GLIEROIDELCALCIO.COM (Tiziano Lanza) – Proponiamo qui un capitolo di storia sportiva assai singolare e interessante, un’autentica scommessa: “Evoluzione della tecnica calcistica”. Il titolo ci conduce immediatamente alla domanda: l’evoluzione del pallone da calcio è andata di pari passo con l’evoluzione della tecnica calcistica? Risposta: Sì.
Forse non precisamente di pari passo; ma è ormai certo che evoluzione del pallone ed evoluzione della tecnica calcistica sono due soggetti divenuti adulti insieme, come due compagni di scuola. La differenza? Il pallone si può anche toccare –possibilmente con i piedi–, la tecnica calcistica si può solo vedere: è la caratteristica che distingue e misura la classe del footballer, cioè colui che gioca al football. Da subito, si diceva che chi dominava la tecnica con gran facilità, era un “fuoriclasse”.
Una ricerca sulla storia della tecnica calcistica è estremamente complessa e difficile da mettere insieme. Innanzitutto perché testimonianze dirette risalenti agli albori del calcio non ve ne sono, per cui chiunque potrebbe azzardare teorie, perfino inventarle; e la ricerca ci obbliga a fidarci di scritti antecedenti. Si tratta poi di un argomento vastissimo, che si presta a molte e diverse chiavi interpretative. Ecco perché questo “lavoro” diventa una sorta di scommessa, ed ecco perché abbiamo fruito della consulenza dello storico del calcio Marco Livrini.
I calcio-filosofi latinoamericani amano ricordare che il football ha avuto una madre (l’Inghilterra) e un padre (il Sudamerica); vediamo allora come è cresciuto il figlio! La narrazione comincia: viaggio nella storia della tecnica calcistica.
L’abbigliamento “tecnico e non” dei footballers
Dire “tecnica calcistica alle origini del calcio”, significa parlare dei pionieri e del loro modo di giocare la palla. Ripassando i pochi testi e rivedendo alcuni documentari, ci arriva qualche informazione. Ad esempio, è accertato che le due scuole che inventarono il football, Inghilterra e Scozia, alle origini giocavano in modo diverso fra loro: gli inglesi puntavano l’avversario per sorpassarlo, gli scozzesi allontanavano il pallone verso il compagno vicino per poi “chiudere il triangolo”.
Qualche giornalista sostiene che nel primissimo calcio in Italia, per un breve periodo, non erano ammesse le finte con la palla: l’arbitro di solito interrompeva il gioco e accordava il free kick, o calcio di punizione, contro il giocatore che si fosse permesso di “fintare”.
In uno scenario del genere, ci chiediamo: come veniva giocata la palla? Come erano effettuati i dribbling? …e mandavano in delirio i tifosi come succede oggi? Esisteva lo stop di petto? E quanto era efficace? Il palleggio, la “veronica”, il “sombrero”… tutte queste tecniche alle quali oggi siamo abituati, erano praticati dai footballers? Sono domande che affascinano. Vediamo se troviamo delle risposte.
I boots con le strisce e i primi tacchetti
Per tentare di dare una risposta a queste domande semplici ma fondamentali, non basta basarsi sull’evoluzione del pallone. Si deve obbligatoriamente osservare l’evoluzione dei boots, cioè le scarpe da calcio –qui non le chiameremo “scarpini” come usano fare certi cronisti: scarpe sono, per uso sportivo, e scarpe rimangono.
Dall’inglese boot = stivale, si evince che al principio erano più stivaletti che scarpe. E ciò la dice lunga sulla finezza del tocco della palla con il piede, e quindi sul livello della tecnica. Ma bisogna tener conto anche di un altro fattore importante: le condizioni dei campi da calcio dell’epoca pionieristica; anche se l’Inghilterra Vittoriana era praticamente coperta di bellissimi prati d’erba, il maltempo e la pioggia –frequenti anche nelle belle stagioni– rendevano sempre lento il terreno; e anche allora come oggi, bastavano poche ore di gioco del football per trasformare un prato verde “all’inglese” in una palude di pantano. Ecco dunque una ragione in più per calzare dei robusti boots, quasi degli anfibi militari che aiutavano più a stare in piedi che a correre; erano dotati di accessori antiscivolo, cioè strisce di cuoio e tacchetti, ricostruiti nei disegni della fig. A.3: si trattava di protuberanze sotto la suola, composte da strati di cuoio duro tenuti insieme da chiodi e colla. In altre figure, scarpe con sole strisce (fig. A.4) e con tacchetti e strisce (figg. A.2 e A.5).
Fig. A.1: (prop. Roberto Falvo) – Scarpe da calcio “a stivale” dei primi anni Venti, in uso nel campionato italiano di Football.
Quanto alla fattura delle scarpe dei pionieri, è illuminante la fig. A.1; si tratta di “stivaletti” in uso nel campionato italiano di Football dei primi anni del Novecento: era già un equipaggiamento moderno per l’epoca. Si noti, oltre a forma e dimensioni, la punta piuttosto arrotondata: ciò perché, sotto il cuoio, era rinforzata con un guscio di ferro (v. ricostruzione nella fig. A.3).
Fig. A.2: Interessante paio di scarpe usate in Uruguay nel 1925. Le scarpe hanno la punta rinforzata con guscio di ferro, e come antiscivolo hanno due strisce di cuoio sulla parte anteriore e 3 tacchetti sotto il tacco (foto e proprietà di Rony L. Almenida).
Fig. A.3: (grafica T. Lanza) – Sezione della punta di una scarpa con rinforzo di ferro, e i primi accessori antiscivolo.
Guscio di ferro nelle scarpe? Sissignori, ferro a protezione della punta. E anzi, all’epoca erano molto praticati i tiri di punta: delle autentiche sassate piuttosto temute dai “guardiani” cioè i portieri. Oggi sorprenderebbe, e non poco; al contrario, un secolo fa la tecnica del calcio di punta era considerata una raffinatezza, e durò a lungo, tanto che anche in Italia furono famosi dei giocatori colpitori di punta, dei quali Gianni Brera scriveva che “colpivano il pallone nel centro con precisione, come un giocatore di bigliardo colpisce la biglia con la stecca”.
Il gioco era piuttosto rozzo e la fattura delle scarpe lo dimostrava; fin tanto che la calzatura era concepita per proteggere il piede, la forma richiamava lo stivale. Ma non tutte le scarpe avevano la punta di ferro.
Negli anni a venire, così come i palloni, anche le scarpe da calcio ebbero giustamente la loro evoluzione. Le figg. A.4 e A.5 mostrano interessanti calzature degli anni Trenta; sono modelli molto più leggeri e sicuramente alquanto raffinati, che rispecchiano il livello della tecnica calcistica raggiunta.
Fig. A.4: scarpe da calcio degli anni Trenta. La suola ha solo tre strisce per antiscivolo (foto e proprietà Marco Livrini).
Fig. A.5: Scarpe primi anni Trenta, appartenute all’attaccante uruguagio Severino Varela. Anche queste con tacchetti e strisce ma non hanno la punta rinforzata (foto e prop. Marco Livrini).
Ai tempi dei pionieri si faceva uso di grosse ginocchiere, che indossavano soprattutto i portieri e non di rado anche i giocatori di altri ruoli. Qualche giocatore, più raramente, indossava ingombranti cavigliere; e per non parlare di berretti, baschi e altri fantasiosi copricapo, ritenuti “sportivi e alla moda”…
Accessori molto importanti per capire la tecnica calcistica dell’epoca, erano i shin guards cioè i parastinchi. I parastinchi delle origini del football erano diversi dagli attuali (v. fig. A.6); perciò il breve e conciso paragrafo che ne spiega storia e costituzione, ci è stato gentilmente scritto dal dott. Marco Livrini, storico e collezionista del calcio, cui appartengono molti dei cimeli originali qui illustrati.
The shin guards: i parastichi – di Marco Livrini
Fin dagli albori del calcio ricevere colpi alla tibia o ai malleoli era una diretta conseguenza dei tentativi di contendere il pallone all’avversario. A rendere particolarmente dolorosi questi impatti contribuiva non poco la struttura delle scarpe, pesanti e dure, non di rado con la punta rinforzata.
I footballers non tardarono dunque ad escogitare soluzioni protettive. Fu un calciatore del Nottingham Forest, Sam Widdowson, ad indossare per primo i parastinchi nel 1874. Si trattava di pannelli in cuoio flessibile di forma vagamente trapezoidale, rinforzati con stecche di legno parallele cucite al loro interno. Ripiegati come fossero una tegola, avvolgevano la superficie anteriore della gamba dalla caviglia fino al bordo inferiore dei pantaloni alla zuava, ovvero subito sotto alla rotula. Venivano inizialmente indossati al di sopra dei calzettoni fermati con cinghiette dietro ai polpacci.
Il modello originario si modificò negli anni seguenti con la comparsa delle protezioni per i malleoli, due propaggini rotonde, sempre di cuoio, agli angoli del bordo appoggiato al collo del piede. Un’ulteriore evoluzione fu la scomparsa delle cinghie, allorché verso la fine del secolo si cominciò a mettere i parastinchi sotto i calzettoni riducendone anche l’altezza.
Nel corso del ‘900 la struttura dei parastinchi non subì modifiche di rilievo, se non per la sostituzione del cuoio con la pelle, e poi con la tela imbottita di spugna, in modo da renderli più leggeri.
Fig. A.6: Coppia di parastinchi d’inizio Novecento, con cinghie e protezioni dei malleoli; sotto la superficie di cuoio si notano le sottili stecche di legno (foto e proprietà Marco Livrini).
Solo con l’uso della plastica, negli anni ’60, fu possibile eliminare le stecche di legno. Da allora ai materiali di sintesi, variamente modellati, è stata affidata fino ai giorni nostri la tutela delle tibie, dai campionati amatoriali fino al professionismo.
Solo in tempi recenti l’uso dei parastinchi è diventato obbligatorio sui campi di calcio. Sono ancora nella memoria dei calciofili le immagini di estrosi attaccanti che pur esposti alle rudezze dei tackles, scendevano in campo a calzettoni abbassati. Sivori, Amarildo, Corso, Meroni, sfidavano i difensori con dribbling beffardi, resi ancor più insolenti e sfrontati dalle tibie scoperte, come campioni invulnerabili.
La divisa dei footballers
La fig. A.7 mostra un pioniere del calcio italiano di fine 1800; come il soggetto della fig. A.7a, l’abbigliamento comprendeva anche pesanti camicie e un berretto con gli stessi colori della squadra. Nel complesso, era un abbigliamento pesante, con dei bragoni che poco concedevano all’eleganza e all’agilità richiesta per i movimenti acrobatici.