GLIEROIDELCALCIO.COM (Marco Moschini) – Siamo tutti sotto osservazione fin dalla nascita. Letteralmente scannerizzati da parenti e conoscenti. Figuriamoci un figlio di un giocatore di pallone. A chi assomiglia di più? Al papà o alla mamma? Questione di genetica e di fasi lunari rammentano presunti esperti in materia.
In materia di calcio, risulta facile raccontare di un Maldini, un Chiesa, un Simeone o un Daniele Conti. Noi vogliamo per una volta scendere gli scalini ed andare in controtendenza raccontando le storie di alcuni figli d’arte dimenticati. Lasciamo per una volta la scena a loro. I misconosciuti del calcio di mezzo, estrapolati a campione dai campionati minori. Quelli del cognome importante e dell’eredità pesante, che non hanno calcato né il Camp Nou né l’Anfield Road ma si sono tolti chi più chi meno delle soddisfazioni. Scovati il lunedì nelle ultime pagine di cronaca sportiva dei quotidiani locali. Eroi delle serie minori e a volte dei tornei estivi notturni di un calcio dilettanti che potrebbe già a partire dalla prossima stagione assorbire una buona fetta del calcio Nazionale.
Nel piccolo angolo di provincia dove sono nato e cresciuto, la passione per il calcio minore si è intrecciata a più riprese con le vicissitudini di alcuni figli d’arte del mondo del pallone.
Partiamo dai “romanisti” per i trascorsi paterni. Andrea e Simone sono due fratelli. Il padre è Settimio Lucci. Per tutti Mino nella Piacenza che lo ha insignito padrone assoluto della difesa in omaggio ai trascorsi biancorossi folgoranti. Lucci sotto la guida di Gigi Cagni centra due promozioni in serie A e altrettante salvezze che valgono quanto una Champions League per una provinciale. Nella Roma di Eriksson, da giovanissimo, conquista l’edizione della coppa Italia 1986 giocando da titolare contro la Sampdoria di Bersellini entrambe le gare di finale che in quegli anni iniziavano sotto il sole del tardo pomeriggio e finivano sotto cieli stellati. Il primogenito Andrea vede fra le mura domestiche non il giallorosso ma il bianco e nero del materiale tecnico dell’Udinese dove gioca papà. Brevilineo e molto rapido nei movimenti, segue una strada diversa. Inizia a fare l’ala per poi spaziare in tutti i ruoli del reparto avanzato. I primi calci nel Grottaferrata poi il ritorno a Piacenza. L’esordio in serie C giunge a Pizzighettone in un posto dove le zanzare in estate mettono paura. Il 2012-13 è l’anno di grazia. Lucci “Junior” segna a propulsione, 19 reti nel campionato di Eccellenza Emiliana. Il fratello Simone fa il regista, ha idee in mezzo al campo e piedi fatati. Ma gli infortuni lo confineranno nelle serie minori.
Ora spazio ai “laziali”. Partiamo da Gianmarco arrivato per la prima volta al Nord dalla Primavera della Pistoiese; società toscana dove papà aveva allenato. È un bel ragazzo, bella macchina. Dalle mie parti riscuote più successo con le ragazze che nel campionato di serie C2. Storia triste quella di Gianmarco. Il papà è Andrea Agostinelli. La bionda mezzala che sotto i colori della Lazio aveva ricevuto in eredità la maglia non ancora personalizzata al tempo di un certo Luciano Re Cecconi.
Piraccini “Junior” invece vive sul lago di Stresa, luogo incantevole, ed è un attaccante di movimento. Si fa il mazzo per i compagni. A Novara, dicevano che avrebbe avuto un futuro nei professionisti, ma la categoria dove lascia il segno è la serie D. Vince due campionati di Eccellenza nel Borgomanero e nel Varese. Nel vecchio stadio Ossola è leader e bomber dei biancorossi. Fa staccare il pass dei play-off al Borgosesia. Papà Rinaldo è stato uno dei tanti giramondo del pallone, centrocampista di fatica capace di ritagliarsi una parentesi in serie A con la prestigiosa maglia della Lazio nella stagione 1983-1984.
Massimo Oddo è il caso di chi è riuscito a superare papà. La sua storia calcistica inizia sotto una buona stella con il passaggio dal serbatoio giovanile della Renato Curi al Milan. Gli inizi da calciatore professionista non sono brillanti. Sembra perdersi in serie C ma poi ecco la svolta al Monza nel campionato di serie B 1998-99. Gli anni migliori sono quelli alla Lazio dove indossa la fascia di capitano e quelli al Milan. Campione d’Europa dopo la finale di Atene. Campione del Mondo a Berlino con la Nazionale di Marcello Lippi sotto gli occhi lucidi di papà Francesco, allenatore partito dai campionati di Promozione e arrivato in pianta stabile nel torneo cadetto per lungo tempo.
In rappresentanza della regione Toscana, la famiglia Mosti. Pier Giuseppe nato a Massa nel 1955, è un difensore degli anni settanta-ottanta con ben 4 promozioni in serie A con: Genoa, Pescara, Pistoiese e Catania. Mosti sfoggia in ogni stagione il marchio di fabbrica dei calciatori di quegli anni: i baffi. Anche il figlio Luca imita papà trent’anni più tardi. Porta i baffi a centrocampo, e davanti alla difesa sa incantare. La prima esperienza in una prima squadra matura al Versilia. Nel Carpi, sempre in serie D realizza 11 reti. Ricorderò sempre la memorabile prestazione a domicilio del Termolan Bibbiano, nel campionato di Eccellenza, su di un rettangolo di gioco che sembra più una bettola da fight club che un campo da calcio.
Nella carrellata non potevamo non avere un genoano, ed è il nostro primo caso dove il figlio ha seguito in toto le orme di papà sposando lo stesso ruolo. Mauro Della Bianchina nasce a Massa nel 1954, la carriera parte forte con una promozione in serie A e l’esordio in massima serie con la maglia del Grifone. Segue un lungo peregrinare nei campionati di serie C. Il figlio Davide nasce a Genova, cresce nel settore giovanile rossoblù con esordio in serie C nel Fiorenzuola. Giocherà in quasi ogni angolo dell’Italia della serie D.
Poi c’è Filippo Maria Donati, protagonista del settimo posto del Fiorenzuola nel campionato di serie D 2014-2015, altro esempio di figlio d’arte “di provincia” che ha trovato nel reparto di papà l’habitat naturale. Il padre Cornelio, è stato terzino per tanti anni nel Padova prima di vestire la maglia del Parma dove è protagonista della storica promozione in serie A, esattamente trent’anni fa.
Ho poi avuto modo di conoscere nipoti d’arte. Nel ramo manageriale ecco il marchigiano Gianni Rosati, direttore sportivo sulle scrivanie del Carpi, della Fermana e del Genoa in serie B nei rigogliosi anni novanta. Nipote di quel “Tom” Rosati che da trainer ha saputo posare nella bacheca di famiglia ben quattro promozioni in serie B in piazze prestigiose come Salerno, Caserta, Pescara e Palermo.
Uno straniero non poteva mancare. Daniel Javier Bisogno, nipote d’arte di sangue oriundo. Lascia l’Uruguay con in tasca una manciata di presenze nell’under della “Celeste” e la cosa più preziosa: la foto dello zio Juan Alberto Schiaffino che vale più di un curriculum. Il trequartista di Montevideo è nel gruppo dei sedici sudamericani che sbarcano assieme a Mario Kempes all’aeroporto di Malpensa nell’Agosto del 2001 per fare parte di una squadra in serie C2 composta interamente da calciatori argentini e uruguaiani. Il progetto ucronico affonda ma Bisogno riesce da un’altra parte ad esaudire il sogno di giocare in Italia, nelle serie minori, ma sempre calcio è.