“Se, come pare, sono davvero sinceri, questi ungheresi ci stanno sorprendendo. Secondo il loro parere la nostra nazionale è fortissima. Sono sbalorditi del gioco della difesa, specie di Moro e Tognon”
Sono 45.000 al Megyeri úti Stadion, in un giorno di metà Giugno del 1949. La loro squadra è la grande Ungheria non ancora entrata nel mito. Gli avversari sono gli italiani, maestri di un decennio passato e ormai troppo lontano e orfani dei loro fenomeni in maglia granata.
Gli eleganti magiari, seduti sugli spalti, osservano le gesta di un ragazzo italiano dallo sguardo vispo, un numero “1” atipico, scattante e coraggioso tra i pali. È un esordiente quel ragazzo, ma sta iniziando a scalzare il titolare Sentimenti IV nelle gerarchie azzurre. Il quotidiano Majar Nep, a fine partita, ne descriverà la prestazione come “meravigliosa”, all’interno di una difesa impenetrabile ed organizzatissima. Quel numero uno si chiama Giuseppe Moro e non sa di essere appena entrato nel mito .
La Gazzetta dello Sport del 14 Giugno 1949
Mosè e Luigia lo aspettavano in un freddo Gennaio del 1921. Bepi sarebbe stato il primo di otto figli, il più speciale. Carbonera il paesino nel quale crescere, il campo da calcio il luogo nel quale sognare un futuro col pallone.
La storia di uno dei più grandi portieri che il calcio italiano abbia mai avuto, nel centesimo anniversario dalla sua nascita, parte proprio da un campetto desolato del nord-est italiano. Quel campetto nel quale il timido Bepi era solito rifugiarsi, con quel pallone comprato per 10 lire. Un ragazzetto vivace, imprendibile, spericolato; soprannominato cavalletta, per via di quel suo modo di saltare con una pertica, tra un frutteto e l’altro.
Inizierà a giocare seriamente a soli 16 anni, con il suo Treviso. Non era bravo con i piedi, ma in porta era un fenomeno. Nei burrascosi anni ’40, l’esperienza della Guerra lo aveva segnato nel fisico e nell’animo, concedendogli, però, quel coraggio e quella prontezza che gli saranno utilissimi nella stagione da atleta.
Il Bari del presidente Annoscia, dopo una stagione vissuta da assoluto protagonista (con tre rigori parati nelle prime tre giornate), lo aveva ceduto per l’incredibile cifra di 53 milioni.
Il Grande Torino, orfano del suo Bacigalupo, lo aveva eletto come degno erede, salvo poi respingerlo al termine di una stagione alquanto travagliata. Travagliata come la vita di Bepi, coraggioso e altruista, ma anche ingenuo e, a volte, sconsiderato.
Moro – Figurina VAV 1950
Anche i maestri inglesi impareranno a conoscere il talento di Giuseppe; nella nebbia dello stadio del Tottenham, quel 30 Novembre del 1949, soltanto la sfortuna impedirà una vittoria storica. Bruno Slawitz, sulle colonne de La Gazzetta dello Sport, lo definirà “lo spettacoloso Moro”, cogliendone la sapienza e l’estro innato.
La prima pagina de La Gazzetta dello Sport del 19 Maggio 1952
Lo stesso estro che ebbe ad esaltare la sottile e pungente penna di Brera, che lo definì un portiere da “grandissima classe”, nel giorno della incredibile parata su Wright, dopo un volo di cinque metri verso l’incrocio dei pali.
Il mito di Bepi Moro, probabilmente, è racchiuso nel suo essere unico, diverso dal calciatore perfetto. Bepi era un uomo, forte e fragile come tutti. Era un uomo quando affrontava gli orrori della guerra, quando scappava dai tedeschi; era un uomo quando decideva di scendere a patti per truccare qualche partita, salvo poi confessarne la vergogna; era un uomo quando decideva di costruirsi una vita fuori da quel calcio che lo aveva sedotto e un po’ trascurato; infine, era un uomo quando “ingannava” gli avversari dal dischetto, con quella finta che incuteva timore e generava paura.
Ci lascerà a soli 53 anni, protetto dal calore di una famiglia sempre vicina e dalla maglia di un uomo speciale, quel Dino Zoff che deciderà di inviare la sua maglia in onore di un “grande artista della porta”.
Noi oggi lo vogliamo ricordare, in occasione della ricorrenza della sua nascita avvenuta ben cento anni fa, il 16 gennaio 1921.
Abbiamo raggiunto Alberto, il figlio di Bepi, che per l’occasione ci ha raccontato alcuni aneddoti e fatto vedere un documento incredibile.
1950 Stadio Filadelfia – Bepi Moro con i figli, Alberto e Mirella
“A Roma abitavamo in via Priscilla n. 8”, ci dice Alberto, “e con i miei amici giocavamo a calcio in un cortile dove, puntualmente, ci requisivano il pallone e andavo dalla Polizia. Io andavo regolarmente da mio padre e me ne facevo dare un altro. Un giorno mio padre fu chiamato in questura e, dopo aver saputo chi fosse, ci fecero giocare ugualmente, anche perché i palloni requisiti non sapevano più dove metterli (sorride). A Torino, invece, durante gli allenamenti al Filadelfia mio padre mi faceva mettere dentro la porta e non dietro, sfidando al contempo gli attaccanti a fare gol.
Un episodio che mi è rimasto sempre impresso fu quando dopo una partita fummo portati in trionfo dai tifosi, io e mio padre: mio padre aveva appena parato un rigore a Liedholm …Mio padre era un tipo molto spregiudicato: con la Sampdoria si presentò in allenamento con il suo Piper privato, aveva il brevetto di pilota. Continue erano le sue liti con gli allenatori. A Roma le sue economie ebbero un grande tracollo, in particolare per il fallimento di un Bar che aveva acquistato in Via del Corso. Terminò la sua carriera al Verona. Allenò poi come vice il Treviso, il Volpago per poi venire chiamato a Porto Sant’Elpidio, nelle Marche, per allenare il San Crispino in quarta serie. Tramite poi un suo conoscente, il Sig. Monaldi di Porto Recanati fu ingaggiato da una squadra tunisina, il Ebba Ksour e poi andò a Beja. Inutile dirvi quante porte bussò per poter lavorare in Italia. Morì nel 1974 di una malattia incurabile”.
Qui ovviamente Alberto si emoziona … Una pausa e riparte… “Prima di morire mi consegnò un quaderno, in cui raccolse tantissime firme di calciatori che lui raccolse in quell’anno che dovette sostituire suo malgrado Bacigalupo, durante i raduni di nazionale, in tournée in Sud America”.
Beh un quaderno fantastico… con gli autografi impressionanti … i calciatori della nazionale inglese del ’49, la Roma del 1953 in tournee a Caracas, ma anche Corinthias, Barcellona, Caracas, Cecoslovacchia, Svizzera, Austria, Fiorentina, Bologna, Inter, Venezia, Padova, Pro Patria, Lucchese, Torino, Milan, Sampdoria, Triestina, Atalanta, Lazio, Palermo, Juventus, Roma. Firme quali quelle di Meazza e Zamora… beh cercate voi di capire le altre a chi si riferiscono…