Agli inizi degli anni Novanta l’Argentina campione del mondo in carica si affacciava sull’ultimo decennio del Novecento carica di speranze. Il Paese stava per imboccare la strada neoliberista, una svolta che prospettava un viaggio senza curve verso il mercato globale. In più, la nazionale albiceleste si preparava a un felice ricambio generazionale, aprendo le porte della Selección a una pletora di giovani promesse.
1990, nel segno de «El Goy»
Nel 1990, ai Mondiali di calcio in Italia, l’Argentina campione del mondo perde clamorosamente la partita d’esordio contro il Camerun di François Omam-Biyik e Roger Milla.
L’inattesa sconfitta scuote il fragile castello di carte che a malapena si regge in piedi sull’instabile base dei giocatori che quattro anni prima hanno trionfato in Messico.
Superato il girone per il rotto della cuffia, negli Ottavi di finale l’Albiceleste incontra lo scoglio più duro: il Brasile. L’infinita sfida sudamericana verrà decisa da Caniggia, ma su quel match gravano ancora i sospetti di una sorta di avvelenamento subito dai brasiliani ad opera della panchina argentina. Pare che qualcuno abbia versato nelle borracce dei carioca il Roipnol, un potente miorilassante in grado di alterare negativamente le prestazioni atletiche dei verdeoro.
Dopo aver superato dagli undici metri prima la Jugoslavia, poi l’Italia padrona di casa, assurge a protagonista di questo zoppicante e poco convincente cammino – terminato nell’ultima partita con la Germania – il portiere Sergio Goycochea, il migliore di questa Argentina, che tre anni dopo risulterà decisivo per la vittoria in Copa América.
1991, senza Maradona
Dopo le dimissioni di Carlos Bilardo, il nuovo allenatore dell’Albiceleste è Alfio Rubén Basile, che non appena si è accomodato sulla panchina argentina ha dovuto subito fare a meno di Maradona, squalificato a causa dell’esito positivo alla cocaina dopo un Napoli-Bari del 17 marzo.
Sprovvisto del suo giocatore principale, posa lo sguardo altrove e si accorge di avere tra le mani una squadra potenzialmente superiore a quella che è arrivata seconda al Mondiale italiano.
Decide quindi di affiancare all’ormai esperto Caniggia un’altra giovane punta, da poco opzionata dalla Fiorentina di Cecchi Gori: Gabriel Omar Batistuta. L’attaccante di origini friulane è dotato di un formidabile colpo di testa e in pochi anni diventerà un centravanti quasi imprendibile. Specialista dei gol al volo, «Batigol» – come verrà soprannominato dai fiorentini – è forse il migliore attaccante puro, insieme a Van Basten, della sua generazione.
Argentina: il primo goal di Batistuta
Il suo primo gol nella Copa América del 1991, quello che piega il Brasile allenato da Paulo Roberto Falcão (3-2), spiana la strada verso la vittoria finale del torneo. L’Albiceleste mette in fila tutte le pretendenti: Venezuela (3-0), Cile (1-0), Paraguay (4-1) e Perù (3-2).
Con un sontuoso passo di tango, l’Argentina giunge all’appuntamento con la storia e trionfa in Copa América dopo trentadue anni di digiuno. I gol nell’ultima partita con la Colombia, quelli che portano la firma di Batistuta e Simeone, diventano il simbolo di una nuova generazione di argentini che non vedono l’ora di buttarsi a capofitto nell’esaltante avventura neoliberista promessa dal nuovo presidente Carlos Menem.
1993, la Copa América e un mondiale alle porte
Alla vittoria della Copa América, si aggiunge nel 1992 quella nella prima edizione della Confederations Cup. Sulla scia dell’entusiasmo generato da tre finali consecutive in tre diverse competizioni, la giovane nazionale di Basile comincia a fare progetti in vista dei prossimi Mondiali di calcio.
Prima, però, c’è spazio per una nuova edizione della Copa América. A dettare il ritmo del cammino verso un nuovo trionfo ci pensano ancora Batistuta e Simeone. L’unico serio ostacolo si presenta, ancora una volta, sotto le vesti del Brasile. La partita, finita in parità, viene decisa ai calci di rigore. Dopo i gol di Roberto Carlos e Cafù, l’errore decisivo di Boiadeiro regala la semifinale all’Argentina, la quale, come già successo ai Mondiali del ’90, deve ringraziare il portiere Goycochea, che conferma la sua abilità nel neutralizzare i calci di rigore.
«El Goy», come lo chiamano i tifosi del River Plate, sarà decisivo anche nella semifinale contro la Colombia: Argentina avanti ancora infallibile dagli undici metri.
In finale l’Albiceleste trova l’esordiente Messico, che però non riuscirà a compiere l’impresa di vincere al debutto. Gli argentini la spuntano grazie alla doppietta di Batistuta (2-1), stavolta illuminato dal sinistro telecomandato e dalla enorme capacità di comprendere il gioco di Fernando Redondo. Secondo trionfo consecutivo dell’Argentina e quattordicesima Copa América in bacheca.
1995, l’effetto Tequila e la fine del sogno
Malgrado i numerosi successi e il ritorno in nazionale di Maradona, la svolta liberista dell’Argentina sancisce l’inizio della crisi economica e calcistica. A metà anni Novanta, si attuano in tutto il Paese delle profonde riforme strutturali, tali da modificare le fondamenta dell’intero sistema produttivo e finanziario argentino. Il tutto avviene in tempi molto stretti: «senza anestesia», si dirà. L’obiettivo dichiarato è quello di aprire le economie locali alla competizione internazionale per obbligarle a divenire più efficienti e innovative: dal commercio alla finanza, dal mercato del lavoro alla previdenza sociale, ogni settore viene investito dalla febbre neoliberista.
In un primo momento si cominciano a vedere dei benefici. Il nuovo presidente Carlos Menem riesce a imporre il tasso di cambio peso-dollaro a una quotazione fissa. L’economia cresce dell’1,6% all’anno e il trend negativo del ‘decennio perduto’ pare finalmente mutato. In più, grazie alla nuova stabilità economica, in Argentina comincia ad affluire molto denaro dall’estero. Il Paese entra così ufficialmente a far parte del flusso della globalizzazione: scambi internazionali, diversificazione di merci.
Dopo una manciata di anni, però, il neoliberismo svela il suo volto nascosto. Un’inflazione galoppante rivela che si è agito e investito in maniera incosciente all’interno di un mercato abilmente dopato dall’alto. L’Argentina, insieme a Messico e Brasile, piombano in una drammatica crisi economica a causa di quello che viene definito ‘effetto Tequila’, ovverosia una grave svalutazione della moneta locale.
La crisi definitiva dei bonds
Molti risparmiatori investono allora nei bond, in titoli di debito. Ma sarà proprio l’irresponsabilità del governo, ormai fuori controllo, a causare all’inizio del 2000 la crisi definitiva dei tango bonds.
Terminato il sogno neoliberista, l’Argentina si sveglia in ginocchio, costretta a fare i conti con la realtà. Da Buenos Aires a Cordoba conta migliaia di poveri, una diffusa disoccupazione resa ancora più acuta dalle enormi differenze economiche e sociali tra una città e l’altra.
Il triste, solitario e finale addio di Maradona ai Mondiali del 1994, ancora una volta fermato dal doping, è la copertina perfetta di un romanzo calcistico nazionale che tornerà a regalare le pagine più dolci solo con la futura comparsa di un nuovo protagonista, Lionel Messi.