GLIEROIDELCALCIO.COM (Giovanni Di Salvo) – Un numero Dieci dentro e fuori dal campo. Questa è Antonella Carta, semplicemente una calciatrice immensa che da Nord a Sud, a cavallo tra gli anni Ottanta e l’alba del Nuovo Millennio, ha fatto incetta di scudetti e Coppe Italia, senza dimenticare la Supercoppa conquistata nel 2000. E che per tre lustri ha portato in alto i colori azzurri (collezionando 120 presenze) in giro per il mondo, dall’Europa all’America, da Giappone e Cina all’Australia. Proprio con la nazionale ha vinto due Mundialiti, nel 1997 è stata vicecampionessa d’Europa (in quell’edizione giocatasi in Svezia e Norvegia venne anche premiata come migliore centrocampista) e dopo il ritiro di Carolina Morace ne ha ereditato la fascia da capitano. Nonostante la sua bacheca trabocchi di premi e medaglie Antonella Carta, verosimilmente, ha raccolto meno riconoscimenti di quanti in realtà ne avrebbe meritati ed ancora oggi avrebbe tanto da dare al movimento calcistico femminile.
In quale squadra ha iniziato a giocare?
“La mia prima società di calcio femminile è stata l’Attilia Nuoro (club vicino alla sua città natale Orotelli ndr). Nel 1980, quando avevo a tredici anni, disputai il mio primo campionato in serie C ed entrai subito a far parte della Rappresentativa della Sardegna.”
Con la Maglia dell’Attila Nuoro
La prima tappa importante della sua carriera è il passaggio all’Alaska Lecce. Come avvenne?
“L’anno dopo, il 1981, giocai una partita a Crotone con la Rappresentativa regionale. Lì erano presenti alcuni dirigenti dell’Alaska Lecce, che stavano cercando una punta e mi invitarono a Piacenza per fare un provino con loro. Feci bene, segnando anche due gol, e così nella stagione successiva passai alla squadra pugliese. Ero molto piccola e non fu facile lasciare la Sardegna. Molti miei compaesani chiedevano ai miei genitori perché mi avessero dato il permesso di trasferirmi così lontano ma in fondo non stavo compiendo nulla di male, semplicemente facevo qualcosa che mi piaceva. Alla fine, comunque, tutti si sono ricreduti e sono diventati i miei primi tifosi. A Lecce incontrai Rose Reilly, un personaggio di grande carisma che mi diede una grossa mano e divenne il mio modello. In realtà quel campionato non lo completai perché avevo nostalgia di casa e mi vedevano pensierosa e malinconica così quando mancavano poche partite alla conclusione del campionato ritornai in Sardegna.”
Il ritorno nella Terra dei quattro Mori però dura poco…
“Esatto. Nel 1983 passo alla Giolli Gelati Roma. Al secondo anno disputammo un campionato strepitoso, lottando per vincere lo scudetto fino all’ultima giornata quando perdemmo in trasferta lo scontro diretto contro il Trani. Proprio in quella partita mi notò il loro segretario Nino Losito (venuto a mancare proprio recentemente ndr) e così nel 1985 ritornai in Puglia. Lì ho fatto degli anni indimenticabili ed ho vinto due scudetti. C’era tantissimo entusiasmo ed eravamo molto seguiti dalla gente. Lo stadio era sempre pieno e per le partite di cartello i nostri tifosi preparavano delle bellissime coreografie. L’unico neo era il campo in terra battuta. A distanza di tutti questi anni sento ancora il calore della gente di Trani perché quando vado lì si ricordano ancora delle nostre imprese sportive. E questo ti rende orgoglioso perché vuol dire che hai lasciato qualcosa di buono. Frattanto nel 1984 avevo debuttato in Nazionale, nella semifinale dell’Europeo contro la Svezia, ed ero entrata in pianta stabile nel giro azzurro”
Dalla Puglia alla Campania dove arrivano altri successi…
“Conclusa la stagione 1987/88 il Trani gettò la spugna per problemi finanziari e così a malincuore dovetti lasciarla. Ebbi una chiamata dal G.B. Giugliano Campania ed accettai volentieri la loro offerta. La piazza aveva grandi ambizioni ma non aveva mai vinto nulla. E nonostante quell’anno ci fosse una corazzata come la Reggiana vincemmo lo scudetto e la Coppa Italia mentre l’anno successivo riconquistammo il trofeo nazionale. Anche questa è stata una bella impresa sportiva.”
Con il Campania Giugliano
Durante la sua permanenza a Giugliano ha l’opportunità di conoscere Maradona. Come incontrò l’indimenticabile Pibe de Oro?
“Gennarino, il capo degli Ultras, mi invitò a vedere gli allenamenti del Napoli e lì incontrai per la prima volta Maradona. Seguire una sua sessione di allenamento è stato qualcosa di indescrivibile, stupendo. Venne anche alla nostra ultima partita di campionato. Dovevamo giocare in casa contro il Siderno e festeggiare lo scudetto insieme al nostro pubblico. Purtroppo, però, le avversarie non si presentarono e ciò per noi rappresentò una piccola delusione perché ci tenevamo a far vedere a Maradona che anche noi donne sapevamo giocare bene (in sostituzione dell’incontro di campionato venne organizzata un’amichevole contro la Salernitana, che militava in serie B ndr). Lui, comunque, non aveva pregiudizi nei confronti del calcio femminile, fu molto gentile e scese in campo a palleggiare con noi. Dopo che vincemmo il titolo di Campionesse d’Italia Maradona diventò anche il nostro presidente onorario. Poi ho avuto modo di incontrarlo pure in altre occasioni. Era una persona disponibilissima e che non si tirava mai indietro. Ad esempio ci siamo incrociati a Bisceglie. Il Napoli si trovava lì per affrontare il Bari, lui mi fece entrare nell’albergo dove stavano gli azzurri e mi presentò a Gianfranco Zola. E poi lo vidi all’Hotel Brun di Milano, dove gli chiesi di regalarmi una sua maglietta. Puntualmente, dopo la partita contro l’Inter, me la diede e l’autografò. Quando ne parlo mi viene un magone perché purtroppo è andata persa!”
Poi come si articola la sua carriera?
“Dopo Giugliano mi trasferisco al Milan e la stagione successiva alla Reggiana. In Emilia, nella stagione 1991/92, a causa di un regolamento particolare che introdusse dei play-off, pur avendo dominato il campionato perdiamo ai rigori la finale col Milan. Ci rifacciamo l’anno seguente conquistando scudetto e Coppa Italia. Poi vado al Torino dove restai solamente un anno e nel 1994/95 passai al Lugo. In Romagna ho fatto quattro anni meravigliosi. Nella stagione 1995/96 vincemmo la Coppa Italia e si trattò del primo trofeo della storia di questo club. Io venivo da un periodo un po’ brutto perché quell’anno ebbi un bruttissimo incidente stradale dove perse la vita mia madre. Mi diedero circa 80 punti al ginocchio e ci volle una grandissima forza di volontà per ricominciare a giocare. Feci di tutto per poter essere presente alle finali di Coppa Italia e per vincerla. Infatti il calcio mi aiutò molto a superare questo momento così complicato e difficile. Da Lugo sono andata ad Ascoli, nell’Autolelli Picenum, dove sono rimasta per due anni.”
Il cerchio si chiude con la Torres…
“Proprio così. Nel 2000 ritorno in Sardegna e vesto la maglia della Torres con cui ho fatto due anni bellissimi vincendo scudetto, Coppa Italia e Supercoppa. Inoltre nel 2001 siamo stata la prima squadra italiana a partecipare alla prima edizione della UEFA Women’s Cup (dal 2008 il torneo prese la denominazione di UEFA Women’s Champions League ndr). Ricordo che andammo in Finlandia, dove si svolse il nostro quadrangolare. Facemmo bene ma la qualificazione alla fase successiva sfumò per l’unica sconfitta che subimmo contro le padrone di casa della HJK Helsinki. E qui, nella stagione 2001/02, sostanzialmente si chiuse la mia carriera.”
Per quindici anni ha indossato la maglia azzurra togliendosi tante soddisfazioni. Tra le sue perle vi è il gol vittoria al Mundialito del 1986. Ci racconti quella finale.
“Superammo il girone con Messico e Giappone e poi in semifinale la Cina. A contenderci il trofeo, nella finale giocatasi a Jesolo, furono gli Stati Uniti. All’11’ – con un forte tiro di destro – siglai l’1-0. Fu una partita molto combattuta e venne decisa da quell’unica rete. Gli USA erano già una squadra di livello e quando le rincontrammo diversi anni dopo erano cresciute tantissimo ed erano diventate una formazione fortissima.”
E parlando degli USA dobbiamo ricordare anche il Mondiale del 1999, disputatosi proprio negli Stati Uniti, in cui Lei è stata il capitano delle azzurre…
“Il Ct Vatta, una grandissima persona, ci guidò nella fase di qualificazione e ritornammo a disputare i Mondiali dopo otto anni di assenza. Peccato che ci lasciò subito dopo aver staccato il pass per gli USA. Al suo posto venne nominato Facchin. Purtroppo il sorteggio non fu benevolo e capitammo in un girone di ferro. Nella prima partita con la Germania potevamo vincere, sprecammo diverse occasioni ed io colpii pure una traversa. Così l’incontro terminò 1-1. Poi ci toccò il Brasile. Le carioca erano veramente brave perché giocavano sullo stretto con scambi di prima, insomma sfoggiavano il rinomato gioco sudamericano. Andiamo sotto di una rete ma ci assegnano un rigore. Ho avuto il coraggio di prendermi la responsabilità di tirarlo, d’altronde nella fase di qualificazione li avevo trasformati tutti. Ed invece l’ho calciato malissimo, non ci sono scusanti. La palla finì in bocca al portiere ed alla fine perdemmo per 2-0. L’ultima sfida col Messico fu ininfluente perché eravamo già eliminate. In quella partita Mister Facchin mi mise in panchina ed in pratica la mia ultima gara in azzurro fu contro le brasiliane. Devo dire che con lui non ci fu mai molto dialogo nonostante io fossi il capitano.”
Quali sono i ricordi più belli con la maglia azzurra?
“Tutti i ricordi sono belli, anche quelli negativi, perché alla fine si parla di sport. Quando indossi la maglia azzurra è un orgoglio così grande che non puoi che avere bei ricordi.”
Si ringrazia Antonella Carta per la documentazione fotografica messa a disposizione.
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Per chi volesse approfondire l’argomento:
“Le pioniere del calcio. La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista” della Bradipolibri (Prefazione scritta dal CT della nazionale Milena Bertolini)
“Quando le ballerine danzavano col pallone.” della GEO Edizioni.