Baggio, Maradona, Messi, Ronaldo, Hazard: tutti questi giocatori hanno qualcosa di Fery. Il talento e l’impegno profuso in allenamento che lo esaltano. C’è anche eleganza in alcuni. Ma lei, lei ha sempre avuto queste tre doti contemporaneamente. In campo ma anche nella vita. Una grande Signora
Così Frederic Waseige, nel suo libro “Un monde de foot. Le meilleur des chroniques footeuses “, ha descritto Feriana “Fery” Ferraguzzi. E probabilmente non potevano esserci parole migliori da dedicare alla calciatrice perugina che, per vent’anni, ha illuminato il calcio belga ed è stata il faro del centrocampo della nazionale italiana.
Infatti, dopo aver vinto due scudetti con la Lazio, nel 1980 Feriana Ferraguzzi si è trasferita allo Standard Fémina Liége, dove ha vinto otto titoli nazionali, quattro Coppe del Belgio e quattro Supercoppe.
Divenuta belga d’adozione (tuttora vive lì), non è mai venuto meno l’amore per l’Italia come testimoniano le 73 presenze con la maglia azzurra impreziosite dalla partecipazione al Mondiale del 1991 e dal secondo posto conquistato ai Campionati Europei del 1993.
A quale età inizia a giocare e quale è stata la sua prima squadra?
“Ho cominciato a tirare i primi calci ad un pallone insieme ai ragazzi del mio paese, Fontignano. All’inizio i miei genitori non erano tanto contenti che giocassi a calcio perché c’era un’altra mentalità ed una ragazza che giocava a pallone con i maschietti non era tanto ben visto. Quando avevo 14 anni entrai nella mia prima squadra di calcio femminile, il Perugia. Sono rimasta lì dal 1975 al 1978 e con loro ho anche esordito in serie A. Ricordo che giocavamo allo stadio “Santa Giuliana” ovvero nello stesso impianto sportivo che utilizzava la squadra maschile.”
Che tipo di giocatrice era?
“Ero una centrocampista completa, con una buona visione di gioco e molta forza fisica. Giocavo sempre a testa alta ed avevo pure la fortuna di essere veloce. Il mio modello, anche perché eravamo della stessa regione, era Giancarlo Antognoni. In molti dicevano che correvamo alla stessa maniera”
La prima tappa importante della sua carriera fu il passaggio alla Lazio.
“La Lazio era una delle migliori squadre ma per poter passare in biancoceleste prima dovetti convincere mio padre e mia madre. Infatti avevo diciannove anni e loro erano preoccupati che dovessi fare due/tre volte alla settimana Perugia-Roma col treno. Alla fine mi diedero il loro pieno supporto e ogni volta che ritornavo dalla Capitale venivano a prendermi alla stazione.”
Dopo due stagioni passa allo Standard Liegi. Come maturò questa scelta?
“Nell’estate del 1980 con la Lazio partecipai ad un torneo a Mentone. I dirigenti dello Standard erano lì e fecero i salti mortali per farmi trasferire in Belgio. Andai a Liegi per conoscere l’ambiente, i dirigenti e la squadra e venni subito inondata dall’affetto degli italiani che vivevano lì. Venni accolta benissimo anche dai giornalisti locali. E tutto ciò mi ha definitivamente convinta a firmare con la formazione belga. In quel periodo il calcio femminile non faceva ancora parte della FIGC e quindi io per l’UEFA ero libera di andare dove volevo. Scoppiò un mini scandalo perché la Federazione femminile mi squalificò per due anni a causa di questo mio trasferimento all’estero. Mi pesò parecchio rimanere fuori dal giro della nazionale perché ritengo di non aver avuto colpe in questa vicenda.”
Il suo ambientamento in Belgio venne favorito dalla presenza di una numerosa comunità italiana presente in quel paese?
“Assolutamente si, sono stata coccolata e trattata come una star. Lo stadio dello Standard è proprio vicino al quartiere italiano, che si chiama Tilleur, perciò venivano numerosi a vedere le nostre partite. E poi quando andavo a fare la spesa o uscivo per mangiare una pizza si rifiutavano di farsi pagare. Sono stati veramente presenti nella mia vita ed alcuni di essi, dopo quarant’anni, sono ancora miei amici.”
Come era il livello del calcio femminile in Belgio?
“Quando sono arrivata io, all’inizio degli anni Ottanta, c’erano vent’anni di differenza rispetto a quello italiano. Però in questi ultimi tempi il divario si è notevolmente ridotto. Infatti la qualità del campionato belga sta migliorando, ci sono squadre professioniste e si sta lavorando bene col settore giovanile.”
In che anno decise di appendere le scarpe al chiodo?
“Ho avuto la fortuna di non essermi mai infortunata seriamente finché ho avuto un problema al ginocchio che mi ha costretta a fare molte terapie. Mi feci visitare anche dal Dott. Martens e lui mi consigliò di smettere di giocare a calcio e di dedicarmi al nuoto o al ciclismo perché non avevo più cartilagine.
Ma io ho deciso che avrei continuato a giocare ancora un anno perché mi sono detta: devo essere io a scegliere quando smettere di giocare e non deve essere lui a dirmelo. Così mi sono messa a lavorare col fisioterapista della nazionale belga, sono tornata ai miei livelli e ho disputato un’ultima stagione che ho chiuso in bellezza vincendo la coppa nazionale. Dopo essermi ritirata sono comunque rimasta nello Standard nelle vesti di dirigente.”
Vittoria Coppa del Belgio 1989
Quale è il miglior complimento che ha mai ricevuto?
“Mi hanno detto che giocavo come un uomo. Nel senso che non avevo nulla da invidiare a un calciatore”
La maglia azzurra è stata quasi una sua seconda pelle, visto che l’ha indossata per circa vent’anni. Riavvolgiamo il nastro del tempo e torniamo alla sua partita d’esordio.
“La mia prima convocazione avvenne nel 1975, con Amadei come allenatore, in occasione della partita giocatasi il 29 maggio 1975 a Salerno contro il Resto d’Europa. Ricordo che ero la più giovane del gruppo e quando arrivai dentro lo spogliatoio trovai Betty Vignotto, Elena Schiavo e tante altre giocatrici fortissime. Ed io, che ho sempre avuto un carattere forte, mi sono fatta piccola piccola per cercare di imparare tante cose da loro. Quando entrai in campo l’emozione era sinceramente tanta perché ti senti italiana al 100% e senti di dover dare tutto quello che puoi per quella maglia, che poi ho portato per tanti anni.”
Lei è stata tra le protagoniste di due palpitanti semifinali degli Europei: nel 1984 contro la Svezia e nel 1989 contro la Germania. Se potesse rigiocarle, quale sceglierebbe?
“Senza ombra di dubbio quella con la Germania perché con le tedesche non correva buon sangue. Ogni partita contro di loro era sempre una guerra.”
La sua avventura in azzurro si conclude con gli Europei del 1993. Riviviamo quell’edizione che venne ospitata proprio in Italia.
“Quell’anno eravamo tra le quattro semifinaliste e la fase finale venne disputata in Romagna. In semifinale affrontammo le eterne rivali della Germania e le battemmo ai calci di rigore. Ricordo che la partita la trasmisero in televisione e nel mio paese erano tutti al bar per vederla. Mia sorella mi ha raccontato che quando ho segnato il rigore che ci ha portato in finale tutta la gente si riversò per le strade a festeggiare come quando la nazionale aveva vinto i Mondiali nel 1982. Mia madre era uscita a fare la spesa e tutti le facevano i complimenti. Lei, però, non aveva seguito la partita in quanto, mi disse, che se mi avesse visto in tv si sarebbe rattristata perché avrebbe sentito ancor di più la mia lontananza.
In finale affrontammo la Norvegia, che due anni prima ci aveva eliminato ai quarti di finale nella Coppa del Mondo. Sentivamo che c’era parecchio nervosismo nell’aria. Il Presidente della FIGC era venuto a salutarci negli spogliatoi e gli spalti erano pieni di tifosi. E tutte queste cose, magari, ci misero ancora più pressione di quella che già avevamo.
Di quella gara ricordo un episodio in particolare. Nel secondo tempo Salmaso, che giocava nel ruolo di stopper, prese una brutta botta al naso. Il medico sociale, dopo aver prestato le prime cure, ritornò in panchina e riferì al CT Guenza che la nostra compagna aveva il naso rotto e che quindi doveva essere sostituita. Io e Carolina, infatti giocavo in una posizione avanzata a sostegno proprio della nostra punta, gli abbiamo gridato di non fare la sostituzione perché avevamo chiesto a Salmaso come stava e lei ci aveva risposto che ce la faceva a continuare. Ed invece l’hanno cambiata e poco dopo abbiamo preso il gol. Non so se le nostre voci arrivarono alla panchina e neppure voglio dire che è stato per questo che alla fine abbiamo perso. Però poi abbiamo dovuto cambiare la nostra disposizione in campo e tutto ciò magari ha inciso. E pur vero che abbiamo avuto diverse occasioni, alcune capitate a Carolina, una anche a me e ad Adele Marsiletti ma non abbiamo segnato. E poi, come al solito, non è andata bene ed è sfumato il sogno di vincere l’Europeo. Questa fu la mia ultima partita in Nazionale e a fine gara venni premiata come migliore giocatrice del torneo.”
Cosa ne pensa del calcio femminile di oggi? Quali sono le differenze rispetto a quando giocava Lei?
“Penso che adesso si cura molto di più la condizione fisica ed atletica. Ai miei tempi ci si allenava tre volte a settimana, anche se io facevo più sedute perché mi allenavo anche con squadre maschili. Inoltre le ragazze di oggi fanno quasi tutte una vita da professioniste mentre ai miei tempi, tranne me che di fatto ero una professionista, le mie compagne lavoravano o andavano a scuola e poi venivano all’allenamento. Anche i tecnici si sono evoluti e sono cresciuti dal punto di vista della tattica. Inoltre ora possono contare su uno staff completo con preparatori atletici, fisioterapisti e match analyst. Per non parlare che ormai su internet si riescono reperire informazioni sulle squadre avversarie. Quando giocavo io, invece, le partite non si potevano preparare vedendo dei video. Al massimo c’era un collaboratore che andava a vedere la formazione avversaria e poi dava indicazioni su quali fossero le giocatrici più pericolose. Quindi non avevi molte notizie sulle altre squadre a meno che non le avevi già affrontate diverse volte.
In generale penso che il miglioramento della condizione fisica è stato molto importante ed adesso il calcio femminile più spettacolare e bello da vedere. “
Si ringrazia Feriana Ferraguzzi per la documentazione fotografica messa a disposizione
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Per chi volesse approfondire l’argomento:
Giovanni Di Salvo “Quando le ballerine danzavano col pallone. La storia del calcio femminile con particolare riferimento a quello siciliano” della GEO Edizioni.
Giovanni Di Salvo “Le pioniere del calcio. La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista” della Bradipolibri (Prefazione scritta dal CT della nazionale Milena Bertolini)
Ingegnere palermitano con la passione per il giornalismo e il calcio femminile. Autore di due libri: "Le pioniere del calcio. La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista" e "Quando le ballerine danzavano col pallone. La storia del calcio femminile".