GLIEROIDELCALCIO.COM (Massimo Prati) – A sei giorni dalla conquista del loro ottavo titolo nazionale, con vittoria nella finalissima a Roma contro la Lazio, la partenza da Genova dei giocatori rossoblù, nella notte del 28 luglio del ’23, a bordo del “Principessa Mafalda”, fu salutata da una marea di tifosi genoani, raccoltasi dapprima, nel pomeriggio, alla Stazione Marittima, e poi, in serata, nella Rotonda di Carignano, quartiere centrale sul mare che si affaccia proprio sopra lo sbocco del porto. Come ricorda, infatti, Pierpaolo Viaggi, nel suo libro, “1923-1925. Il Genoa alla Scoperta del Calcio Sudamericano”, le grida di saluto e incoraggiamento dei tifosi genoani all’indirizzo della squadra in partenza con la nave, furono sentite con una certa emozione da un giocatore del Genoa, che udì quei cori quando già, in piena notte, si trovava all’interno della propria cabina e ne prese nota sul proprio diario. Va forse precisato che il “Principessa Mafalda”, battente regolarmente la rotta Genova-Buenos Aires (con scalo a Rio de Janeiro) e, a periodi alternati, impiegato anche nelle traversate Genova-New York, rappresentava l’eccellenza della marineria italiana e, prima di arrivare alla fine dei suoi giorni con un tragico epilogo nell’ottobre del ’27, poté annoverare tra i suoi passeggeri Arturo Toscanini, Luigi Pirandello e Carlos Gardel.
Di quella spedizione, agli ordini di Mister Garbutt, fecero parte: De Prà, Moruzzi, Bellini, Barbieri, Burlando, Leali, Neri, Sardi, Catto, Santamaria e Bergamino. A loro, si erano aggiunti altri giocatori provenienti da diverse squadre. Atleti coinvolti solo nel progetto di quella specifica impresa sportiva, e quindi in organico solo per la durata della tournée: Giovanni Moscardini, attaccante della Lucchese che sarebbe poi passato al Pisa; Giuseppe Girani, difensore del Padova che quell’anno si rivelò squadra rivelazione, nonché uno dei club finalisti del campionato; Enrico Romano, capitano del Vado che l’anno prima aveva vinto la prima edizione della Coppa Italia ai danni dell’Udinese; ed infine Adolfo Baloncieri, grande giocatore dell’Alessandria (in seguito passato al Torino) che come gli altri tre fu appunto aggregato al Genoa proprio e solo in funzione della tournée sudamericana.
Baloncieri, Romano e Sardi appartenevano a famiglie italiane emigrate in Argentina e, dopo un’esperienza di vita in quella parte dell’America Latina, erano rientrati nel nostro paese. Baloncieri era un piemontese nato ad Alessandria ma era cresciuto a Rosario, nelle pampas della provincia di Santa Fe; Romano era di origine torinese ma era nato a Buenos Aires e si era iniziato al calcio nel Bella Vista Football Club della capitale argentina; e Sardi era nato a Genova ma aveva passato parte della sua infanzia e della sua adolescenza a Buenos Aires, e quindi, per certi aspetti, poteva essere considerato uno “Xeneise”. Dopo vari scali a Barcellona, a San Vicente nelle isole di Capo Verde, a Rio de Janeiro, a Santos, e a Montevideo, il 15 agosto la squadra genovese arrivò in territorio argentino.
Per il resoconto delle partite, possiamo affidarci a Paul Edgerton, e al suo splendido libro dedicato a William Garbutt, da lui definito “il padre del calcio italiano” (onorificenza, a mio parere, da attribuire ad ex-aequo anche al Dottor Spensley). Il 19 agosto, a Buenos Aires, il Genoa perse, per due reti a uno, una prima partita contro la formazione ‘All Stars’, del “Combinado Norte”, composta appunto da giocatori della parte settentrionale della città; poi ne vinse una seconda, il 2 settembre, per uno a zero contro la squadra del “Combinado Sud”; ed in seguito ottenne un pareggio per uno a uno, nel match finale contro la nazionale argentina, giocato davanti ai 30.000 spettatori dello Stadio Barracas, il 9 settembre del ‘23 (secondo altre fonti gli spettatori erano 40.000).
Il pubblico dello Stadio Barracas, in occasione della partita tra la nazionale Argentina e il Genoa, giocata il 9 settembre 1923 a Buenos Aires, e terminata sul punteggio di 1-1
Tra i primi due incontri e l’ultimo, di quelli giocati a Buenos Aires, il viaggio dei rossoblù proseguì, come previsto, con una deviazione a Montevideo, il 5 settembre, dove si registrò esattamente lo stesso entusiasmo tra la comunità genovese di questa città sul Rio della Plata. D’altra parte, perché stupirsi? Ancora oggi in quella metropoli americana, come del resto a Buenos Aires, ci sono negozi di commestibili che vendono la focaccia e la farinata, anche se gli abitanti del posto preferiscono quasi sempre utilizzare i termini di “Fugazza” e “Fainà” che rimandano all’idioma ligure.
Buenos Aires 9 settembre 1923 – Il Presidente Argentino Marcelo de Alvear da il calcio d’inizio di Argentina-Genoa che porterà al vantaggio dei sudamericani. Si tratta di un episodio controverso perchè autorità e fotografi erano ancora in campo. I genoani avevano pensato ad un gesto simbolico, ma i giocatori argentini, ricevuto il passaggio “presidenziale” puntarono la porta ed andarono in gol. Pareggerà poi Aristodemo Santamaria.
Comunque, per tornare agli aspetti calcistici, la sfida con “La Celeste” fu ancora più impegnativa di quelle con gli argentini, e finì con la vittoria uruguagia per due reti a uno. E, a detta di un campione come De Vecchi, al triplice fischio finale i giocatori del Genoa poterono tirare il fiato, estremamente contenti di essere riusciti a contenere le offensive dei loro temuti rivali. Finita la serie di match programmati e, come già anticipato, sfumate le possibilità di disputare una partita contro il Brasile, ai nostri non restò che andare a Rio de Janeiro; non per giocare a pallone ma solo per fare rotta in direzione di Genova. E il rientro nella capitale della Liguria, a bordo di una nave francese, “l’Alsina,” sempre secondo la ricostruzione di Arcuri e Pesce, sarà salutato dai getti d’acqua dei rimorchiatori del porto di Genova e dalle sirene delle navi all’ormeggio ma, soprattutto, da una miriade di bandiere e di fazzoletti, sventolati da una marea di persone raccoltasi su moli, sulle calate e sulle banchine adiacenti alla nave. Il Genoa rientrava a casa, con tutti gli onori del caso, accolto dall’usuale calore del popolo rossoblù. Due anni dopo, come già detto, a ideale chiusura di quel ciclo sudamericano, il Nacional di Montevideo giocò una partita a Marassi, davanti a 22.000 persone che resero omaggio a quella mitica squadra uruguagia. Una squadra avversaria che non solo aveva saputo imporsi con il risultato finale di tre reti a zero, ma che aveva segnato i suoi due primi gol in meno di due minuti. L’evento, all’epoca, fu immortalato in una pellicola, prodotta dalla Pittaluga Film, e quel reportage ancora oggi fa il giro del mondo. Quel filmato è stato, per esempio, trasmesso dalla televisione uruguayana in una puntata celebrativa dei fasti del Nacional e si puó trovare anche nella videocassetta pubblicata nel 1999, in occasione del centenario della squadra di Montevideo.
Quando una squadra diventa un misto di storia e leggenda, il suo mito comincia a vivere di vita propria. E così, della narrazione di quella leggenda, diventa quasi impossibile seguirne gli interi sviluppi e la sua diffusione: dico questo perché è possibile che foto, articoli e filmati di quel periodo siano stati commentati in altre trasmissioni e documentari di cui io non sono a conoscenza.
Il discorso relativo ad una squadra che si pone tra mito e leggenda vale per il Nacional di Montevideo. Ma, allo stesso modo, vale anche per il Genoa. Non a caso, le immagini di repertorio di quegli eventi, in cui le vicende di questi due storici club si sono incrociate, viaggiano ancora oggi via etere, via digitale o tramite il web, dal Golfo di Genova al Rio della Plata.
È anche in ragione di questi antichi legami storici che il Genoa ha avuto, e ha ancora, un rapporto di predilezione con l’Argentina e con l’Uruguay. La tournée del Genoa del ‘23, la partita del Nacional a Marassi del ‘25, i reportage della stampa dell’epoca, i filmati di repertorio di allora, l’accoglienza delle comunità di emigrati di quel periodo, gli attuali servizi televisivi dei media latini, i club argentini di hinchas del Genoa tuttora esistenti, i siti internet del latino-america, i libri di storia del calcio, come quello di Eduardo Galeano: tutto questo è lì a dimostrarlo.
Genova, Aprile 1925, Stadio del Genoa. Davanti a 22.000 spettatori, i giocatori del Nacional di Montevideo fanno il loro ingresso in campo , portando la bandiera tricolore in segno di fratellanza. I giocatori del Genoa contraccambieranno entrando con la bandiera dell’Uruguay.