La penna di Raffaele Ciccarelli ci porta oggi a vivere “il fiuto del gol” … l’origine del Bomber … Dixie Dean
Una squadra di calcio è composta da undici giocatori che vanno ad occupare ognuno un ruolo.
Gli interpreti, naturalmente, sono uomini, ragazzi, che nella recita sul campo portano tutto il loro vissuto, il loro carattere.
Unito alle imprese calcistiche, tutto questo crea l’epica di questo sport, così come la leggenda del ruolo, che di volta in volta viene esaltato.
Tutti gli appassionati conoscono il fascino del ruolo del portiere, ad esempio, forse anche il più affascinante di tutti, perché unico tra gli undici in campo della sua squadra a poter usare le mani, oltre che ad avere l’atipico compito di impedire le segnature avversarie, lui solitario dall’altra parte del campo dove si vive la gioia.
Non si può fare a meno, nel contempo, di restare colpiti dalla forza ruvida dei difensori, impegnati in eterni duelli con avversari che ne vogliono violare l’inviolabilità; o immedesimarsi nelle geometrie euclidee dei centrocampisti, capaci di disegnare traiettorie visionarie che solo loro sono in grado di vedere; o ancora, crogiolarsi nella beatitudine estetica delle giocate dei fantasisti, dove arte e genio decidono di prendersi a braccetto su un prato verde.
C’è un ruolo, però, che tutti vorrebbero avere la capacità di poter ricoprire, un ruolo capace di trasformare in eroi coloro che riescono a interpretarlo meglio: l’attaccante.
Questi è il giocatore risolutivo, quello che magari meno partecipa al gioco collettivo della squadra, quasi nascosto dai fili d’erba, salvo ricomparire all’improvviso e in maniera letale, che si ritrova il grande talento di riuscire a trovare la porta avversaria anche senza vederla, grazie al radar interiore che solo lui possiede, che gli permette di segnare in qualsiasi modo momento.
Con tutti questi indizi in mano, è facile disegnare l’identikit di questi giocatori, facendo un viaggio a ritroso nel tempo: Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, supereroi del gol dei giorni nostri, con in rampa di lancio Erling Haaland, prototipo del bomber del futuro; per i più attempati non può che esserci il ricordo di Gigi Riva o Gerd Müller, senza dimenticare Paolo Rossi, Pichichi azzurro nell’epopea di Spagna 1982; andando ancora più indietro nel tempo, e restando sempre in Italia, i nostri Silvio Piola e Giuseppe Meazza.
La storia del calcio è, quindi, piena di questi grandi personaggi, uno degli antesignani, anche nella prolificità del ruolo, lo troviamo, ovviamente, nell’Inghilterra di inizio secolo scorso, dove il calcio aveva avuto origine ed era radicato, dove a compiere prodezze nel ruolo e nel nome del bomber era William Ralph Dean, da tutti conosciuto come Dixie Dean.
Nato nel 1907, Billy Dean, come preferiva essere chiamato odiando il soprannome “Dixie”, probabilmente dovuto al suo aspetto fisico che ricordava gli yankees americani, iniziò a giocare nella squadra delle ferrovie dove lavorava come apprendista installatore a quattordici anni, passando professionista due anni dopo con il Tranmere Rovers, mettendo subito in luce la sua caratteristica principale: il fiuto del gol.
Fisico piuttosto compatto, di non elevata statura, all’apparenza sembrava improbabile che potesse avere la capacità di poter superare le dure e arcigne difese dell’epoca, ma Dixie “sentiva” la porta, e aveva l’abilità di trasformare in gol quasi qualsiasi pallone toccasse.
Dixie Dean era nato a Birkenhead, sulla sponda del fiume Mersey opposta a Liverpool, e questa opposizione avrebbe segnato tutta la sua vita, quasi un tratto distintivo del suo DNA, perché non ci furono esitazioni quando Thomas McIntosh, manager dell’Everton Football Club lo ingaggiò per il suo club.
Era il coronamento di un sogno, perché il suo sogno era giocare davanti ai trentamila di Goodison Park con la maglia dell’Everton, per segnare tanti gol e portare la sua squadra alla vittoria.
E quando ci credi così tanto, i sogni si avverano.
La gioia per indossare la maglia dei Toffees si tramutò subito in gol, con l’impressionante bottino di trentadue reti nella prima stagione, a soli diciotto anni.
Non meno impressionante il record, tuttora imbattuto, di sessanta gol in trentadue presenze che nella stagione 1927/1928 fecero volare l’Everton verso il terzo titolo di campione d’Inghilterra.
Dopo questa vittoria, inopinatamente, il club retrocesse in Second Division, tante furono le sirene che cercarono d’incantare Dixie Dean per indurlo e invogliarlo a cambiare casacca, lapidario fu il messaggio che egli fece recapitare loro: “Dite a tutti quegli avvoltoi che io, da qua, non mi muovo”.
A suon di reti ci fu l’immediato ritorno in First Division, sempre a suon di gol contribuì a far vincere ai Toffees subito il campionato, poi l’FA Cup, il sogno di ogni calciatore inglese.
La vena realizzativa di Dean fu cooptata anche per la nazionale dei Tre Leoni, ma qui il rapporto fu piuttosto controverso, non per lui, però, perché, nonostante la mancanza di partecipazione ai mondiali e il favoritismo federale verso i calciatori della capitale, segnò diciotto reti in sedici convocazioni, tanto per non perdere l’abitudine.
Dodici stagioni sarebbe durata la sua carriera nell’Everton, scandita dalle urla di gioia dei tifosi che accompagnavano le sue reti, in pratica quasi un urlo costante, visto che Dixie Dean avrebbe realizzato trecentoquarantanove gol in trecentonovantanove match, poco meno di un gol a partita.
Chiuse la carriera con poche altre stagioni divise tra Notts County e Sligo Rovers, ma ormai la magia, legata soprattutto al suo rapporto con l’Everton, era finita, ma mai dimenticata dai suoi tifosi, con una statua a commemorarlo all’ingresso dello stadio.
Restava, intatto, il suo amore per i colori di quella squadra che non aveva mai tradito, e che sarebbe durato letteralmente fino all’ultimo respiro, esalato sulle tribune dello stadio, il Goodison Park, a seguito di un attacco di cuore, mentre assisteva ad un derby contro i rivali storici di sempre, il Liverpool.
Ad epitaffio, le parole più belle al suo funerale furono quelle di Billy Shankly, allenatore che aveva fatto la storia del Liverpool, diventato suo amico: “Oggi siamo qui a salutare il più grande di tutti. E uno così grande adesso sarà lassù a chiacchierare con Shakespeare, Bach e Rembrandt”.