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Dino Zoff, il monumento del calcio italiano: l’esempio, con Bearzot e Scirea, di un’etica che dovrebbe essere propria di ogni uomo

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Dino Zoff, il monumento del calcio italiano: l’esempio, con Bearzot e Scirea, di un’etica che dovrebbe essere propria di ogni uomo

Nato il 29 febbraio 1942 a Mariano del Friuli (UD). Di famiglia contadina: cresce secondo valori tradizionali, genuinamente friulani, d’antan, si potrebbe dire “asburgici”. Sin da piccolo dimostra doti istintivi di portiere, assecondato da una nonna, come dice lo stesso Dino Zoff in un suo libro.

Primi passi nella squadra locale, la Marianese, dove era considerato un talento. Lo visionarono anche dalle grande squadre, comprese Inter e Juve. Ma gli emissari di quest’ultima, pur apprezzandone la stoffa, lo vedono ancora troppo basso. Così inizia la carriera con la società dell’Udinese ed esordisce il 24 settembre 1961 in un Fiorentina – Udinese in cui subisce 5 gol, ma, malgrado tutto, non gioca male. Però l’allenatore friulano, Alberto Eliani, che anni dopo alla Sambenedettese avrebbe apprezzato molto Causio, non era contento di Zoff, criticandolo.

Erroneamente, si potrebbe dire. L’annata 1961 – 62 a Udine non è fortunata. Viene ceduto al Mantova. Gioca in “A”, ma inizia facendo la riserva di Santarelli, con cui divide i premi. Nel ’67 dovrebbe passare al Milan. Affare praticamente fatto. Ma Pesaola, allenatore del Napoli, lo vuole assolutamente. Grazie alla mediazione di un giornalista, Alberto Giovannini, e all’abilità di Lauro, la compagine partenopea riesce a soffiare il portiere ai rossoneri, facendo riaprire nottetempo un ufficio postale e facendo figurare come la raccomandata con la proposta del Napoli fosse stata trasmessa per tempo rispetto alla chiusura del mercato.

Dal Napoli alla Juventus

Nel capoluogo campano Zoff si impone con sicurezza e maestria, ma quasi silenziosamente, e diventa portiere della nazionale. Nel ’72 lo cerca e lo acquisisce la Juve, dove vince titoli su titoli. In nazionale conquista l’Europeo del ’68 e il mondiale del 1982, rifacendosi di anni di critiche, specie dopo aver subito i due gol contro l’Olanda nel torneo iridato del 1978. Qualcuno insinuava che non ci vedeva e che era tempo di giubilarlo. Il mondiale spagnolo gli renderà giustizia, come anche a Bearzot. Una volta ritiratosi da calciatore, da allenatore un’ingiustizia Zoff la subì quando nel 1990 lo sostituirono come tecnico della Juve dopo aver vinto Coppa Italia e Coppa Uefa con una squadra non eccelsa o, comunque, inferiore a Milan, Napoli e Inter.

Si era nell’era del boom degli allenatori a zona e Zoff, ancora una volta, appariva “vecchio”. I fatti avrebbero dimostrato che non era così. Come non privo di offese fu il trattamento riservatogli nel 2000 per non aver vinto da tecnico della nazionale l’Europeo. La realtà è che gente come Zoff o come Bearzot, o anche Scirea, nel nostro paese sono stati sempre dei corpi estranei per la loro onestà e moralità.

Spesso sono stati maltrattati, per poi essere riabilitati o rimpianti opportunisticamente. Ma quasi nessuno ha fatto tesoro o ha voluto recepire la loro testimonianza di umanità e di umanesimo antropologico. E ormai il calcio è più che altro un affare in un contesto di frivolezze. Zoff, Bearzot e Scirea sarebbero degli autentici estranei. Loro sono gli esempi di etica di cui il nostro paese e il mondo del calcio odierno avrebbero bisogno.

GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Zagami)

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