GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)
“L’Arezzo per me è tutto”
La bandiera dell’Arezzo, il simbolo di una città, il capitano al quale abbiamo dedicato uno dei nostri podcast della collana La Voce della Storia. Calciatore semplice ed iconico, testimone di quel calcio nostalgico dei decenni ’70 e ’80.
Per l’intervista di oggi raggiungo Domenico “Menchino” Neri per farmi raccontare i passaggi principali della sua carriera e di quel giorno che lo consegnò alla storia nella sfida contro il Campobasso. Come sempre parto dagli esordi da ragazzino e da giovanotto che si affacciava nel calcio dei grandi … “Ho iniziato a giocare in una squadretta della mia città che poi venne comprata dall’Arezzo. Da lì ho fatto tutta la trafila fino alla prima squadra. Nella primavera c’era anche Ciccio Graziani. Esordire per un ragazzo giovane era quasi una guerra, c’erano poche possibilità. A 19 anni ho esordito in B ed è stato emozionante perché sognavo fin da bambino di calpestare il campo della mia Arezzo. Le squadre di quella B erano forti e i difensori erano arcigni e battaglieri”.
Dopo l’Arezzo le parentesi di Empoli, Massese, Reggiana e Como … “Tutte esperienze positive perché ho sempre trovato squadre attrezzate, di buon livello per l’epoca”.
L’ultima e forse più bella parte della carriera di Menchino coincide con il ritorno nella sua terra. Una “seconda stagione” durata otto anni ricchi di emozioni e soddisfazioni … “Tornai con il mercato di riparazione di Ottobre del 1979 e ci rimasi fino al 1987. Abbiamo vinto la Coppa Italia, il campionato, fatto grandi stagioni. C’erano Carboni, Tovalieri, Dell’Anno, De Stefani. Tutti giocatori importanti. Dell’Anno tecnicamente era uno dei più forti d’Italia, Tovalieri era fortissimo anche”.
Capitolo allenatori. Tanti quelli incontrati in quasi 20 anni di calcio … “Marchioro e Uliveri erano molto preparati. In generale erano tutti molto bravi. Con Angelillo ho anche un aneddoto da raccontare. Lui erano quindici anni che teneva due noci in un cappotto: le portava la domenica in occasione delle partite. Andammo a giocare a Taranto e il venerdì nel pullman mi prese fame e trovai queste noci. Le mangiai. La domenica mattina Angelillo si mise a cercare le noci e non le trovò. Iniziò a chiamare sua moglie finché un ragazzo gli disse che le avevo mangiate io. Mi chiamò e mi chiese se ci fosse un albero nel pullman. Io non capivo finché mi confidò che le conservava gelosamente da più di un decennio. Giocammo (noi eravamo primi e loro terzi), finì 0-0 e colpimmo un palo al 92esimo con la palla che attraversò tutta la linea. Io gli dissi che erano state le noci altrimenti la palla andava dentro”.
Siamo arrivati al racconto della incredibile sfida contro il Campobasso, quella che fece entrare Menchino nel mito con quel gol in rovesciata rimasto nei ricordi di tutta una tifoseria … “Un campionato in cui partimmo per fare bene e in cui ci ritrovammo impantanati, con alla penultima partita la sfida contro il Campobasso. Ci fu un calcio di rigore ed il rigorista designato era Tovalieri. Lui non se la sentiva, non se la sentiva nessuno. Mi presi la responsabilità io e tirai come un bambino. Mi misi al lato a piangere e ci fu un fotografo che mi respinse in campo. Dopo un minuto e mezzo arrivò questo cross e il signore volle che facessi questa rovesciata. Quando ho visto la palla mi sono buttato, nonostante non l’avessi mai fatta prima. E’ stata una liberazione”.
Domanda conclusiva, come consuetudine, sul compagno e sull’avversario più forti … “Come compagno Graziani: era molto forte, fisicamente e mentalmente, perché aveva voglia di arrivare. Come avversario mi dava più di tutti fastidio Borgo della Pistoiese: ogni volta che lo incontravo era una guerra corretta tra me e lui”.
Grazie Menchino.