esperienza, e un notevole conoscitore della materia. Amalgamò una squadra fortissima, coagulandola attorno a un gruppo di ferro, che per cinque anni superò ogni difficoltà, ogni momento negativo, ogni esigenza di rimonta, fino al raggiungimento dell’obiettivo tricolore. Due unici crucci turbarono il favoloso quinquennio di Carcano. Il primo fu di non riuscire a riverberare in campo internazionale i successi così costanti entro i confini: la Mitropa Cup, cui con assiduità la Juve partecipava, era un puledro bizzoso che non ci fu modo di domare.
Il secondo accadde nell’ultima stagione, e i suoi contorni non furono mai del tutto chiariti. Carcano era reduce dal trionfo iridato, conquistato nelle vesti di aiutante di campo di Vittorio Pozzo. Non per niente un robusto blocco juventino irrorava le vene della Nazionale azzurra. La nuova stagione 1934-35, sia pure tra qualche difficoltà (gli eroi cominciavano a essere stanchi, Combi aveva lasciato, sazio dell’alloro mondiale), procedeva verso la possibilità di reiterare nuovamente il grande traguardo quando a febbraio la Juventus licenziò l’allenatore. La spiegazione? Motivi personali che non riguardavano la conduzione tecnica della squadra.
Fu questa la spiegazione e la voce del popolo raccontò di una certa predilezione di Carcano per alcuni giovani del club che minacciava di sfociare in episodi imbarazzanti. La macchia si levò come una nuvola sulla carriera di Carcano, che ne uscì distrutto. Mentre la Juventus andava a vincere anche il quinto titolo (l’ultimo, poi, in estate, la tragica scomparsa di Edoardo Agnelli, in un incidente aereo, chiuse la grande cavalcata), Carcano spariva di scena. Anche se la voce più accreditata lo diede a Genova, a dare una mano “ufficiosa” al pronto rientro in A del glorioso club rossoblù, scivolato per la prima volta tra i cadetti. Carcano vi ebbe una veste di direttore tecnico “ombra” e si sa che venne chiamato anche qualche tempo più tardi, come consulente “fantasma”, in un altro momento in cui la sua solida esperienza poteva servire a superare una crisi.
Il rientro ufficiale nel grande calcio avvenne invece solo dopo molti anni, passata la bufera della guerra che aveva cancellato molti ricordi. E fu un ritorno positivo. Carcano era ancora un drago del Metodo e venne chiamato, una volta esaurito il suo purgatorio, a guidare l’Inter. Lavorò ottimamente, qualificando la squadra per il girone finale e piazzandola al quarto posto. La sua popolarità rinacque e a Sanremo assieme ad alcuni amici fondi una nuova società calcistici orientata al settore giovanile, chi dal suo nome fu battezzata Carlin Boys. Grazie ai suoi buon uffici l’Inter regalò la prima muta di maglie e fu così che nacque il Tomeo della Carlin’s Boys, per lunghi anni uno de massimi appuntamenti giovanili del calcio internazionale di club.
Come tecnico, però, Carcano non ebbe più grandi soddisfazioni, Nel 1947 veniva sostituito dopo quindici turni dalla coppia Nutrizio-Meazza. Un anno più tardi l’Inter lo richiamò come direttore sportivo, quando, dopo venticinque giornate, sostituì Meazza con Valentino Sala allenatore. Durò poco, otto giornate. L’anno dopo ripartì dalla Fiorentina, subentrando a campionato in corso, poi passò nel corso della stessa stagione all’Atalanta, che riuscì a salvare dalla retrocessione. Non riuscì invece a evitare la caduta in C della sua Alessandria, che aveva tentato di salvare subentrando a Edoardo Avalle assieme al tecnico d’inizio stagione, l’inglese Albert Flatley. Si ritirò dal calcio e un giorno d’estate del 1965, mentre faceva il bagno sulla riviera ligure, si sentì male. Portato all’ospedale semiparalizzato, morì dopo pochi giorni.
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