Il ricordo di Franz Beckenbauer
Nel corso della sua ormai lunga storia, il calcio è stato attraversato da personaggi che ne hanno scritto pagine indelebili, fatti della tecnica, dell’eleganza, della sapienza tattica con cui il “dio del calcio” li aveva forgiati, caratterizzando anche il modo di giocare della loro epoca. Sul finire degli anni Sessanta in Europa si andava affermando uno stile di gioco basato soprattutto sull’atletismo, che vedeva i suoi rappresentanti massimi in due dei campioni di cui sopra: Franz Beckenbauer per la Germania, allora Ovest, e Johan Cruijff per l’Olanda depositaria del “calcio totale”.
Beckenbauer guidava sia il Bayern Monaco, sua squadra di club a metà anni Sessanta ancora squadra anonima, sia la nazionale teutonica, con un’eleganza che sarebbe rimasta inarrivabile, lui libero ma in realtà regista arretrato e orchestratore delle manovre offensive. Nacque come terzino sinistro, ma ben presto Helmut Schön, CT tedesco, lo dirottò al centro della linea difensiva, iniziando a costruire l’ossatura della squadra che sarebbe diventata campione del mondo. Intanto fu subito protagonista, al mondiale in Inghilterra del 1966 portò la Germania Ovest, che contava su altri campioni del calibro di Karl Heinz Schnellinger, Wolfgang Overath, Helmut Haller, Uwe Seeler fino alla finale, nella partita ancora oggi più discussa della storia, quando, terminati i tempi regolamentari sul pareggio (due a due), fu un gol fantasma di Geoff Hurst a regalare, in pratica, il primo e unico titolo mondiale ai sudditi di Sua Maestà.
Proprio quella con la massima competizione iridata sembrava una maledizione, perché quattro anni dopo, a Città del Messico, fu la nostra Italia l’ostacolo insormontabile in semifinale, quando Beckenbauer diede prova anche di grande stoicismo e attaccamento alla maglia, resistendo in campo con una clavicola lussata e braccio legato al collo da una fasciatura, in quell’epica partita che da tutta è ricordata come “Partido do Siglo”, da noi semplicemente “Italia-Germania quattroatre”.
Tutto questo mentre con la maglia del Bayern contribuiva a scrivere la storia vincente che ancora continua di questo club, conquistando alla fine quattro titoli di Germania, quattro coppe nazionali, ma soprattutto un trittico di coppe dei Campioni che lo proiettarono direttamente nell’empireo del calcio, facendogli vincere anche il Pallone d’Oro nel 1972. Il coronamento finale ci fu nel 1974, quando finalmente poté dare una corona al titolo di Kaiser Franz con cui era ormai conosciuto, sfatando il tabù mondiale proprio in casa e proprio contro quell’Olanda in cui militava il suo antagonista dell’epoca, Cruijff.
La sua carriera proseguì qualche altro anno al Bayern, per poi passare ai New York Cosmos negli Stati Uniti, andando a fare squadra con Pelé e aggiungendo altri tre titoli alla sua collezione, che completò con il ritorno in Germania, stavolta all’Amburgo, che riuscì a portare al titolo seppure con una partecipazione limitata.
Appesi i classici scarpini, le disavventure tedesche agli Europei del 1984 lo portarono alla guida della Nazionale pur non avendo titoli tecnici, anche qui, dando prova di grande carisma e sagacia. Guidò la Germania, ancora Ovest, nella finale messicana contro l’Argentina vincente di Diego Armando Maradona, e ancora i tedeschi nella finale di Roma a Italia ’90, sempre contro l’Argentina del Pibe de Oro, stavolta lui piangente. È stato il trionfo finale di Beckenbauer, unico, insieme al recentemente scomparso Mario Zagallo e a Didier Deschamps, a vincere il titolo mondiale sia da giocatore, sia da selezionatore, segnando un’epoca, quando gli Dei del calcio camminavano in terra, ormai viva solo nel ricordo.
GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli)