C’ERA UNA VOLTA LA DIMAYOR… splendori e miserie di una lega pirata by @francesco gallo
Dopo lo scoraggiante esordio della Colombia nella Copa América nel 1945, la nazionale «Tricolor» decide di ripresentarsi all’edizione del 1947. In quegli anni è l’Argentina la squadra dei record, capace di vincere tre edizioni di fila (primato non ancora raggiunta da nessuno) e dettare legge in campo grazie a una formazione leggendaria, alla quale, da poco, si è aggiunto anche un giovane campione: Alfredo Di Stéfano.
Di Stefano
La rappresentativa dei coltivatori di caffè, «Los cafeteros», nel torneo ospitato in Ecuador, naufraga imbarcando una serie umiliante di goleade: 4-1 con il Cile, 5-1 con il Perù e addirittura 6-0 con l’Argentina.
La disfatta sportiva, sancita con l’ultimo posto in classifica, demoralizza ancor di più il dirigente sportivo Alfonso Senior Quevedo, che qualche anno prima ha fondato la sua squadra, il Deportivo Municipal. Quevedo vorrebbe rilanciare il calcio colombiano e farlo somigliare il più possibile a quello argentino, con stadi pieni e tanti campioni in campo. Da avido lettore de «El Gráfico», ogni settimana sogna a occhi aperti di veder giocare nella propria squadra i tanti campioni che la celeberrima rivista sportiva argentina mette in copertina.
Da qualche tempo gli è giunto all’orecchio che alcuni calciatori sul Río de la Plata sono scontenti, perché vorrebbero che gli fosse riconosciuto lo status di professionisti e salari più adeguati. Hanno dunque deciso di protestare aderendo alla Huelga, lo sciopero dei calciatori uruguaiani e argentini.
A Montevideo il movimento è guidato da Obdulio Varela, il «Negro Jefe», mentre a Buenos Aires fra i capi del sindacato «Futbolistas Argentinos Agremiados» c’è anche Di Stéfano. Così, mentre in Argentina sarà Evita a risolvere la diatriba sindacale (come abbiamo già raccontato in un altro articolo), a Bogotà quella vecchia volpe di Quevedo ha avuto un’idea.
Avendo fiutato che la risoluzione di Evita ha accontentato solo in parte l’appetito di alcune stelle argentine, si domanda: perché non glieli diamo noi i soldi e li facciamo giocare in Colombia?
La DiMayor, il Bogotazo e il Grande Torino
Nel 1948 Quevedo propone di fondare la DiMayor, la División Mayor del Fútbol Colombiano. Si tratta di un vero e proprio campionato professionistico, una lega parallela all’Asociación Colombiana de Fútbol, nel quale far confluire i maggiori campioni argentini e uruguagi che sono ai ferri corti con le proprie federazioni. L’idea conquista alcuni dirigenti della compagnia aerea Avianca e anche del Senato colombiano, i quali si dicono pronti a garantire l’investimento con molti pesos.
L’operazione sembra sfumare, però, quando il leader del partito liberale Jorge Eliécer Gaitán viene assassinato. Il suo omicidio provoca l’immediata insurrezione popolare a Bogotà. Vengono assaltati negozi e chiese. Il «Bogotazo»si estende a macchia d’olio in tutto il Paese, dove per oltre dieci anni crimini e incidenti saranno all’ordine del giorno. Quel periodo è ricordato come «La Violencia». Se ne uscirà soltanto nel 1958, quando i due poteri politici giungeranno a una conciliazione.
Nel frattempo, anche il calcio sudamericano si ferma perché il «Grande» Torino non c’è più. Il 4 maggio il volo G212 della ALI (Avio Linee Italiane), la mamma di Alitalia, si è schiantato a Torino contro la Basilica di Superga. A bordo c’era l’intero squadrone di Mazzola, Ossola e Bacigalupo. Quel giorno si è disintegrata una delle formazioni più talentuose della storia del calcio. L’Italia della ricostruzione piomba nello sgomento. Nel raccontare la sciagura, Indro Montanelli scriverà una delle sue frasi più belle: «Il Torino non è morto, è andato in trasferta».
Pochi giorni dopo la tragedia, il presidente del River Plate Liberti chiama Ferruccio Novo e gli propone di organizzare un’amichevole per rendere omaggio alla grande squadra perduta e devolvere l’incasso ai parenti delle vittime.
Dopo quella partita, i due presidenti arrivano a un accordo straordinario: per dare avvio alla ricostruzione della squadra, Di Stéfano avrebbe giocato con il Torino. Anche Agnelli, presente quel giorno al Filadelfia, si sarebbe voluto inserire nella trattativa. Ma Di Stéfano scontenta tutti, e a sorpresa annuncia che è già in parola con un’altra squadra: quella dei colombiani del Millonarios Fútbol Club.
«5 y baile»
Il nome altisonante della formazione che ha appena acquistato il giocatore più forte del mondo è stato partorito, ancora una volta, dalla vulcanica immaginazione dell’instancabile Alfonso Quevedo. Oltre al grande Di Stéfano, gli altri due acquisti sono Pedernera e Néstor Rossi, tutti prelevati dal River Plate. Ad attendere questi campioni all’aeroporto colombiano si presentano in migliaia.
Rossi, Di Stéfano y Pedernera
Dopo i drammatici scontri urbani che hanno scosso la Colombia dalle fondamenta, il presidente della squadra più ricca del Sud America ha pensato bene che i cittadini di Bogotà abbiano bisogno di uno svago che almeno per un’ora e mezza a settimana faccia loro dimenticare i patimenti e i lutti quotidiani. La sua idea è riassunta nell’espressione «Fútbol carnival», che indica bene l’esigenza di creare uno spettacolo calcistico ad hoc per infondere calma e sollievo alla gente.
I Millonarios sborsano cinquemila pesos alla firma, uno stipendio mensile di cinquecento e un appartamento in una zona lussuosa della città, lontana dagli echi della Violencia.
Lo squadrone che Quevedo mette in piedi viene soprannominato «5 y baile», perché dopo il quinto gol i giocatori per non infierire sull’avversario si mettono a dare spettacolo per i tifosi. È un momento d’oro per il calcio colombiano, che si guadagna subito il titolo di «El Dorado».
Una lega pirata
La ricchezza ostentata dai milionari di Bogotà è ovviamente illusoria, eretta frettolosamente su dei catafalchi. I tanti pesos circoleranno solo per altri due anni, poi nel 1951 l’avventura finirà. Il decesso è confermato da Fifa e Conmebol, che non riconoscono il campionato e lo considerano una lega pirata.
La stessa Fifa e la Dimayor poi troveranno un accordo: reintegro della Lega nella Federazione colombiana e ritorno immediato dei calciatori acquistati illegalmente alle proprie squadre di provenienza.
In Argentina tornerà anche la «Saeta rubia» Di Stéfano, almeno per un breve periodo. Poi andrà a giocare per il resto della sua vita nel Real Madrid di Santiago Bernabéu, che costruirà anche lui una squadra irripetibile, grazie anche, però, all’uso di una corsia privilegiata per l’acquisto di autentici campioni. Il netto dominio degli anni successivi sarà infatti spiegato dal fatto che il Real, la squadra vicina al «Generalísimo» Francisco Franco, poteva naturalizzare spagnoli tutti i giocatori che lo chiedevano.
E così Di Stéfano, che nel frattempo a Madrid tutti avrebbero cominciato a chiamare «Don» Alfredo, vestirà anche la maglia della Nazionale spagnola. Ma questa è un’altra storia che racconteremo in futuro.
Nato a Cosenza, classe 1985, è storico, regista cinematografico e scrittore. Autore di diversi saggi e documentari sulla storia dello sport, è anche membro della Siss e dell'Anac. Da qualche anno lavora come supplente a Torino e ha da poco fondato la propria casa di produzione.