“Nel pomeriggio del 18 luglio 1986, un elicottero irruppe tra le nuvole del cielo piovoso di Milano al ritmo della Cavalcata delle Valchirie di Wagner. Atterrò nella vecchia Arena di Milano e le stelle della squadra ne uscirono una ad una. Il Milan era fallito da poco e aveva tristemente sofferto in Serie B. Era così brutto che il suo precedente presidente, Giussy Farina, aveva affittato Milanello per celebrare matrimoni e battesimi. Quel pomeriggio, però, le sorti della squadra e la storia del Calcio cambiarono per sempre. Forse anche quelle dell’Italia”.
Inizia così il pezzo di Daniel Verdù dedicato da El Pais a Silvio Berlusconi. Un articolo celebrativo nel quale Berlusconi, “che il suo medico ha sempre detto essere immortale”, viene definito “una stele di Rosetta che ci permette di decifrare quasi tutti i fenomeni dell’Italia moderna. Anche la sintesi della rilevanza che il calcio occupa nella vita pubblica del Paese”.
“Se ne era stato capace, pensavano gli elettori, come avrebbe potuto non rimettere in orbita la settima economia mondiale. Così ha creato il cocktail perfetto tra politica, calcio e televisione. Un siero capace di ipnotizzare fan e detrattori e in cui i confini tra quegli universi sono scomparsi. Forza Italia ha coniato il nome di uno slogan calcistico nel 1994 e i suoi detrattori non potevano più nemmeno urlarlo di nuovo quando giocava la Nazionale”.
“Berlusconi è stato un visionario”, prosegue l’articolo, e alla fine degli anni Ottanta sentiva che la Coppa dei Campioni stava morendo. E allora sfidò la Uefa molto prima del trio di “apprendisti Botafumeiro” della Superlega: una scommessa che ha portato all’attuale Champions League”.