TUTTOSPORT.COM – Elegante e raffinato. Educato e onesto. Esempio di lealtà e gentilezza. Gaetano Scirea è stato, è e sarà per sempre un artista. Non solo del calcio, ma della vita. Leader silenzioso e uomo per bene, andatosene via all’improvviso, su una strada in Polonia tra Varsavia e Cracovia, a soli 36 anni. Dal 3 settembre 1989 Gaetano non è più in questo mondo, ma continua a vivere attraverso le tracce che ha lasciato e le parole di chi è rimasto. Per onorare la sua memoria bisogna ricordarne la grandezza e seguire il suo modello, di vita e di calciatore.
MORSI E PALLEGGI – Tutto comincia mentre il piccolo ragazzo, nato a Cernusco sul Naviglio, palleggia davanti a un muro per le strade di Cinisello Balsamo mentre mastica un panino. Disinvolto, sereno: a testa alta. Destro, sinistro. Non guarda né la palla tra i piedi, né lo snack tra le mani: ha tutto sotto controllo. Gianni Crimella, allenatore della Serenissima S. Pio X, si ferma a guardarlo. Rimane impressionato: la palla casca sempre nello stesso punto e il ragazzo non ha bisogno di muoversi, intanto continua a mordere il panino. Potrebbe essere un grande innesto per la sua squadra: lo è. Gaetano ha nove anni e gioca punta nel campo di calcio a sette. Segna gol a grappoli, nonostante venga spesso schierato con quelli più grandi di lui. Scirea non fa altro che avere la palla tra i piedi: oltre alle partite con la Serenissima, gioca con la squadra del bar, anche senza il permesso dell’allenatore. Quando Gaetano compie 14 anni, il suo maestro lo manda a fare un provino all’Atalanta: il ragazzo per la prima volta si trova su un campo di calcio a 11. Segna anche in quell’occasione, ma la società bergamasca è titubante. Poi dà l’ok: nel 1967 Scirea è un giocatore delle giovanili nerazzurre.
PRIMI PASSI – Da Cormano a Bergamo in corriera, con il sole o con la nebbia. La signora Giuditta, la mamma di Gaetano, lo implora a rimanere a casa quando c’è brutto tempo: il figlio dice inizialmente di sì, poi lascia sempre un biglietto con scritto “Ci vediamo stasera”. Segue l’esempio del padre Stefano, il quale non ha mai saltato un giorno di lavoro alla Pirelli: allo stesso modo Gaetano non salta mai un allenamento. Quando questo finisce, gli altri scappano a casa. Scirea no. Resta ad ascoltare i consigli degli allenatori o dei massaggiatori: qualcuno gli dice che uno dei suoi compagni di squadra non si sta comportando bene e Gaetano ci va a parlare. È un angelo custode che arriva all’Atalanta come punta, poi si sposta sulla fascia, a centrocampo e in mediana. Lì, nel mezzo, è fin troppo corretto: Giuseppe Brolis, responsabile delle giovanili, gli promette un premio nel caso riuscisse a farsi ammonire. Non mette mai mano al portafogli. Intanto, però, Gaetano mostra tecnica ed intelligenza sopraffina per adattarsi al ruolo meglio degli altri. Quando il libero della prima squadra, Giancarlo Savoia, si rompe il braccio, per sostituirlo, Giulio Corsini sceglie dalla Primavera quel ragazzo nato a Cernusco sul Naviglio. C’è un problema: c’è la trasferta a Cagliari e bisogna marcare un certo attaccante che romba come un tuono, è Gigi Riva. La partita finisce 0-0: inizia la storia di Gaetano Scirea. Da quel giorno nessuno riesce più a toglierlo dal campo Scirea. Eppure, il compagno in allenamento lo guida: «Devi sforzarti. Devi pensare come l’attaccante: devi prevedere e anticipare. Mi raccomando, tratta bene la palla, altrimenti piange» e Gaetano, quella palla, la accarezza a ogni tocco.
LA JUVENTUS – Dopo un altro anno a Bergamo, arriva l’occhio sempre vigile di Boniperti che lo vuole alla Juventus. La trattativa si svolge in una tenuta degli Agnelli nel novarese: c’è qualche disguido sul prezzo. Il presidente Bortolotti porta Scirea dai dirigenti bianconeri e dice: «Che sia un campione, dovrà dimostrarlo. Che sia un grande uomo, posso già garantirlo». È per questo motivo che il numero uno dell’Atalanta lo vuole presentare di persona alla famiglia della Vecchia Signora. L’Atalanta lascia partire il suo gioiello per un miliardo di lire, Giorgio Mastropasqua come contropartita e tre sacchi di riso. Al primo allenamento con la nuova maglia lo accompagna il fratello Paolo. Gaetano, dopo tre giri attorno allo stadio, non trova l’entrata. In realtà gli manca il coraggio di presentarsi davanti a tutti quei campioni. Poi entra e cambia tutto: diventa il protetto di Zoff, che lo considera un fratello minore e ama tanto il suo silenzio. Diventano inseparabili e ancora non sanno che saranno l’anima della Nazionale Mundial del 1982. Nel 1975, dopo aver vinto il primo Scudetto in bianconero, festeggia con la squadra in discoteca fino all’alba: quando esce è pronto ad andare in edicola e comprare i giornali per leggere delle sue gesta e di quelle dei compagni. Il giornalaio, però, è vicino alla fermata dell’autobus che porta gli operai in FIAT: Gaetano pensa ai genitori, che non hanno mai saltato un giorno di lavoro, lascia perdere i giornali e si vergogna di farsi vedere vestito da sera alle 6 di mattina da chi andava a lavorare. Un uomo prima che un calciatore. Un campione nella vita prima che sul campo. I titoli vinti contano poco e sono tanti: dopo il Tricolore del ‘79 non pensa a festeggiare, pensa al futuro dell’Italia calcistica. Elogia un giovane che si chiama Franco di nome e Baresi di cognome: «Guardate come anticipa, come spinge. È bravissimo: Bearzot dovrà prenderlo in considerazione». Una modestia fuori dall’immaginario, soprattutto per un calciatore. Un’umiltà che metteva in imbarazzo. Il giorno che dà l’addio al calcio, il 15 maggio del 1988, sua moglie Mariella gli organizza una festa a sorpresa, ma Gaetano ha già preso un impegno: deve inaugurare il torneo dell’oratorio nel quale è cresciuto e non vuole mancare. È in questi ricordi che vive ancora Gaetano Scirea, non solo nei video passati alla mitologia calcistica nei quali colpisce di tacco un pallone nell’area della Germania Ovest nella finale dei Mondiali 1982 e carica il destro (e l’urlo) di Marco Tardelli. Gaetano è stato un signore del calcio fenomenale nella sua normalità e un uomo normale diventato fenomeno di signorilità. Bandiera della Juventus amata da tutta Italia, ben prima che rimanesse intrappolato tra le fiamme di una vecchia Fiat nei pressi di Babsk. Un angelo bianconero che vive ogni giorno nel ricordo dei tifosi, che siano juventini o di qualsiasi altra squadra. Un esempio da seguire e da portare in alto, affinché continui a vivere da qui all’eternità.
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