GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli) – Uno dei più grandi misteri della storia del calcio resta l’Uruguay, una striscia di terra compressa tra giganti, con poco più di tre milioni di abitanti, ma capace di sfornare grandi campioni del calcio a ripetizione, e di arrivare a fregiarsi di due titoli mondiali.
È una storia che inizia in tempi remoti, costellata dalle gesta dei campioni, ed uno dei più suggestivi fu Hector Castro.
Una storia, quella di questo giocatore, capace di andare anche oltre lo sport stesso, la dimostrazione di come passione e volontà possano trascendere i limiti fisici.
Nasce povero, il 29 novembre 1904, a Montevideo, l’unica città dove visse, dovendo sbarcare il lunario alterna da subito il pallone al lavoro di falegname, e ha solo tredici anni quando un incidente con una sega elettrica lo priva della mano destra.
La menomazione fisica è grave, ma il carattere è forte, non potendo lavorare si dedica al calcio, segnando tanti gol nella sua posizione di centrattacco, esordendo nel campionato uruguaiano a soli diciassette anni.
La squadra, il Lito di Montevideo, è piuttosto modesta, ma Hector riesce a mettersi in mostra, per tutti ormai è El Manco, e si guadagna la chiamata nel Nacional, che sarà la squadra della sua vita.
La sua storia con i Tricolores, tranne una stagione con gli Estudiantes de la Plata in Argentina nel 1932-33, sarebbe durata ininterrottamente dal 1924 al 1936, e proseguita anche dopo.
Diventò, in pratica, la sua seconda pelle quella maglia, ispirata alla bandiera di Artigas, strisce azzurre e bianche incrociate da una rossa, simbolo del sangue versato per la libertà, con quei colori avrebbe vinto tre campionati, realizzando 145 reti.
Hector aveva iniziato così a costruire la sua leggenda, ma essa stava diventando talmente prorompente che doveva assurgere ai livelli internazionali e, nel calcio dell’epoca, questo poteva accadere solo attraverso le imprese della Celeste.
Nella storia del calcio noi siamo abituati a riconoscere come grandi imprese il decennio d’oro della nazionale italiana di Vittorio Pozzo (due mondiali, una edizione dei Giochi Olimpici, due coppe Internazionali), o anche quello più recente della Spagna (due campionati d’Europa e un mondiale), ma tutto questo ha avuto un precedente, proprio con l’Uruguay.
La Celeste vinse in quegli anni i Giochi Olimpici del 1924 e del 1928, riconosciuti dalla Fifa stessa come veri e propri mondiali[1], il Campeonato Sudamericano de Football 1926 (l’equivalente dell’attuale Copa America), il primo mondiale del 1930 e il Sudamericano del 1935, dal 1928 sempre con Castro protagonista.
Hector aveva esordito in nazionale nel 1925, alla sua prima competizione internazionale fu subito successo.
In Cile si disputava il Sudamericano del 1926, competizione tra le più antiche della storia[2], Castro fu un protagonista inarrestabile nelle quattro partite che portarono al titolo, in un crescendo fatto di furia agonistica unita a discrete abilità tecniche: un gol all’esordio contro i padroni di casa del Cile[3], uno nel mai banale confronto con l’Argentina[4], ben quattro nell’ultima partita contro il Paraguay[5].
El Manco, ormai diventato Divino, fu tra i protagonisti anche della prima edizione dei mondiali di calcio, organizzati proprio in Uruguay nel 1930.
Castro segnò il primo gol in assoluto in questa competizione per la sua nazionale[6], e anche l’ultimo di quella prima edizione, quasi a chiudere un cerchio, quello del quattro a due definitivo nella finale della Coppa “Jules Rimet” contro l’Argentina[7].
Proprio gli strascichi di quella finale portarono alla sospensione della Copa America, perché: “Gli argentini denunciarono di aver subito, in occasione di quell’incontro, forti pressioni e perfino aggressioni. Tutto ciò portò a una rottura dei rapporti calcistici tra i due paesi e ci volle molto tempo per ricucire lo strappo. Per questo motivo il Sudamericano non si disputò per sei anni”[8].
Alla ripresa, nel 1935, a Lima, in Cile, come nell’ultima edizione disputata, la nazionale Celeste che si era affidata ancora a Castro e ad altri vecchi campioni, riuscì nuovamente a imporsi, con Hector che andò a segno contro il Perù[9], e ancora con l’ultima rete contro l’Argentina nella sfida decisiva[10].
Fu il canto del cigno in nazionale, la carriera agonistica di El Divino Manco si chiuse l’anno dopo con il Nacional, ma continuò il suo rapporto simbiotico con i Tricolores, di cui divenne allenatore, vincendo altri cinque campionati uruguaiani.
A Hector Castro fu affidata anche l’amata nazionale, ma qui non poté concludere il suo compito: il destino, sotto forma di un attacco di cuore, spense El Divino Manco a cinquantacinque anni, 15 settembre 1960, regalandolo al mito calcistico del suo Paese.
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[1] Origenes de la Copa Mundial de la Fifa, in website.org: “La FIFA acordó en el Congreso de 1924 asumir la responsabilidad de la organización de los Torneos Olímpicos de Fútbol tras ratificar la propuesta de que “a condición de que los Torneos Olímpicos de Fútbol se celebren de acuerdo con la reglamentación de la FIFA, esta última reconocerá este torneo como un campeonato mundial de fútbol”