Storie di Calcio

Ciao Diego… Eroe dei “Terzi Mondi”

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Massimiliano Morelli) – Quando nascevano i bambini negli anni ’80 quasi sempre nascevano con la voglia di correre dietro ad un pallone. E quasi sempre, mentre si rincorrevano sudati e sbrindellati, inseguiti dai cortili sudici di una periferia, o dalle mamme che li aspettavano con la pasta asciutta incollata nel piatto, gridavano il suo nome. Come a Maradona. Era l’urlo di battaglia di una generazione lunga 40 anni. O forse di più. Senza fine e senza confini.

Maradona non è stato mai un cognome. Non aveva nazionalità. Non era rude sulla lingua come un Beckenbauer, né morbido come il velluto di un Platini, o etnografico come un Giggirriva. Maradona era una parola facile da scandire in tutte le lingue del mondo. Era un Amen. Ognuno di noi sa chi è stato, ognuno di noi sa come è fatto, ogni di noi almeno una volta nella vita ha confessato alla propria mamma di essere innamorato. Perché aveva visto Maradona. Diego è stato per il calcio una pandemia, è arrivato ovunque e oltre, molto prima di questo maledetto virus. E al tempo stesso è stato un vaccino. Che ha addormentato e narcotizzato nell’estasi di un pallone che rotolava dove e quando voleva lui, le paure, le miserie, le sciagure e il nulla dei più poveri. Di quelli che posti in Paradiso non ne trovano mai, neppure in piedi. Quel corpo divino dalle gambe sgorbie, per dirla alla Gianni Brera, era sceso su una terra povera di fazende e gomitoli di cuoio presi a calci per strada, per incarnare un Eroe dei Terzi Mondi, trait d’union di un bianco-azzurro color del cielo. Nell’ipnotico accarrezzamento di un pallone cucito come un guinzaglio ai suoi piedi sbruffoni, aveva strappato la camiseta della miseria al suo popolo natio, per sbarcare come un Garibaldi della pelota sulle sponde dell’altra metà del suo cuore. Quella Napoli di cui è stato Miseria e Nobiltà. Che ha raccolto dai vicoli millenari di carta sporca, per farne una favola imbandita, uno sberleffo al Sistema, una poesia inedita nel calcio ingarbugliato e ricchissimo di quegli anni, uno sgub romantico per far battere il cuore alle radioline in FM.

Diego è stato il Robin Hood dell’evo moderno, ha tolto ai ricchi per far sognare i poveri, ha osato tutto quello che si poteva osare per spostare il cielo più in là, un po’ più su. Dove i poveri cristi potevano campare felici perché fuori dal demanio dell’ipocrisia non si pagano le tasse. Lì c’è spazio solo per le emozioni. E Maradona è stato per la sua gente una fottutissima emozione. Ha dribblato il senso di ogni logica con la stessa sfacciata genialità con cui irrideva le gambe feroci di tanti terzini lasciati con il di dietro sull’erba. Ha declinato il termine parabola in mille e uno modi, raccontandolo con una punizione dipinta nel sette, o riferendolo alla sua stessa esistenza. Una parabola che non atterrava mai. Sempre pronta a risalire. Come se la vita fosse per lui un portiere da uccellare, nella vana attesa che quel pallone scendesse per farsi accalappiare dai suoi guantoni.

Ed invece no, se il pallone lo calciava Diego, restava sempre alto nel cielo, come una lanterna sospesa, sorvolando le nostre ipocrisie, i luoghi comuni, ed anche le tante malignità che sono state dette sul suo conto. Maradona era una virgola impazzita, un salto più alto e più furbo dei bacchettoni come Shilton all’Azteca. Maradona è stato probabilmente l’unica vera occasione che la vita ha regalato a ciascuno di noi per sognare che il gioco che facevamo quando da bambini tiravamo quei calci ad un pallone, sarebbe durato per sempre. E invece no, stasera, con il cuore affranto, ci siamo svegliati da quel sogno scoprendo che ogni bel gioco dura poco. Anche quello che per noi resterà il gioco più bello di sempre.
Live is Life, Diego. E ce lo hai insegnato tu, con il pallone tra i piedi e gli scarpini slacciati, in quella bellissima serata di Monaco, di tanti anni fa.

 

foto Diego Armando Maradona © Cadaverexquisito, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

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