44 presenze e 6 reti in Serie A … 62 presenze e 10 reti in Serie B … chi era Dino Pagliari, perchè era l’anticonformista ?
Ce lo racconta, alla sua maniera, Antonio Mattera
“ECCO, TAJATE I CAPELLI CHE NUN VEDI GNIENTE!”
Siamo agli inizi del campionato di calcio di Serie A, stagione 1978-79.
Nella Fiorentina che si riunisce per il raduno c’è un nuovo acquisto, anzi, a voler essere precisi, un “cavallo di ritorno”, dopo due stagioni in prestito a farsi le ossa in serie B tra Spal e Ternana.
La Fiorentina l’aveva acquistato dalla Maceratese
È alto, porta una vistosissima barba, una chioma folta, sembra un mix tra Dimebag Darrel dei Pantera ed un antico guerriero nordico.
Gioca ala, volendo pure mezzapunta, sebbene non sia particolarmente estroso.
Il suo allenatore, Paolo Carosi, al primo allenamento, gli si avvicina e dice, in romanesco: “Come te chiami, giovane?”
“Dino Pagliari, signor mister”, risponde il giovane calciatore, nativo di Macerata.
“Ecco, tajate li capelli che nun vedi gnente!”, ribatte lo scorbutico allenatore.
ESORDIO CON IL BOTTO, ANZI LE BOTTE
Sul campo riesce subito a lasciare il segno, ma non per un gol o giocate da fuoriclasse.
Alla prima di campionato, al Comunale di Torino contro i granata è involontariamente protagonista di un gesto violento: una gomitata ad un difensore avversario che gli costa una giornata di squalifica.
Al Franchi, così, Pagliari siede in tribuna accanto al Presidente Rodolfo Melloni.
Ma quel gesto, al contrario, l’ha fatto già diventare un idolo.
O forse solo protagonista della sottile ironia fiorentina.,
“Dino drogaci! Dino, Dino drogaci!”, cantano i diecimila della curva Fiesole.
Ma non sarà solo folklore.
Avrà anche il tempo di ritagliarsi il suo momento di notorietà quando segnerà alla Juventus. E questo, a Firenze, basta e avanza per farlo entrare nel cuore del tifo viola per sempre!
LO SPIRITO ANTICONFORMISTA
Pagliari, una stagione dopo, vive l’ultima annata in riva all’Arno giocando perlopiù da ala e regalando spettacolo dentro ma soprattutto fuori dal campo.
Una personalità certamente folkloristica, quasi da fumetto, fuori dagli schemi dei “belli e allineati”. Un anticonformista insomma.
Dalla “giacca obbligatoria” cucita sopra l’inconfondibile eskimo da rivoluzionario marxista alle voci che lo dipingevano mezzo alticcio sul Ponte Vecchio con una gallina al guinzaglio, similmente ad un altro “dannato” del calcio, il grande Gigi Meroni, lui sì genio della pedata calcistica.
Oppure lo si poteva vedere raggiungere gli allenamenti della squadra a bordo di uno scassatissimo Ciao.
E pensare che i giocatori oggi sfasciano costosissime auto contro quei lampioni che non si scansano di notte al loro passaggio.
“ALLA FINE, QUELLO CHE CONTA, È ESSERE SÉ STESSI”
Dino ha concluso la vita da calciatore nella sua Macerata, dove aveva iniziato.
È rimasto nel mondo del calcio continuando poi una modesta carriera da allenatore in giro per lo stivale, fra Maceratese, Pisa, Ravenna, Lanciano e Lecce.
Insegnando forse ai giovani che forse, nella vita, c’è anche qualcosa in più oltre ad un pallone al quale tirare pedate.
“A volte mi capita di trovare ragazzi, anche giovani, che hanno sentito di me dai loro padri, fratelli, zii: questo mi riempie d’orgoglio perché ci mettevo tanta buona volontà, ma ero un pelandrone! Alla fine, quello che conta è essere sé stessi.”