Centravanti rapido, con un innato senso del gol, forte di testa e con un destro fulmineo e chirurgico. Queste erano le doti di Silvana Cittadino, che ha lasciato un ricordo indelebile a chi, compagne di squadra, avversarie o ex arbitri, la abbia visto all’opera – tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta – su un campo di gioco.
La passione per il calcio nasce fin da piccola, quando a Messina (la sua città natale) giocava per strada con i maschietti, e continua ad essere coltivata anche a Torino, dove si trasferì all’età di 12 anni. E proprio dal capoluogo piemontese partì la sua grande avventura nel mondo del calcio femminile.
Quale è stata la sua prima squadra?
“Era novembre o dicembre del 1967. Sul giornale lessi che c’era una squadra di calcio femminile, il Real Torino dei fratelli Rambaudi, che cercava giocatrici. Così mi presentai al campo di Alpignano, dove c’era la sede della società. Mi dissero che l’indomani sarebbero andati a Stradella, in provincia di Pavia, per giocare un’amichevole contro l’Ambrosiana, e di recarmi lì per vedere la partita e per farmi un’idea di come funzionava il tutto. Avrei dovuto essere una semplice spettatrice, infatti ci andai in tuta e con le scarpe da ginnastica. Le ragazze iniziarono a fare riscaldamento e io mi misi a bordo campo. A un certo punto mi arriva una palla e la calcio per rimandarla in campo, poco dopo me ne arriva un’altra e la rispedisco al volo dentro il rettangolo di gioco. Il massaggiatore si accorse di come calciavo il pallone e chiamò subito l’allenatore Cavicchi. Il Mister mi invitò ad entrare in campo e mi chiese di fare un paio di tiri in porta. Rimase così colpito che chiamò una ragazza, che avrebbe dovuto disputare la partita, e le disse di andare nello spogliatoio e di cedermi la sua maglia. Non le dico quello che successe, si mise a piangere e io sentendomi molto dispiaciuta per questa situazione risposi che avrei giocato un’altra volta. Guardi mi si era stretto il cuore a vedere quella scena. Ma Mister Cavicchi insistette e così quel giorno debuttai col Real Torino. Mi prestarono tutto: scarpe, calzini ecc. In quell’incontro feci faville, realizzando anche due gol ed il papà della Ciceri, che allenava l’Ambrosiana, a fine gara si avvicinò a Cavicchi e gli chiese: “Da dove viene questa qui ? E’ un fenomeno !” E lui gli rispose: “Guarda non lo so, è la prima volta che la vedo” . Da qui partì la mia carriera di calciatrice.“
Quanto durò la sua esperienza con la maglia del Real Torino?
“L’anno seguente, il 1968, disputammo il primo campionato nazionale. Le partite interne le giocavamo al Parco Ruffini, un bel campo. Vincemmo il girone ed in semifinale affrontammo la Roma. Nella gara di ritorno, decisiva per il passaggio del turno, la portiera ospite, mentre saltavo di testa, mi venne addosso e mi colpì alla caviglia e così fui costretta ad uscire. La partita terminò in pareggio e venimmo eliminate. Magari se fossi rimasta in campo avrei potuto aiutare le mie compagne a vincere l’incontro ed a qualificarci per la finale scudetto contro il Genova. Un vero peccato. Ad ogni modo rimasi nel Real Torino fino al 1969 finché io, insieme ad un bel gruppo di compagne, decidemmo di andarcene. Infatti, nonostante ad ogni gara che disputavamo c’era sempre il pieno di spettatori paganti, i fratelli Rambaudi facevano solo promesse ed alla fine di soldi non vedemmo neanche 5 lire. Stanche di questa situazione scegliemmo di lasciare la squadra ed andammo alla Juventus.”
Quindi passò dal granata al bianconero…
“Esatto, una dozzina di calciatrici del Real Torino, me compresa, passò alla Juventus. La nostra compagna Anna Branca, che lavorava in una delle fabbriche del Sig. Teresio Signoretto, ci mise in contatto col suo titolare, che decise di supportarci economicamente. E così praticamente nacque la Juventus che l’anno dopo, nel 1970, si affiliò alla Federazione di Roma. Il Presidente mantenne sempre la parola data pagando rimborsi spese, benzina e tutto quanto pattuito. Signoretto era una persona squisita. Si perdeva o si vinceva non cambiava nulla e ci incoraggiava sempre. Ci allenavamo e giocavamo al campo “Agnelli” e potevamo contare su un pubblico meraviglioso.
Durante il periodo in cui ho giocato nella Juventus sono stata cercata anche da altre società ed addirittura col Piacenza di Gabbiani avevo pure firmato un contratto ma poi non riuscii ad arrivare fino in fondo perché ero troppo attaccata alla maglia bianconera. Anche la Roma della Prof.ssa Bellei mi invitò a giocare un torneo all’estero ma rifiutai.
Ho giocato nella Juventus fino al 1975. L’ultima partita la disputai a febbraio di quell’anno al Parco Ruffini per un torneo che poi vincemmo. Infatti a luglio mi sarei dovuta sposare e quindi avevo deciso che era giunto il momento di appendere le scarpe al chiodo.”
Che ricordi ha del suo allenatore alla Juventus Július Korostelev?
“Di lui ho un bellissimo ricordo. Oltre ad essere stato un grande calciatore era una bella persona. In quel periodo allenava sia noi che una squadra maschile, il Susa, che arrivò a disputare il campionato di Promozione. Noi giocavano il sabato mentre il Susa la domenica, pertanto riusciva a conciliare i due impegni. Praticavamo un bel calcio perché Mister Korostelev dava veramente un’impronta di gioco. Infatti a lui piaceva avere tanta geometria in campo. Ognuna di noi già sapeva che movimenti doveva fare non appena partiva la palla perché a tutte dava delle indicazioni specifiche. Insomma curava molto la tattica a dispetto di molte altre squadre che giocavano lanciando la palla avanti ed andando tutte dietro ad inseguirla. Avevamo un gioco offensivo, sfruttavamo bene le fasce e anche il libero Coda saliva in attacco. Mi ricordo che mi diceva sempre: “Silvana muoviti, portala via portala via!” in modo da sfruttare la mia velocità per farmi inseguire dall’avversaria al fine di creare spazi per gli inserimenti delle mie compagne.”
C’è stato qualche aneddoto particolare durante la sua carriera?
“Nel 1971 Mister Cavicchi, che allenava la Nazionale della Federazione di Torino, mi contattò perché avrebbe voluto convocarmi per portarmi in Messico per disputare il Mondiale. Ma io declinai la sua offerta. Infatti ormai avevo lasciato il Real Torino e giocavo con la Juventus, per di più nel campionato della Federazione di Roma. Non avevo intenzione di tornare sui miei passi, pertanto rifiutai per coerenza con quanto fatto prima e per rispetto nei confronti delle mie compagne.“
Cosa Le è rimasto della sua esperienza come calciatrice?
“Ho giocato solo per otto anni ma l’ho fatto alla grande e mi sono proprio divertita. A distanza di tanti anni mi capita ancora che qualche ex compagna o avversaria o arbitro mi riconosca e mi dica “Che giocatrice che eri !” Questa è una cosa bellissima, vuol dire che ho lasciato un segno.”
Si ringraziano Silvana Cittadino e Maura Fabbri per la documentazione fotografica messa a disposizione.
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Per chi volesse approfondire l’argomento:
“Azzurre. Storia della Nazionale di calcio femminile” della Bradipolibri
“Le pioniere del calcio. La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista” della Bradipolibri (Prefazione scritta dal CT della nazionale Milena Bertolini)
Ingegnere palermitano con la passione per il giornalismo e il calcio femminile. Autore di due libri: "Le pioniere del calcio. La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista" e "Quando le ballerine danzavano col pallone. La storia del calcio femminile".