Dirceu, talento sopraffino dallo sguardo malinconico - Gli Eroi del Calcio
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Dirceu, talento sopraffino dallo sguardo malinconico

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Matteo Vincenzi) – Nell’immaginario collettivo, quando pensiamo al formidabile Brasile di España 82 i nomi che immediatamente ci balzano in mente sono Zico, Falcao, Eder, Cerezo, Junior e Socrates. Eppure in quella rosa straordinaria caduta sotto i colpi di Pablito (per molti dei massimi esperti di calcio considerata più forte anche di quella di Mexico 70), era presente un altro talentoso calciatore che già quattro anni prima in Argentina aveva dato prova di possedere una tecnica sopraffina unita al suo instancabile impegno durante le partite che in patria gli valse il soprannome di hormiguita (formica): Dirceu José Guimarães, meglio noto solo come Dirceu. Proprio oggi avrebbe compiuto 69 anni (nato il 15 giugno 1952, scompare nel 1995 a soli 43 anni in un incidente automobilistico a Barra da Tijuca, quartiere della zona occidentale di Rio de Janeiro).

Una carriera cominciata nel 1969 nella squadra del Curitiba e proseguita nel Botafogo, dove in poco tempo diviene uno dei giocatori più promettenti del Brasile, tanto che nel 1972 è già titolare della formazione olimpica ai giochi di Monaco del 1972, venendo in seguito convocato nella nazionale “verdeoro” che prese parte ai mondiali in Germania del 1974, il primo dei tre che disputò. In 44 partite disputate con la maglia del Brasile mise a segno sette gol. Tra questi quello che durante la finale per il 3° e 4° dei mondiali argentini infilzò Dino Zoff decretando la sconfitta della nostra Nazionale.

Come molti colleghi brasiliani di quegli anni, la specialità della casa erano i tiri ad effetto dalla lunga distanza, e viene il sospetto che siano stati fonte d’ispirazione per la GIG quando lanciò la Robapazza che strumpallazza. Un mancino magico e imprevedibile, col il quale riusciva a far fare al pallone ciò che voleva, addizionato alla capacità, altrettanto incredibile, di riuscire a coprire ogni zona del centrocampo con la leggerezza tipica di pochi eletti. Lì mutò anche il soprannome: la formica diventa la borboleta (farfalla). Dopo aver conquistato per due volte il titolo del campionato di Rio del Janeiro – nel 1976 con il Fluminense e nel 1977 con il Vasco de Gama – Dirceu comincia a girovagare per i continenti: terminata la parentesi all’America di Città del Messico, approda all’Atletico Madrid. Rimane per tre anni in Spagna, segnando 26 gol.

A 30 anni lo sbarco in Italia per indossare la divisa del Verona e successivamente quelle di Napoli, Ascoli, Como e Avellino. Dover cambiare maglia ogni anno sarà una costante della sua carriera nel Belpaese, nonostante l’amore viscerale dei tifosi. Vi tornò nel 1989 per giocare nella quarta serie, vestendo per due stagioni i colori dell’Ebolitana e per una quelli dello Sporting Benevento.

Ha lasciato ovunque un bel ricordo di sé, soprattutto ai tifosi che lo hanno sempre apprezzato per il suo modo umile di interpretare il calcio e anche la vita. L’aneddoto personale mi rimanda ad una serata trascorsa con gli amici in un noto locale di Ronco all’Adige (Vr), credo fosse il 1991. Il bar Zago era una sorta di “pellegrinaggio” obbligato per le compagnie di quegli anni, non soltanto per la varietà degli intrugli «analcolici, poco alcolici e anche molto alcolici» che proponeva, ma per il carisma del titolare. Gianni Zago era un personaggio stravagante ed estroso, dall’ilarità contagiosa, pervaso da una innocua megalomania (prima di uscire ti regalava gli adesivi con il suo viso sorridente, che poi era lo stesso che trovavi sulle etichette delle bottiglie riposte dietro al bancone e sugli stessi portachiavi che fungevano da cavatappi). Se metà della serata la trascorrevi a scherzare con amici e vicini di tavolo, nell’altra ti lasciavi rapire dalla galleria di ricordi esposti alle pareti. Tra quadri, caricature e oggetti vintage, il tratto caratteristico di quel bar-museo erano le centinaia di foto con dedica lasciate dai clienti, più o meno famosi. Tra queste c’erano anche quelle di Dirceu che nella stagione 1982/83 aveva vestito la maglia gialloblù dell’Hellas. Quel Verona concluse il campionato al quarto posto conquistando per la prima volta la possibilità di partecipare alle coppe europee e tracciando, di fatto, la strada per lo storico scudetto di due anni dopo. Una, in particolare, mi colpì: Dirceu che indossava la maglietta con il faccione sorridente di Zago. In quella istantanea non si scorgeva la perenne malinconia che intingeva il suo sguardo. Forse anche un campione del calibro di Dirceu aveva trovato in quel piccolo lembo della provincia scaligera un luogo dove rifugiarsi dal vortice degli eventi quotidiani che ci travolge e assorbe tutte le nostre energie.

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Giornalista professionista. Cronista-inviato del quotidiano "La Voce di Mantova" dal 1993, già corrispondente di Libero fino al 2010 e collaboratore di altri quotidiani nazionali. Opinionista sportivo sulle emittenti locali. Appassionato di calcio anni '80 («uno sport completamente diverso in un'Italia diversa») e soprattutto del Mondiale di Spagna dell’82 («inarrivabile per l'intensità e l'atmosfera magica che ha saputo trasmettere, capace sempre di emozionare ogni volta che scorrono le immagini di quella che è stata una storia sportiva, umana e agonistica difficilmente ripetibile»). Diversi gli idoli sportivi, ma se deve scegliere tre nomi non ha dubbi: Franco Baresi, Marco Van Basten e Ivan Lendl.

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