Dinamismo di un footballer di Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 19 ottobre 1882 – Verona, 17 agosto 1916) è una delle più famose opere d’arte del futurismo, il movimento d’avanguardia fondato nel 1909 a Milano dal poeta Filippo Tommaso Marinetti.
GLIEROIDELCALCIO.COM (Danilo Comino) –
È un quadro di grandi dimensioni (misura cm 195 x 200) dipinto nella seconda metà del 1913, oggi esposto in uno dei musei più importanti del mondo: il Museum of Modern Art di New York. Dinamismo di un footballer di Umberto Boccioni non è solo la prima grande opera d’arte italiana dedicata al calcio, ma è anche il più celebre dipinto su questo sport ed è immancabilmente citato nei libri che trattano della relazione tra football e arte, tanto in Italia come all’estero.
Uno spettatore poco abituato all’arte d’avanguardia potrebbe essere intimorito dal quadro, perché non è certo di comprensione immediata. Qui di seguito proporrò possibili chiavi di lettura nella speranza di rendere accessibile a quanti più appassionati di calcio quest’opera maestra dell’arte italiana del secolo XX.
Partiamo illustrando brevemente le caratteristiche del futurismo, la corrente d’avanguardia di cui Boccioni fu uno dei massimi interpreti tra il 1909 e il 1916. I futuristi si contrapponevano nettamente a ciò che chiamavano il “passatismo”, ossia la cultura tradizionale.
“Noi vogliamo distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il formalismo accademico” (Umberto Boccioni, C. Carrà, L. Russolo, G. Balla, G. Severini, Manifesto dei pittori futuristi, 1910).
I futuristi sapevano bene che la moderna civiltà industriale era un’epoca della storia dell’umanità totalmente diversa dalle precedenti. Le macchine avevano moltiplicato la forza dell’uomo; le fabbriche e l’espansione edilizia avevano trasformato le periferie urbane; nei centri cittadini, la diffusione dell’elettricità aveva aumentato le occasioni di “vita notturna” in bar, sale da ballo o nei cinematografi. I tram, le metropolitane, i treni e le automobili avevano velocizzato i contatti, mentre i primi aerei annunciavano che presto l’uomo avrebbe dominato anche il cielo. Inoltre, la scienza aveva fatto grandi scoperte e invenzioni come, ad esempio, i raggi X (Wilhelm Röntgen), la teoria della relatività (Albert Einstein), la radio (Guglielmo Marconi), ecc. L’arte moderna non poteva ignorare tutte queste cose.
“È vitale solo quell’arte che trova i propri elementi nell’ambiente che la circonda (…) Noi vogliamo rendere e magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa” (Umberto Boccioni, C. Carrà, L. Russolo, G. Balla, G. Severini, Manifesto dei pittori futuristi, 1910).
Nel nuovo mondo industrializzato, in cui “tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido”, dominavano i miti della velocità e della “macchina”, che i futuristi proponevano come nuovo modello estetico.
“Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile (sic) da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo … un automobile (sic) ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia” (F.T. Marinetti, Fondazione e manifesto del futurismo, 1909).
Compito della nuova arte era raffigurare la “sensazione dinamica” generata dalla velocità. “Sensazioni dinamiche” particolarmente forti si potevano provare nello sport, che per i futuristi era un simbolo di modernità al pari delle macchine e delle scoperte scientifiche.
“Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno” (F.T. Marinetti, Fondazione e manifesto del futurismo, 1909).
“Le piste, le gare atletiche, le corse ci esaltano! Il traguardo è per noi il meraviglioso simbolo della modernità” (U. Boccioni, Pittura scultura futuriste. Dinamismo plastico, 1914)
Umberto Boccioni dipinse due quadri a tema sportivo e li dedicò ai due sport più seguiti dagli italiani del suo tempo, il ciclismo e, in seconda battuta, il calcio: qui ci occupiamo ovviamente solo di quello sul football. Che cos’era il calcio italiano sul finire del 1913 – quando fu dipinto Dinamismo di un footballer – e che importanza aveva Milano, la città in cui Boccioni viveva? Le prime squadre erano nate tra il 1889 e il 1891 a Torino, dove fu fondata, nel 1898, la Federazione Italiana del Football (FIF), che in quello stesso anno organizzò il primo campionato.
Nel 1912-13, quindi, il campionato italiano era giunto al suo sedicesimo anno di vita; il club con più titoli era il Genoa, campione in sei occasioni, seguito dalla Pro Vercelli, la squadra del momento, che aveva vinto cinque delle ultime sei edizioni del torneo. Nel 1912-13, Milano era la terza città italiana per numero di titoli vinti (dopo Genova e Vercelli) ed era rappresentata nella massima seria da ben quattro squadre: il Milan (campione d’Italia nel 1901, 1906 e 1907), l’Internazionale (campione tra le polemiche nel 1910), il Racing Libertas Club (che si sarebbe sciolto nel 1915) e l’Unione Sportiva Milanese (fusasi nel 1927 con l’Internazionale).
Va notato che alle prime quindici edizioni del campionato avevano partecipato solo club dell’Italia settentrionale; le regioni rappresentate erano Piemonte, Liguria, Lombardia, in seguito Veneto ed Emilia Romagna. La stagione 1912-13 segnò una svolta nella storia del campionato italiano di calcio: per la prima volta la Federazione aprì la competizione anche alle squadre del centro sud; il nuovo torneo prevedeva ora un girone piemontese, uno ligure-lombardo, uno veneto-emiliano, uno toscano, uno laziale e uno campano. In sostanza, nel 1912-13 il campionato di calcio italiano divenne un fenomeno nazionale. Fu proprio allora che Boccioni dipinse il suo grande quadro sul calcio; del resto la stessa biografia del nostro artista aveva un carattere, per così dire, “nazionale”: nato a Reggio Calabria da genitori emiliani, visse a Forlì, Genova, Padova e Catania prima di trasferirsi a Roma nel 1901 e di stabilirsi a Milano dal 1907.
Futuristi a Parigi nel 1912
Può sorprendere che Boccioni, fervente patriota come molti artisti e intellettuali del suo tempo, abbia intitolato il quadro Dinamismo di un footballer e non Dinamismo di un calciatore. Ciò sembra ancora più strano se si ricorda che nel 1908 la FIF aveva avviato una campagna di italianizzazione del football e del suo linguaggio, ancora pieno di termini inglesi, e che nel 1909 aveva cambiato il suo nome in Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC). Con queste mosse i vertici del calcio nostrano, animati da spirito patriottico, cercavano di far passare l’idea che il football fosse un’elaborazione inglese di un antico gioco italiano: il “calcio fiorentino”.
È questa la ragione per cui in italiano lo sport più seguito nel mondo ha un nome che non ha niente a che fare con l’inglese football, mentre in altre lingue si chiama con la stessa parola inglese (football in francese), spesso adattata all’idioma locale (fútbol in spagnolo, futebol in portoghese, fotbal in rumeno, futbol in turco), o con una traduzione letterale dall’inglese (Fußball in tedesco, voetbal in olandese, fodbold in danese, balompié in spagnolo). Tuttavia, nell’Italia del 1913 la maggioranza degli sportivi continuava a usare parole inglesi e a chiamare i calciatori footballer; Boccioni ne era ben cosciente.
Umberto Boccioni, Dinamismo di un footballer, 1913
Veniamo al quadro: che cosa raffigura esattamente Dinamismo di un footballer? Ricordiamo, innanzitutto, che i futuristi volevano raffigurare la “sensazione dinamica” generata dalla velocità; pertanto, possiamo dire che il quadro di Boccioni raffiguri la “sensazione dinamica” prodotta da un calciatore che corre. In altri termini, il nostro artista non ha voluto dipingere semplicemente un footballer in corsa, cosa che avrebbe potuto fare con un linguaggio realistico tradizionale, ma il suo “dinamismo” e la sensazione che questo provoca in noi; e per far questo ha dovuto utilizzare un linguaggio innovativo, prossimo all’astrazione.
Boccioni ha scomposto il calciatore e l’ambiente che lo circonda in un insieme di linee e figure geometriche di aspetto, colore e dimensioni diversi; non ha però raggiunto la completa astrazione. Infatti, se osserviamo il quadro con attenzione, riconosciamo chiaramente il corpo del calciatore; al centro c’è la sua coscia destra, in basso a sinistra il resto della gamba; quella mancina occupa la metà inferiore opposta del dipinto; il braccio destro forma un arco che si estende in tutta l’area superiore sinistra, mentre quello mancino è nascosto dal corpo. Come si può vedere, il footballer non ha la testa. Perché? Il motivo è semplice: Boccioni si rese conto che il volto avrebbe individualizzato troppo l’atleta, cosa che voleva evitare.
Il suo obiettivo era, infatti, dipingere una “sensazione dinamica” universale e non voleva distrarre con dettagli inutili chi osserva il quadro. Per tale motivo, “tagliò la testa” al suo footballer seguendo l’esempio di Rodin che nella sua celebre scultura L’homme qui marche del 1907 raffigurò un corpo senza testa e senza braccia per concentrare l’attenzione dello spettatore sul movimento. I colori sono importanti per comprendere un altro obiettivo di Boccioni: rappresentare l’interazione di un corpo in movimento con l’ambiente che lo circonda. In corrispondenza del calciatore trionfa il rosso – colore che i futuristi associavano a “tutto il mondo meccanico e sportivo” – intorno dominano l’azzurro dell’aria e il bianco della luce; non mancano aree di giallo, che può rappresentare il calore, e di verde, il colore dell’erba.
Questi colori si intersecano creando un arabesco di linee e forme che vuole comunicare la sensazione della corsa del calciatore e dei suoi effetti sull’ambiente: il gesto dell’atleta provoca uno spostamento d’aria, il suo calore corporeo interagisce con la temperatura del luogo, il suo passaggio lascia tracce sul terreno di gioco e incide sulle condizioni di luce generali producendo ombre, riflessi, ecc. Boccioni poneva all’arte obiettivi piuttosto complessi, quindi.
Auguste Rodin, L’homme qui marche, 1907
In conclusione, in Dinamismo di un footballer Boccioni si è servito del calcio, il nuovo sport nazionale dell’Italia del suo tempo, per comunicare una “sensazione dinamica” universale che potesse essere rivissuta in qualsiasi luogo o epoca. Boccioni si aspettava che di fronte all’opera lo spettatore avesse un ruolo attivo, che non si limitasse a osservarla passivamente, ma che interagisse con lei per intuirne il contenuto: in altri termini, per Boccioni lo spettatore deve provare a entrare nel gioco di forme e colori che il quadro esibisce. Del resto, in uno dei loro primi manifesti i pittori futuristi così dichiaravano:
“Noi porremo lo spettatore nel centro del quadro” (Umberto Boccioni, C. Carrà, L. Russolo, G. Balla, G. Severini, La pittura futurista. Manifesto tecnico, 1910).