Oggi abbiamo l’onore di poter rendere pubblico un racconto che altrimenti sarebbe rimasto riservato a pochi eletti. Un racconto affidato ad un post su facebook e che abbiamo chiesto all’autore, il nostro amico Carlo Brizzi, di poter pubblicare sulle nostre pagine. Carlo ha acconsentito e oggi siamo orgogliosi di farvelo leggere.
GLIEROIDELCALCIO.COM (Carlo Brizzi) – Oggi non parlo di una celebrità che mi ha mostrato la sua amicizia ma di un carissimo amico che è diventato una celebrità. Conobbi Gaetano Anzalone nel dopo guerra, quando da poco indossavamo i pantaloni lunghi e frequentavamo la 1a liceo. Abitavo in Prati e facevo parte di una banda di ragazzotti che amavano tirare quattro calci al pallone e abbandonarsi a un’allegria sfrenata per rifarsi delle tristezze del recente passato. Gaetano si unì al nostro gruppo come un corpo estraneo perché abitava ai Parioli e veniva al nostro punto d’incontro inforcando con naturalezza l’oggetto della nostra invidia, la Vespa. Noi eravamo figli della borghesia ma Gaetano, che avevamo preso a chiamare Gae, era un po’ più su. La sua paghetta era una paga e vestiva con maggiore ricercatezza di noi ma seppe integrarsi al punto che certe differenze non vennero notate. Per contro fummo noi ad approfittare, anche se in modo contenuto, della generosità del nostro amico. Con il raggiungimento della maggiore età la Vespa era stata sostituita da una Topolino prima e da auto più importanti dopo che consentirono gradevoli variazioni nella nostra vita. In differenti gite improvvisate e divertenti fummo ospiti di Gae nel villone di famiglia a Velletri ed in un appartamento ad Anzio, e toccammo la vetta più alta organizzando un week end a Napoli per il quale avevamo posto regole precise. Non più di 5.000 lire a persona e quello che riuscimmo a ottenere fu adeguato al contenuto impegno di spesa. Finimmo presto il capitale e fummo costretti a trascorrere l’ultima notte in auto nei giardini sul lungomare. Eravamo giovani e forti ma al mattino eravamo pesti e stanchi e allora Gae ci portò al Caffè Caflish dove, tirando fuori da un nascondiglio diecimila lire, offrì a tutti la robusta colazione che ci ricondusse nel mondo dei vivi.
Avevo con Gae un rapporto particolarmente stretto perché nel gruppo ci distinguevamo per essere gli unici portatori della fede giallorossa. Unici lupi tra due o tre agnostici, un simpatizzante della Juve, che quello non manca mai, e due sostenitori del Napoli del comandante Lauro che tra le squadre romane mostravano un particolare trasporto per la Lazio probabilmente per lo stesso azzurro della maglia. Tempi assurdi quelli quando ci si recava allo stadio tutti insieme con sciarpe di diverso colore senza che lo scotto da pagare fosse diverso dalla presa in giro. Tempi cupi per noi romanisti! Un anno dopo l’altro sfiorando il baratro finché la caduta in serie B fu inevitabile e si realizzò con tutti gli aspetti del dramma, campo squalificato per invasione e partita decisiva giocata a L’Aquila. Serie B quindi e a rendere più nero l’immediato futuro nel campionato successivo sarebbe stata promossa in A una sola squadra. Ci trovammo a combattere per quel posto con il Genoa e proprio per la partita del girone di ritorno con quell’avversaria Gae ed io andammo allo stadio, nel senso che effettuammo insieme la strada fino al vecchio Torino, poi lui entrò ed io risparmiai i soldi del biglietto per andare al cinema con una ragazza. Perdemmo la partita ma vincemmo il campionato per un immediato ritorno nella serie A che meritavamo per diritto di censo; la passione giallorossa rimase la stessa mentre le nostre vite presero indirizzi diversi.
Sempre amicissimi ma lentamente il rapporto con la Roma assunse toni di particolare importanza per il mio amico mentre io rimasi confinato nel ruolo del tifoso appassionato. Assistetti con fierezza e un po’ d’invidia all’inserimento di Gae all’interno della dirigenza della squadra e non mi meravigliai che gli fosse stato assegnato un compito nel settore giovanile, anche perché ero a conoscenza di un suo impegno altruistico in favore di un’organizzazione per i ragazzi. Non mancarono occasioni d’incontro con il vecchio gruppo, in riunioni dei ragazzotti divenuti adesso artefici del proprio destino, ma sempre attaccati a un’amicizia indistruttibile. Fummo affettuosamente partecipi ai nostri matrimoni e la vita di coppia, con il corollario dei figli, impresse al nostro percorso direzioni diverse. Seguii con interesse e fierezza il lavoro di Gaetano con il settore giovanile della Roma e proruppi in un urlo di gioia quando nel 1971 assunse la presidenza della Magica. Gli espressi le mie congratulazioni in tutti i modi possibili, mentre mi astenni invece da simili atteggiamenti partecipativi quando anni dopo fu eletto Consigliere Comunale nella lista della DC, della quale ero un fiero quanto inutile oppositore. Non fu un percorso di rose e fiori quello del mio amico quale presidente della Roma per otto anni, dal 1971 al 1979, durante i quali ebbe però modo di mostrare la forza del suo carattere e una gentilezza di modi d’altri tempi. Abbiamo tutti nella memoria il suo impegno di tassinaro per accompagnare alla stazione l’arbitro Michelotti che, a partita quasi finita, ci aveva fischiato un rigore contro che ancora grida vendetta. A rivivere quel tempo passato mi piace ricordare la valorizzazione dei suoi ragazzi, Di Bartolomei e Bruno Conti su tutti, l’arrivo a Roma del bomber Pruzzo e il colpo da maestro della creazione del Centro Sportivo di Trigoria, un’occasione quella nella quale s’impose il suo estro di costruttore. Lasciò la squadra con autentico dolore e in una intervista piuttosto recente ha dichiarato d’essersi sentito tradito.
Gli anni ‘80 erano stati significativi per tutti noi e il gruppo dei ragazzotti s’era disunito. Aldo era ambasciatore, Paolo era scomparso in giovane età, ed io lavoravo in Toscana e avevo preso a scrivere ma provvide Gaetano a riunire nuovamente il gruppo invitandoci a cena. Ci ritrovammo come se ci fossimo lasciati da pochi giorni mentre erano trascorsi quasi vent’anni che avevano inciso sulla vita di ciascuno, ma l’essersi ritrovati ci ha regalato un lungo periodo di vita in comune rallegrato da un’amicizia indistruttibile. Il gruppo dei ragazzotti, con Gae in testa, ha partecipato alla presentazione dei miei romanzi venendo anche due o tre volte ad Anghiari, il paese della mia famiglia, e soltanto una volta giustificandosi con sincero dispiacere Gaetano si tirò indietro. In occasione della pubblicazione di “Dai tempi di Testaccio, confessioni di un romanista” non accettò di scrivere una prefazione e non volle essere ospite nell’occasione in cui il romanzo fu presentato al pubblico, ma per contro caldeggiò il romanzo con il celebre giornalista Lino Cascioli che mi regalò una splendida prefazione. “Ho sofferto troppo Carlo – mi confidò- amo sempre la Roma ma non sopporto quell’ambiente”. L’ultima occasione di felice incontro avvenne per la mega cena che con mia moglie organizzammo per i miei 80 anni, e dopo fu un susseguirsi di guai, malattie e lutti culminati con l’insopportabile scomparsa della mia adorata moglie Virginia. Anche Gaetano fu colto da una grave malattia dalla quale scampò per miracolo con strascichi gravi. L’ho incontrato l’ultima volta nel Marzo del 2018 per l’intervento di sua figlia Giulia, che adesso è una mia cara amica. Fu un incontro struggente per lo stato di salute del mio amico ma ne fui gratificato per la gioia d’avere intravisto i segni della nostra intesa. Ho partecipato nel mese di Maggio al suo funerale che l’imponente presenza di amici commossi ha tramutato in esequie e ho maturato il pensiero che la nostra sia stata una storia d’amore e d’amicizia. Amicizia tra noi e amore per la Roma.