Franco Cordova, ex giocatore della Roma e della Lazio, ha rilasciato un’intervista a Il Messaggero, in cui ha parlato della sua carriera e del suo passaggio dall’altra sponda del Tevere…
«Centrocampista della Roma da dieci anni, capitano, tifoso. Ma fui costretto ad andare alla Lazio, sennò avrei dovuto smettere col calcio a 32 anni».
Per i più giovani, e per chi ha voglia di ricordare i bei tempi andati: cosa accadde?
«Che stavo sulle scatole al presidente, Gaetano Anzalone. Dal primo giorno. Perché ero il genero del suo predecessore, Alvaro Marchini: avevo sposato la figlia Simona, con tutti problemi che la cosa rappresentava ai tempi. Fu un rapporto impossibile fin dall’inizio. Ma io non ero uno qualsiasi, ero il capitano e leader della squadra, e fu una guerra. Addirittura all’inizio della stagione 1974-1975 rimasi fuori nelle prime sette partite, la Roma fece 4 punti, era quasi ultima. Mi fecero rientrare a viva forza per il derby, mi convinsi a giocare Vincemmo il derby contro la Lazio campione d’Italia 1-0, gol di De Sisti. A fine anno arrivammo terzi».
Gli inizi, immaginiamo, furono complicati.
«Le racconto una cosa inedita. Prima amichevole all’Olimpico con la Lazio, in notturna. Sono l’ultimo a entrare in campo e per un motivo: stavo lì nel sottopassaggio, a torso nudo e con la maglietta in mano. Qualcosa mi impediva di indossarla, non riuscivo, anzi non ne avevo alcuna intenzione. Un rifiuto. Un dirigente lì vicino mi implorò, poi sempre più spazientito disse: Ma te la voi mette sta maglietta, che dovemo giocà?’. Alla fine è andata, le cose hanno preso il loro verso. Alla Lazio ho passato tre anni eccellenti, mi hanno trattato benissimo, ho fatto praticamente tutte e 90 le partite di quei tre campionati. Però al cuore non si comanda: lui, era rimasto dall’altra parte» […]
IL MESSAGGERO