GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)
Passare dal calcio alla panchina improvvisamente, a soli 31 anni, nel pieno della maturità calcistica
La singolare scelta di Gianluca Atzori arriva dopo un decennio speso a calcare i difficilissimi campi italiani, palestre di sport in grado di costruire campioni e uomini.
Quando inizio ad intervistarlo mi colpisce la sua simpatia e la sua gentilezza: in questo modo le interviste diventano ancora di più un piacere.
Gli chiedo degli esordi, dell’oratorio, di come il calcio sia entrato nella vita di quel ragazzo di Ciampino … “Sono cresciuto nell’oratorio IGDO del mio paese. Il mio allenatore era Flaviano Chiaventi, una persona incredibile e dinamica. Dopo sono passato alla Lodigiani, la terza squadra di Roma. Feci la trafila e debuttai in Serie C prima dei 17 anni. Alla fine della stagione, mi prese il Torino e conclusi la parentesi delle giovanili con Sergio Vatta”.
Scontata, quindi, la domanda su quell’allenatore considerato un punto di riferimento quando si parla di vivai … “Quando arrivai, per me, era una sorta di messia. Lo vedevi quando ti guardava. Io avevo paura del suo sguardo. Ci diceva sempre che eravamo arrivati nel tempio del calcio, perché il Grande Toro era il calcio. Era una persona fantastica, buonissima. Pretendeva tantissimo da noi. C’erano Vieri, Cois, Dino Baggio, Pancaro etc etc. Tutti hanno fatto carriera. Uno squadrone, nettamente più forte di tutti gli altri. Infatti il primo anno vincemmo il campionato e perdemmo il Viareggio ai rigori”.
L’esordio con i grandi avviene in una partita importante, una partita speciale … “Mondonico mi fece debuttare nella finale di Mitropa Cup contro il Pisa. C’era Martin Vazquez, Pasquale Bruno, Fusi, Cravero, Lentini, Bresciani, Muller e Leo Junior. Ricordo che dentro lo spogliatoio Junior mi diceva di non preoccuparmi, che bastava soltanto dare la palla a lui e non ci sarebbero stati problemi”.
Doveroso il ricordo di Emiliano Mondonico … “Grandissimo allenatore, grandissimo uomo. La sua più grande forza era lo spessore umano. Uno che infondeva buonumore e positività. Lo rincontrai quando lui allenava l’Albinoleffe e io la Reggina. Mi ha abbracciato. Ho ancora i brividi”.
Dopo il Torino inizia il professionismo con la Ternana e poi con il Perugia … “Io ero già professionista perché avevo fatto la C. Vincemmo subito il campionato. Esperienza bellissima, giocai quasi tutte le partite. Poi purtroppo scendemmo e la società fallì. Il trasferimento al Perugia fu alquanto turbolento perché ci fu la contestazione della tifoseria per via dei miei trascorsi a Terni. Lì il derby è sentito molto e ricordo che il primo giorno eravamo con Fiori e Farris (attuale vice di Inzaghi), tutti e tre ex Ternana, e ci furono 2000 persone a contestarci”.
Quel Perugia era la squadra del presidente Gaucci, figura mitica di un calcio che ormai non esiste più … “Un presidente vulcanico e vincente. Voleva sempre vincere. Personaggio fantastico, un grande amante del calcio. Esigente e buono d’animo”.
Poi la Reggina ed il Ravenna… “Annata a Reggio che ricordo perché c’era mister Guerini che mi faceva giocare da libero staccato. Un ruolo che mi piaceva tantissimo. A Ravenna quattro anni belli e anche qualche problema societario. In quegli anni c’era Ciccio Dell’Anno (la risposta ad una mia curiosità), un grande campione, un ragazzo d’oro, che però aveva poca predisposizione al sacrificio. Non voleva regole perché sapeva lui quello che doveva fare in campo. Un estro che nessuno doveva tappare. Faceva cose incredibili col pallone”.
La carriera da giocatore raggiunge l’apice con l’Empoli di inizio millennio, squadra piena di talento e di talenti … “In carriera ho vinto 6 campionati e uno fu a Empoli. Avevamo Di Natale, Rocchi, Maccarone, Vannucchi (uno come Dell’Anno), Tavano (imprendibile e mostruoso)”.
Poi Palermo e la fine del calcio giocato … “L’ultimo torneo vinto, prima della decisione di smettere e di fare l’allenatore. Perché nel calcio è importante smettere quando tu decidi di smettere. Alla luce dei miei 50 anni, però, ti dico che ho fatto una stupidaggine. Ho smesso a 31 anni nell’età della maturità, della consapevolezza, dell’esperienza. Avrei fatto bei tornei come centrale difensivo. Rifiutai il Cesena di Rino Foschi. Tornassi indietro non lo rifarei”.
Concludo questa bella chiacchierata, con il simpaticissimo Atzori, chiedendogli dell’avversario e del compagno più forte … “Penso che un giocatore forte come Crespo non l’ho mai incontrato. Quando ero a Empoli giocammo contro l’Inter. Finì 4-3 e mi fece diventare matto. Il più forte compagno di squadra, sicuramente, Totò Di Natale”.
Grazie Gianluca.