GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)
Il centro sportivo più famoso d’Italia, simbolo di una rinascita calcistica del Bel Paese partita durante il decennio ’60 e arrivata all’apice mondiale in quattro decadi. Stiamo parlando di Milanello, cuore pulsante di una delle squadre più importanti nella storia del nostro calcio.
La sua nascita venne voluta da Andrea Rizzoli, nel 1963. Quello sarebbe stato l’anno di svolta per i rossoneri, quello della prima Coppa dei Campioni conquistata contro il Benfica di Eusebio.
Nel 1971, un attento Franco Mentana analizzava la giovane storia di questo polo calcistico unico in Italia con la sapienza e la curiosità di un giornalista navigato quale era. Su La Gazzetta dello Sport si introduceva l’articolo con un titolo emblematico e quasi interrogativo: “Milanello è una fucina non è più una miniera”.
Proprio per il fatto di essere stato un polo unico e innovatore, Milanello fu per molti anni (specialmente fino alla fine dei ’60) un serbatoio inesauribile di talenti più o meno forti. Gipo Vieni prima e Bruno Passalacqua poi, furono in grado di rifornire il mercato calcistico del sud Italia attraverso la vendita di molti prodotti del vivaio. E questo “commercio” non fece altro che arricchire le casse della squadra meneghina, dandole la possibilità di fare acquisti importanti.
Sempre secondo Mentana e Zagatti (responsabile del vivaio in quel periodo), “devono essere usciti da Milanello venti giocatori buoni ogni anno, oltre a quello finiti in serie C e D.
Numeri importanti che ci fanno capire l’attenzione rivolta dalla società ai suoi giovani.
La cosa interessante è che già negli anni ’60 si svolgeva un lavoro che adesso, esaltando il Barcellona e la sua cantera, viene definito visionario, sempre mantenendo quell’esterofilia spinta tipica del giornalismo sportivo italiano. “I tecnici si interessano contemporaneamente delle tre squadre di Allievi perché tutti possano avere una visione panoramica delle forze. […] Perché anche al Milan sanno che soltanto attraverso gli allevamenti si potrà dare un impulso alla prima squadra”.
Analizzando il bel pezzo della Gazzetta, si scopre che Milanello del 1971 costava alle casse della società 100 milioni annui e che i problemi più importanti erano rappresentati dalla mancanza di sfide internazionali e dai terreni di gioco. In parole povere i giovani delle Primavera italiane dovevano sempre sfidare le stesse squadre, senza poter giocare contro compagini straniere; in più, è questo ci fa capire il livello di perfezione di quel centro, c’era una critica verso i terreni di provincia, giudicati come “ambienti che non favoriscono la loro formazione tecnica”.
A distanza di 50 anni ci si chiede se è bene cavalcare l’onda delle plusvalenze oppure se sarebbe bene ritornare a coltivare i talenti nostrani, soprattutto alla luce del fatto che il nostro calcio non riesce a produrre campionissimi di primo rango dalla generazione nata sul finire dei ’70.
Fonte La Gazzetta dello Sport del 18 Dicembre 1971